Kalevra, la vendetta del cane rabbioso

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Operazione Kalevra. Ci siamo chiesti come mai questo strano nome.

Siamo andati a fare una ricerca e la risposta è che nel 2006 è uscito un film dal titolo Slevin Kelevra, con il sottotitolo “La risposta del cane rabbioso”. Che tra chi ha dato questo nome all’operazione, che ha portato in carcere 9 mafiosi di Borgetto, assieme ai quali è stato messo dentro Pino Maniaci, è cosa che desta curiosità e interesse: abbiamo davanti gente che conosce la cinematografia, acculturata, oddio, ma non troppo, se nelle comunicazioni ufficiali scrive Kalevra e non Kelevra, com’è corretto scrivere. Ma viene fuori un’altra domanda: chi è il cane rabbioso? Istintivamente uno penserebbe che si tratti di Pino Maniaci, che, quando si trova davanti microfono e telecamera non risparmia nessuno ed è come se abbaiasse. Tuttavia questa interpretazione lascia adito a qualche dubbio: se l’operazione è nata in un certo momento per scoprire se il sindaco di Borgetto aveva “amicizie pericolose” con i mafiosi e se, a seguito di queste intercettazioni, in particolare di una tra l’ex sindaco Davì e un certo Polizzi, si sarebbe scoperto che Maniaci aveva “tappiato” Polizzi, cioè gli avrebbe commissionato duemila euro per magliette con la scritta Telejato, senza pagargliele, il caso di Maniaci entrerebbe nell’indagine per via traversa, quindi il cane rabbioso sarebbe un altro, almeno che il nome non sia stato dato dopo. Ma Polizzi ha smentito tutto e, per essersi permesso di dire che l’accusa della Procura non esisteva, è stato ritenuto inattendibile, mentre attendibile è stato ritenuto il sindaco di Borgetto, che ha stupito persino chi era addetto alla sua difesa, per avere messo una firma su cose verbalizzate, ma da lui non riferite. E in questo caso, si delinea molto chiaramente, nei confronti dell’azione della Procura il sospetto di un reato per “abuso d’ufficio”, perché, se si voleva impallinare Maniaci, perché inserirlo dentro un’indagine che con lui non aveva nulla a che fare? Viene fuori l’ipotesi che tutta l’operazione Kelevra sia stata concepita, non, o non solo per inchiodare i mafiosi di Borgetto, ma per Maniaci. Infatti, se si va a dare un’occhiata alle intercettazioni che interessano i mafiosi, gli elementi d’accusa sono vaghi e non definiti, a parte una generica intesa intervenuta tra i Giambrone e Salto, per avere ognuno mano libera nel controllo degli affari del territorio.  Tant’è che già quattro di essi sono tornati a casa e quanto prima ci tornerà Nicolò Salto perché in carcere  non hanno i cateteri e i sacchetti da sostituire quando quello che usa abitualmente per raccogliere le sue orine si riempie. Si potrebbe pensare che in questo caso non siamo più davanti a un sacco di merda. E così si prevede un’imminente arresto ai domiciliari per intervenuti motivi di salute. Quindi pare di capire che il cane rabbioso non è neanche lui. Non lo è certamente il sindaco di Borgetto, che si è prestato a farsi riprendere mentre pagava Maniaci, ma nei confronti del quale sembrano essere cadute tutte le accuse di collusione mafiosa: idem dicasi dei suoi assessori e delle strane frequentazioni nel corso della gita americana da parte di tutto il Consiglio Comunale. A proposito, se il sindaco ha denunciato Maniaci perché avrebbe infangato le istituzioni borgettane, come mai si presterebbe, dopo ad essere estorto? Mistero. Forse gli investigatori non si sono nemmeno posti il problema.

Ma cerchiamo di capire meglio: alla fine d’aprile un giornalista della Repubblica, Viviano, anticipa la notizia dell’indagine che riguarda Maniaci. Chi lo ha avvisato? Non ci vuole molto a capire che è la prima mossa strategica della Procura, per preparare lo scoppio della bomba. Maniaci, invece di scappare, come sarebbe stato più opportuno per lui, chiede di essere ascoltato come persona informata dei fatti, e siamo al venerdì 29 aprile. I magistrati hanno cinque giorni per interrogarlo. Sabato e Domenica non si lavora. Se dovessero interrogarlo salterebbe tutto il pistolotto che è stato preparato da mesi, compreso il bel filmato e l’inserimento in esso di frammenti d’intercettazione che, contravvenendo qualsiasi norma sulla privacy, riguardano la sua vita privata, ma che servono a demolirne l’immagine. Perché si è perso tanto tempo e improvvisamente l’indagine ha questa accelerazione? Proprio per evitare di sentire, da parte di Maniaci risposte che avrebbero potuto rimettere in discussione il piatto già pronto.  Il quattro maggio, cioè allo scadere del terzo giorno, tre ore dopo, cioè alle tre di notte, scatta l’operazione e Maniaci viene condotto in caserma, assieme ai mafiosi e poi obbligato a sloggiare dalla sua casa, per evitare che possa usare la sua emittente per creare disturbi all’operazione. Nello stesso tempo, intorno alle ore 12,48, quando le redazioni sono impegnate e non hanno il tempo di valutare, viene spedita dal comando provinciale dei carabinieri, ufficio stampa al servizio nazionale della stampa l’ordinanza con cui si dispone il pistolotto e si giustificano gli arresti. Non si vuole farne un’operazione locale, ma nazionale. Maniaci non è arrestato, non ci sono gli elementi, ma interdetto da Partinico, e il suo viso viene messo comunque assieme a quello degli arrestati. Quella dei cani viene presentata, usando un suo sfogo, non come un’azione intimidatoria, ma una vendetta privata che Maniaci avrebbe invece usato e propagandato come intimidazione mafiosa. Viene da chiedersi cosa c’è dietro tutte queste anomalie. Perché questo stravolgimento d’immagine? Che cosa può avere motivato la Procura a usare il polpettone già pronto da tempo, proprio in quei giorni?

E a questo punto viene fuori il cane rabbioso, che potrebbe essere, guarda un po’ la solita zza Silvana, la quale da tempo si stava muovendo per chiudere l’emittente e che, nel momento in cui è incappata nei guai, anche a causa di questa emittente, si è messa ad abbaiare forte per chiedere ai suoi colleghi di essere vendicata. Attenzione, siamo nel campo delle ipotesi, e qualcuna di queste può sembrare surreale, ma l’intrecciarsi dei fatti e delle decisioni, compresa l’ultima, ovvero la valutazione da parte del tribunale della libertà di riproporre l’eventuale divieto di dimora, presentano aspetti tanto abnormi e fuori dalla normale procedura legale, che non possono toglierci la voglia di capire e, quando non si riesce a capire bene, magari d’immaginare. Tutto questo, mentre ancora a Maniaci non è pervenuto nessun avviso di garanzia. Di quali garanzie stiamo parlando?

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