Non tanto il rapimento, quello gli italiani lo hanno dimenticato in fretta; quanto la liberazione di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo ha fatto discutere migliaia e migliaia di famiglie.
Molti sono i dubbi che hanno attanagliato gli italiani: “è stato pagato un riscatto?”, “cosa fare nei casi di rapimento da parte dei terroristi? È giusto pagare? È sbagliato guardare solo all’integrità fisica della vittima del rapimento?”. Forse ciò che è sfuggito ai più in questi giorni è che non si tratta di una questione così semplice, il contemperamento di esigenze diverse è sempre un nodo difficile da sciogliere.
Si tratta di stabilire un difficile equilibrio fra interessi differenti, come la lotta al terrorismo, da una parte, e dall’altra la tutela dei diritti umani, decisione che dovrebbe essere rimessa ad esperti in materia e non lasciata in balìa del mutevole sentimento politico.
In questi giorni abbiamo assistito alle più grandi manifestazioni di debolezza e insicurezza umana: dichiarazioni aberranti di uomini politici che facevano leva sul malcontento generale che regna in Italia; articoli di giornale scarsamente documentati ma fortemente accusatori; commenti di cittadini che, nascosti dietro uno schermo e una tastiera, hanno raggiunto una tale pochezza morale da indurre alla riflessione. In riferimento alle due ragazze infatti il pubblico italiano si è sbizzarrito con i più lauti improperi: “stronzette di Damasco”, “hanno fatto sesso gratis con i guerriglieri”, “bisognerebbe condannarle alla prostituzione gratis a vita”, “era meglio se le avessero stuprate”, “potevano fare del bene rimanendo in Italia, non era necessario andare in luoghi così pericolosi”.
Premettendo che ognuno è libero di fare del bene nella misura e nel modo che ritiene più opportuno, non si può far a meno di notare le numerose incongruenze in cui ogni volta siamo soliti cadere.
Et voilà, ecco a voi il Paese delle contraddizioni, il Paese in cui chi urla sembra più democratico rispetto a chi parla a bassa voce, in cui chi distrugge è più forte di chi tenta di ricostruire,.in cui chi offre volontariato nella propria nazione è più bravo di colui che va nei paesi di guerra, in cui chi mangia la carne odia gli animali e chi mangia solo la verdura è uno che vuole mettersi a dieta, ma non ha il coraggio di ammetterlo a se stesso.
Siamo in un Paese in cui c’è una certa sensibilità sul tema dell’immigrazione, ma se vieni dall’africa potresti portare le malattie;in cui l’allarme Ebola ci ha fatto dimenticare del problema della fame nel mondo, forse perché quest’ultimo non è contagioso; in cui vige la libertà di professare la propria religione, ma alcuni “se vogliono fare come pare a loro dovrebbero tornare a casa”; in un Paese in cui l’omosessualità è tollerata, ma in fondo in fondo i gay sono “nati invertiti”; in cui siamo attenti a malattie gravi come la Sla, ma siamo del tutto indifferenti al problema delle barriere architettoniche.
Siamo in un Paese in cui ultimamente si è sviluppato nelle grandi città il fenomeno delle social streets, per stringere i rapporti di vicinato, ma in realtà il nostro vicino ci è sconosciuto; in cui il concetto di quartiere coincide al massimo con i confini della propria città e non si spinge fino alla qasba del mondo arabo, abbattendo così le molte barriere culturali.
Siamo in un Paese in cui storciamo il naso se dobbiamo pagare la scorta ad un giornalista che fa solamente il suo lavoro, un magistrato che crede nella giustizia, un collaboratore di giustizia che ha ancora fiducia nella verità.
Siamo un Paese in cui un politico Italiano non fa in tempo ad ammalarsi che gli vengono augurate le peggiori sciagure; in cui una giornalista non può dire la propria opinione sui due marò che “era meglio fosse morta lei al posto dell’agente partito per salvarla”.
Siamo un Paese in cui molti di noi neanche sapevano cosa fosse “Charlie Hebdo”, ma il giorno dopo l’attentato di Parigi tutti erano “Charlie”.
Siamo in un Paese in cui rimaniamo impassibili dinanzi alle numerose operazioni di sequestri giudiziari alla criminalità organizzata; in cui le strade più semplici sono le migliori; in cui chi non paga le tasse è più furbo di colui che fa il dovere di cittadino, pertanto è un modello da seguire; in cui fatturare è un optional; in cui ci stupiamo dinanzi a colui che compie il proprio lavoro con onestà e dedizione; in cui le persone che tentano di cambiare qualcosa vengono lasciate sole; in cui protestare democraticamente per un proprio diritto è diventata una follia; in cui situazioni diverse vengono messe sullo stesso piano e casi simili vengono messi su due pianeti diversi.
Ovviamente se siete degli inguaribili sostenitori del fenomeno della globalizzazione basta sostituire alla parola “Paese” la parola “mondo”, ed ecco che “Tutto il mondo è paese”.
Molte ed infinite sono le contraddizioni e in ogni vicenda sociale queste sono pronte a riemergere, ma al di là di tutte queste divergenze non bisogna mai dimenticare l’incredibile peso che le nostre parole hanno nella società.
In questi giorni abbiamo assistito ad una vera e propria “fiera alla libera offesa”, in cui è stato usato in modo degradante il sacrosanto diritto alla libertà di espressione e si è arrivati alla denigrazione dell’altro pur di affermare la superiorità della nostra opinione.
C’è una certa tendenza a parlare con troppa leggerezza, senza pensare alla responsabilità che abbiamo ogni volta che esprimiamo un’ idea o un pensiero, ed il modo e i mezzi con cui lo facciamo è fondamentale e non trascurabile.
Le parole hanno un peso e una forza, tendiamo a dimenticarlo troppo spesso.
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Ottimo articolo, è esattamente ciò che penso io. Brava!