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Jois Pedone, chi erano i tre uomini all’ingresso del porto? E chi c’era nell’auto nera vicino casa?

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Sono passati un anno e cinque mesi dal ritrovamento del corpo senza vita di Jois Pedone al largo di Punta Penna, più di due mesi fa il Tribunale di Vasto ha archiviato le indagini. Nel decreto firmato dal gup Anna Maria Capuozzo si afferma che Jois Pedone si sarebbe suicidato e nessuno potrebbe averlo indotto a togliersi la vita.

Ma la famiglia non si arrende e continua a ribadire gli interrogativi mai elusi e la convinzione che Jois non si è potuto uccidere ma qualcuno lo ha ucciso. Interrogativi, dubbi, punti oscuri della vicenda – dalle ultime ore alla setta, alla sacerdotessa e alla profanazione della tomba a novembre – che stiamo pubblicando da diverse settimane.

Il 9 gennaio scorso Mary, la madre di Jois, lo zio Rino e l’avv. Federica Benguardato, che è anche legale e vicepresidente della sezione abruzzese dell’associazione Penelope, sono intervenuti nella trasmissione «Okkio, oltre la cronaca» condotta sull’emittente televisiva abruzzese Super J da Paola Peluso. Tanti i temi affrontati, tanti i dubbi riportati e la ricostruzione delle ultime ore di Jois Pedone.

«Vi sentite un po’ soli?» è la domanda posta dall’inviata di Super K alla madre Mary. «Molto, passata l’ondata iniziale è come se ognuno ha ripreso la propria vita e come se non fosse successo niente» è stata la risposta, amareggiata, della signora Mary. Parole che dovrebbero far riflettere, scuotere le coscienze, che interrogano una comunità capace di una straordinaria mobilitazione nelle ore in cui non si avevano notizie.

Ma poi, come in altri casi, sembra stia iniziando a dimenticare, ad andare oltre, a non sentire il peso tragico e terribile di una vicenda drammatica. E non si interessa più al ragazzo, alla sua morte e a cosa può essere accaduto in quelle ore. Molti ancora oggi esprimono vicinanza alla famiglia, abbracciano la madre e tutta la famiglia simbolicamente e non solo, non dimenticano il sorriso e la vitalità di un ragazzo che avrebbe compiuto a breve vent’anni. Ma su tutto questo piomba un clima pesante, una cappa opprimente. Che vorrebbe archiviare, come ha già fatto il tribunale, la vicenda e continuare la vita come se nulla fosse successo.

Un copione non del tutto inedito per questo territorio: per esempio il 2024 è stato il decimo anniversario, passato nel totale silenzio, della morte di Eleonora Gizzi, scomparsa e poi ritrovata senza vita sotto un cavalcavia autostradale in via Salce. Il padre Italo è stato tra i fondatori, e primo vicepresidente, della sezione abruzzese di Penelope, la prima presidente fu l’avvocata Federica Benguardato (che oggi assiste la famiglia Pedone) che fu la legale della famiglia Gizzi. Un copione che sembra ripetersi ma non per questo ci si deve arrendere. Anzi, ancor più doveroso è impegnarsi ad interromperlo, non dimenticare e continuare a parlare, scrivere, dare voce alla memoria di Jois e la richiesta sacrosanta della famiglia di conoscere e soddisfare la sete di giustizia e verità.

Jois era un ragazzo che aveva tutta la vita davanti, un orizzonte di sogni e desideri, tanti progetti e una carriera universitaria avviata. Il tassista che lo accompagnò quella notte a Punta Penna ha raccontato di un ragazzo solare, positivo, vivace e allegro. Lo raccontano gli amici e la famiglia.  «Qualcuno gli ha messo un tarlo o comunque l’ha condotto a determinati pensieri» la convinzione espressa dalla madre a «Okkio, oltre la cronaca» su Super J. «Mio nipote è stato ammazzato, è stato ucciso» ha ribadito lo zio Rino Pedone all’inizio della trasmissione.

(WordNews, 14 gennaio)

 

Tra sette mesi saranno passati due anni dalla morte di Jois Pedone, sono già passati due mesi dall’archiviazione come “suicidio” disposta dalla Gup del Tribunale di Vasto Anna Maria Capuozzo.

Nelle settimane successive, quando in città si era a conoscenza che la famiglia aveva interessato le redazioni delle trasmissioni televisive “Chi l’ha visto?” e “Quarto Grado” e non si sarebbe arresa la tomba è stata profanata da “ignoti”. In una settimana particolare per il mondo satanista, i giorni in cui viene venerata la “Dea Regina dell’Inferno”, e in cui ci fu una particolare fase lunare. Esattamente come la notte in cui la vita di Jois fu spezzata. “I figli della luna”, come abbiamo già riportato nelle scorse settimane, era il nome della chat telegram a cui Jois era stato iscritto e che fa riferimento a tal mondo occulto.

