La Costituzione. E adesso cominciamo ad applicarla davvero

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Dovremmo ringraziare Renzi per averci ricordato, a modo suo, che avevamo una Costituzione.

Una Costituzione mai applicata del tutto, o solo in una parte del Paese, e alla fine completamente cancellata. Il giovane che adesso ha vent’anni non ha mai vissuto un solo giorno della sua vita sotto una Repubblica; né ha mai conosciuto una Costituzione.

“L’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale…”. Infatti. Da un giorno all’altro la principale industria del Paese è stata presa e trasferita all’estero, senza dir niente a nessuno. “Ma perché avete spostato la sede a Londra?”. “Per non pagare le tasse in Italia”.

“La scuola è aperta a tutti. L’istruzione è obbligatoria e gratuita…”. Nella nostra città, nei quartieri poveri, le scuole vengono chiuse l’una dopo l’altra.

“L’Italia ripudia la guerra…”. Certo. Infatti abbiamo bombardato il vicino, mandiamo truppe in mezzo mondo (nel Novecento, cinque guerre in quarant’anni) e invece di acquedotti e argini facciamo cacciabombardieri e portaerei.

“La bandiera della Repubblica è il tricolore…”. Il capo di un principale partito, con questo tricolore aveva allegramente annunciato di volercisi pulire il c***…

“Lo straniero ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica…”. Annega nel nostro mare, e se si salva lo rinchiudiamo in un lager.

“La Repubblica tutela il lavoro…”. Purché malpagato, precario, e a totale discrezione del padrone.

“La Repubblica riconosce i diritti della famiglia…”. Famiglia? Prova a fartene una, senza sapere con che camperai alla fine dell’anno.

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C’eravamo dimenticati di tutto questo. “Politica, politica, che ce ne importa?”. Ed eccoci qui, con il Sud alla fame e il Nord che ogni giorno che passa diventa sempre più Sud. Senza una Costituzione – ché non ce n’è stata nessuna negli ultimi vent’anni – il popolo s’è imbolsito. I peggiori, o più deboli, scatenando la rabbia su altri poveri peggio di loro. La povertà tira in basso. La servitù fa diventare servi, dentro e fuori.

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Ricordo, nella mia infanzia, un corteo di contadini. Sfilavano in silenzio, senza cartelli o bandiere. L’abito della festa, le file risolute e tranquille che marciavano mute. Volti scavati, duri, non agitati o distorti. Ma ci leggevi qualcosa che, a leggerlo fino in fondo, ti cambiava la vita. La gran forza del popolo, il senso dei diritti, la dignità.

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La cosa buffa, di questo referendum, è che fra i feritori della Costituzione c’era anche tanta gente perbene; e fra i suoi (opportunistici) difensori molti che libertà e diritti li temono come il cane il bastone. Dopo vent’anni d’esilio, la nostra amica cartacea non poteva non trovare confusione: normale. Ma adesso questa “normalità” va spazzata via, va rialzato il confine fra chi crede nei diritti e chi invece no, comunque abbia votato al referendum. Da subito, dappertutto, a cominciare da qui e ora.

Dobbiamo riunirci alla svelta, non per “analizzare” o “dibattere” ma per – subito subito, in questi giorni – organizzare. Vogliamo che la Costituzione sia applicata, punto per punto, concretamente. E non in un tempo lontano, ma qui e ora. Nella nostra città, con mafia, amicizie mafiose e poteri feroci, applicarla vuol dire subito cacciare via ‘sta gente. Da lì viene tutto il resto, non solo nella città ma nello stato.

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Vorrei rivedere a Catania i volti e i passi che ho visto tanti anni fa, da bambino. Un corteo muto e potente, senza rabbia né urla, ma chiaro e definitivo, con la forza del popolo – questo significava in origine la banalizzata parola “democrazia”. Facciamolo fra un mese esatto, nel giorno di Pippo Fava.

“Sfiliamo per le vie contro il re – dissero i rivoluzionari – Chi lo applaudirà sarà bastonato, chi griderà per insultarlo sarà impiccato”. Era il 1789, e lì cominciò qualcosa.

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