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La Commissione Regionale Antimafia alza il velo sui beni confiscati e subito c’è chi si ribella

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Beni sequestrati, confiscati, spolpati, liquidati in un’inchiesta della Commissione Regionale Antimafia

C’è voluto un po’ di tempo, ma alla fine il nodo è venuto al pettine. Per la verità a Telejato se ne sono occupati sin dal 2013, cioè già da otto anni, mettendo in vetrina la criminale gestione dei beni sequestrati fatta dall’ufficio misure di prevenzione di Palermo, allora in mano a Silvana Saguto e a tutto il suo cerchio magico fatto di magistrati, avvocati, commercialisti, cancellieri, generali, forze dell’ordine, politici, docenti universitari, medici, imprenditori e alte cariche dello stato. Ne è emerso un verminaio di affari camuffato da antimafia e consumato scientificamente sulla pelle di persone sospettate di contiguità con la mafia, ma non condannate, alle quali, proprio a causa di quel sospetto, era stato tolto tutto e affidato a vampiri che, in nome dello stato puntavano al fallimento e allo svuotamento di quanto loro affidato.

A pochi mesi dalle condanne che i giudici di Caltanissetta hanno comminato alla Saguto e a una parte dei suoi amici, il 16 febbraio 2021 la Commissione Regionale Antimafia, presieduta da Claudio Fava, ha depositato i risultati della sua inchiesta sui beni sequestrati e confiscati in Sicilia. Sei mesi di lavoro e una serie di audizioni qualificate. Così anche la politica, dopo anni di silenzi, di occultamenti, di colpevoli trascuranze, comincia a dare uno sguardo a un settore che alle sue spalle lascia una serie impressionante di macerie e di problematicità irrisolte, con il timbro di fallimento dello Stato. La relazione non entra in merito alle discrasie della legge, ma esamina, qualche volta in maniera radiografica, altre volte meno, le conseguenze prodotte dalla cattiva applicazione di questa legge, in particolare a causa dei mancati interventi, dei ritardi e delle scarse competenze, assieme alla mancanza di personale imputabili all’ANBSC, sia in sede nazionale che regionale. Giuseppe Di Natale, portavoce Forum del Terzo Settore della Sicilia, ha dichiarato che “i rapporti con l’Agenzia nazionale dei beni confiscati sono del tutto inesistenti, non fosse altro che, ogni volta che ci si rivolge agli uffici siciliani dell’Agenzia per richiedere un minimo di informazioni, rispondono sempre che hanno bisogno dell’autorizzazione dell’Agenzia nazionale”. L’ultima versione del Codice antimafia ha infatti previsto per la Sicilia due sedi, una a Reggio Calabria con riguardo alle province di Caltanissetta, Catania, Enna, Messina, Ragusa e Siracusa, l’altra a Palermo per le restanti province di Agrigento, Palermo e Trapani. “Una ripartizione – scrive la Commissione – che suggerisce più d’una perplessità, non da ultimo in un’ottica di economia organizzativa e tenuto conto del contesto criminologico siciliano. Elementi che, già da soli, avrebbero dovuto indurre ad una gestione unitaria”. Nella relazione si esaminano alcune norme disattese del nuovo Codice Antimafia, il ruolo dell’ANBSC, le cifre di sequestri e confische, le problematicità delle amministrazioni giudiziarie, con riguardo ai casi di Collovà e Lipani, i risvolti del caso Saguto, le ragioni dei fallimenti e le tormentate vicende dei sequestri Geotrans, Riela, Calcestruzzi Belice, Calcestruzzi ericina, La.Ra, San Paolo hotel e Sigonella. L’inchiesta si chiude con alcune proposte da avanzare per la legislazione regionale, riguardanti soprattutto i tempi del sequestro, le competenze di coloro cui sono affidati i beni e le “sinergie”, cioè un giro di collaborazioni che renda l’amministrazione del bene un affare che interessi tutta la collettività.

