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“Il re è morto, viva il re”

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“Il re è morto, viva il re”. È quello che si dice nelle corti quando muore il sovrano, suggerendo l’idea che non bisogna guardare al passato, ma in avanti al capo su cui si poserà la nuova corona.

In questo settembre, per ironia della sorte abbiamo visto morire, quasi contemporaneamente due falsi re: uno “Re Giorgio”, monarca di una repubblica dove ancora brillavano gli ultimi resti del Partito Comunista e uomo per tutte le stagioni, da Berlusconi, a Monti, per non parlare del suo passato: non ha voluto funerali religiosi, ma Papa Francesco è andato, lo stesso a dargli l’addio e la benedizione.

L’altro re è “l’ultimo padrino”, “il boss dei boss”, u “Strocchiu”, u “Siccu”, eccetera, ma che, diversamente da re Giorgio non è stato mai re, se non nella sua terra, ovvero in quel lembo di Sicilia che va da Trapani a Castelvetrano, con qualche propaggine verso Castellammare, Alcamo e Partinico. Quindi niente ultimo padrino né capo di Cosa nostra: sulla sua persona è stato costruito un mito che ne accredita la presenza alle stragi di mafia del ’92, ai delitti più efferati, compreso quello del povero bambino Giuseppe Di Matteo, ma a ben guadare queste sentenze ci sono sempre gli stessi nomi dei mafiosi della cupola, quasi a dire: questi sono i responsabili di tutto: mettiamoci una pietra e chiudiamola lì.

Quindi nessun re, ma solo un mafiosetto di provincia, erede di un altro mafioso politicamente bene ammanettato, pompato dai media, solitamente alla ricerca del grande nome su cui far convergere tutto. L’ultimo vero capo in odore di merda è stato Totò Riina e dopo di lui il nulla, malgrado tentativi di ricomporre la corte e attribuire la corona: ora, di colpo, spunta il figlio del re, Giuseppe Salvatore Riina, a cui il Comune di Corleone ha deciso di dare la cittadinanza, e che, pertanto, dopo avere scontato alcuni trascorsi, oggi ha conquistato con il suo comportamento da bravo ragazzo, tutte le caratteristiche, i punteggi e le onorificenze che lasciano pensare che sarà lui stesso a poggiare sulla sua testa la corona che fu di suo padre. Intorno c’è una corte di figli e figli di figli che aspetta una ponderata divisione della torta gigantesca dei profitti nella mani di Cosa Nostra.

Il re è morto, viva il re.

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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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