Il tempo scorre e va via ma permangono, anzi probabilmente aumentano, dubbi, interrogativi, zone d’ombra, buchi neri. «Mio nipote è stato ammazzato, è stato ucciso» ha ribadito lo zio Rino Pedone lo scorso 9 gennaio ai microfoni della trasmissione «Okkio, oltre la cronaca» sull’emittente televisiva abruzzese Super J. Tanti aspetti insoluti su quanto è accaduto sono stati affrontati dalla madre Mary, dall’avv. Federica Benguardato e dallo zio Rino.

Tra questi la presenza di un’auto nera nei pressi dell’abitazione della famiglia, su cui Jois sale per poi tornare poco dopo, e la presenza di tre uomini all’ingresso dell’area portuale di Punta Penna nel momento in cui Jois scende dal taxi per dirigersi verso la spiaggia.

I tre uomini all’ingresso dell’area portuale, ha riferito il tassista in ogni occasione in questi ormai quasi due anni, si trovano di fronte il citofono. Due sembra stiano facendo finta di suonare, un terzo volge lo sguardo verso il taxi e Jois Pedone. Ma, come sottolinea la conduttrice Paola Peluso, non c’è nessuna necessità di suonare al citofono per persone a piedi: la sbarra può essere scavalcata o possono passare per il percorso pedonale. Gli inquirenti, riporta sempre Peluso durante la trasmissione, hanno analizzato i video della zona tra l’una e le tre (quando il cellulare di Jois Pedone smette di funzionare) ma affermano di non aver trovato nessun riscontro della presenza di queste 3 persone.

Video, aggiunge Peluso, non tutti completi, alcuni si interrompono. Altri approfondimenti sulla presenza di queste 3 persone non risultano essere stati svolti, sarebbe stata considerata irrilevante ai fini delle indagini. Il perché è uno dei tanti interrogativi lasciati dal decreto di archiviazione nella famiglia e nell’avv. Benguardato.

«Nel decreto di archiviazione si sostiene che non è necessario investigare oltre perché il tassista avrebbe detto che comunque Jois non fa particolari cenni a queste persone quando le vede, non dice al tassista di conoscerli e non dice niente, questo farebbe dedurre gli investigatori che Jois non li conosceva e quindi non è necessario capire chi fossero – ha raccontato nella trasmissione dello scorso 9 gennaio la legale – innanzitutto il dato non è certo, il tassista non può sapere perché Jois non gliene ha parlato o non fa nessun cenno dall’interno della macchina. Ma soprattutto, può essere che effettivamente Jois non li conosceva, questo non significa che loro non abbiano visto nulla, che non sia importante anche oggi sentirli e sapere cosa stavano facendo lì, se avevano visto qualcosa».

La presenza di queste tre persone vicino il citofono all’ingresso dell’area portuale di Punta Penna (in piena notte!) mentre Jois scendeva dal taxi non è l’unica presenza misteriosa di quelle ore. «È uscita un’altra dichiarazione dai carabinieri di uno che ha visto verso le 10 una macchina nera venire verso Jois, Jois affiancare questa macchina nera, scendere dalla sua macchina, entrare dentro la macchina nera, andare via, poi tornare, scendere, andare a casa sua – ha raccontato a «Okkio, oltre la notizia» lo zio Rino Pedone – quanto rientra non torna subito a casa, va via con la macchina nera, la macchina nera ritorna, scende e va a casa».

«Questa parentesi non è stata riportata dagli inquirenti» aggiunge Rino Pedone ai microfoni dell’emittente televisiva abruzzese.

(WordNews, 16 gennaio)

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Alessio Di Florio

Vicedirettore di Wordnews.it e attivista abruzzese dell’Associazione Antimafie Rita Atria e di PeaceLink, Telematica per la Pace. Collabora con Pressenza e altri siti web. Autore di articoli, dossier e approfondimenti sulle mafie in Abruzzo, a partire da mercato degli stupefacenti, ciclo dei rifiuti e "rotta adriatica" del clan dei Casalesi, ciclo del cemento, post terremoto a L'Aquila, e sui loro violenti tentativi di dominio territoriale da anni con attentati, intimidazioni, incendi, bombe con cui le mafie mandano messaggi e tentano di "marcare" la propria presenza in alcune zone, neofascismo, diritti civili, denunce ambientali tra cui tutela coste, speculazione edilizia, rischio industriale e direttive Seveso.

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