La relazione è stata positivamente accolta da tutti gli addetti ai lavori, eccetto che dal Rettore dell’università di Palermo Fabrizio Micari, dal prof Costantino Visconti e da tal prof. Schiavello. Micari si è lamentato del giudizio dato sugli amministratori giudiziari e ha rivendicato la bontà dei corsi di amministratore giudiziario fatti dall’ateneo palermitano ma ha dimostrato di non avere letto attentamente il testo, poiché i corsi cui “tal Cavallotti”, interpellato dalla Commissione, fa riferimento erano quelli organizzati dal clan Saguto presso l’Abbazia Sant’Anastasia. Visconti, che a questi corsi è stato relatore, non ha gradito invece che gli si ricordassero i suoi stretti rapporti con la Saguto e i suoi contatti con Montante. Il “tal Cavallotti” è un’espressione del prof. Schiavello, presidente della Commissione che ha laureato Pietro Cavallotti con una tesi proprio sulle criticità della legge che si occupa dei sequestri di prevenzione. E comunque Micari non ha tenuto conto o ignora i risultati degli amministratori giudiziari palermitani, che hanno prodotto una scia impressionante di fallimenti e il severo giudizio dato sul loro operato da eminenti studiosi e magistrati interpellati. Il rettore ha minacciato addirittura di sottoporre all’esame di un gruppo di studenti l’operato della Commissione, cioè vorrebbe indurre alcuni studenti a studiare la relazione e a individuare in essa non gli elementi positivi, ma i passaggi a suo parere critici: come avesse a sua disposizione dei burattini.

Fava ha replicato, in un’intervista a Live Sicilia del 28/02/2021: 

“Dell’intervento del rettore resta solo l’estremo sgarbo delle sue parole. In quelle di Visconti si riconoscono invece i tratti di una borghesia intellettuale furba e accidiosa. Per cui ‘avversario’ non è chi ha consentito in questi anni dai banchi dei governi il quotidiano tracimare di interessi privati nel condizionare la spesa pubblica, esempio tra tutti quello dei rifiuti; avversario è semmai una commissione Antimafia che questa vischiosità di interessi la analizza e la denunzia. Si resta in silenzio davanti al saccheggio perpetrato da certa politica e si alza la voce contro chi questo saccheggio prova a denunciarlo. Significativo”.

Continuando, Fava sostiene che “come per il sistema Montante, il sistema Saguto non era solo quello di una zarina con una corte di vassalli che usavano obbedir tacendo. Era un sistema di interessi reciproci. Piccoli e lucrosi ambiti di potere che si sono difesi e accompagnati a vicenda”… e conclude con un atto di autocritica:

“La mia generazione ha un peccato originale: avere preteso di affermare un crisma fideistico di infallibilità dei magistrati dopo la stagione delle stragi. Io e tanti altri, scossi emotivamente, abbiamo creduto di dover difendere sempre e comunque la magistratura. Sbagliato. È come se io dovessi difendere i giornalisti a prescindere, per il prezzo che taluni di loro hanno pagato. Il debito morale verso i magistrati uccisi noi lo abbiamo trasformato in una certezza di infallibilità per tutti. Generalizzando e assolvendo a prescindere, abbiamo reso un cattivo servizio ai molti magistrati che fanno un lavoro degno, faticoso e rischioso. Pensare che solo Palamara, o la Saguto come Montante, siano il male mentre gli altri avrebbero solo subito e taciuto: ecco, è molto comodo. Ma è falso”.

Fava, dopo avere criticato l’atteggiamento del “ma come ti permetti”, adottato da magistrati, giuristi e presunti esperti, ritiene necessario un ritorno alla normalità:

“Posiamo definitivamente quest’antimafia manettara, vittimista, lamentosa ed esibizionista. Per andare verso un’idea civile, utile, laica. Basta col circo mediatico che serve solo a portare in processione Sant’Agata e Santa Rosalia. Non ci servono santi né martiri. Alla mafia fa male la rigorosa normalità dei nostri gesti e delle nostre parole”.

Fin qui tutto bene. Nessuna parola invece sulla costituzionalità della legge sui sequestri, sulla cultura del sospetto, che li favorisce, sulla possibilità della confisca, anche in presenza di un’assoluzione penale e sulla eventuale responsabilità penale di amministratori giudiziari e giudici che ne hanno avallato l’operato.

Pubblicato su antimafiaduemila.com il 28 febbraio 2021

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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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