Di dieci siciliani che incontri, due hanno votato per Berlusconi (uno con la pistola in tasca), due per Beppe Grillo e uno per Andreotti. I primi due se ne vanno soddisfatti e in fretta per gli affari loro, che non occorre sapere, i grillini si guardano in giro fra incazzati e orgogliosi, e il democristiano litiga con se stesso, con una mano dandosi pugni sui cosiddetti e con l’altra cercando di autofregarsi il portafoglio dalla tasca di dietro. Li vedi allontanarsi tutti e cinque per ignota destinazione.
Momento. Ma non avevi detto che erano dieci? Qua ce ne sono cinque. E gli altri?
Gli altri semplicemente non esistono. O non si vedono, o sono partiti lontano – i giovani soprattutto – oppure sono qui trasparenti come fantasmi, a cui il serio politico non crede. Metà dei siciliani infatti non hanno votato affatto. Sono il primo partito, e infatti fanno un governo – a Berlino, a Toronto, a Dubai, dovunque li ha portati il vento – che non governa niente eppure decide tutto. Di dieci milioni di siciliani, metà sono (ancora) qui e metà sparsi nel mondo. Questi ultimi vanno aumentando, e partono a diciott’anni.
I Siciliani, come sapete, non partecipano alle elezioni: il loro lavoro è l’antimafia sociale e il loro “partito” produce cittadini e non parlamentari. Ma è inutile nascondere che molti di noi un candidato amico l’avevano, ed era uno dei primi Siciliani, Claudio Fava. Quand’è venuto a Catania a San Cristoforo, a sfidare gli amici dei mafiosi, non l’abbiamo lasciato solo ma gli ci siamo affollati attorno: su mafia e antimafia non si discute, il resto, tutto il resto, viene dopo. Purtroppo, pochi giorni dopo, al centro della città, nel comizio “importante”, con lui c’era un barone del vecchio regno, certo D’Alema, e stavolta la piazza è rimasta semivuota.
La nostra cronaca delle elezioni è tutta qui. C’è stato un partito dell’antimafia, che si chiamava communista (al tempo dei nostri nonni) e alla fine s’è sciolto per diventare andreottiano. Ce n’è stato un secondo, che si chiamava La Rete, ma poi i suoi capi, accecati, hanno cominciato a battersi fra di loro. Adesso c’è il doposcuola del Gapa, le inchieste dei Siciliani, la squadra dei Briganti e i ragazzi di Napoli, e gli studenti sociologi di Milano e quelli di Bologna e i calabresi e altre cose così, in giro per l’Italia, che noi cerchiamo di collegare alla meglio e sono – senza “politica” – la nostra vera politica, che non prevede onorevoli ma persone comuni.
C’è il numero del giornale da preparare, ci sono i due fogli speciali da fare a novembre e a dicembre, ci sono le inchieste sui senzacasa e quelle sui ragazzi di Napoli, e i boss cui non dare tregua e i bambini da portare al doposcuola, e i soldi da raccogliere per il Giardino di Scidà dentro un ex terreno dei mafiosi, e le spedizioni dei Siciliani da organizzare sui Tir che pure appartenevano ai mafiosi.
Una mano a don Ciotti e Landini, con la loro campagna Numeri in rete contro la povertà in cinquanta città d’Italia, una mano ai ragazzi di Gammazita che lottano e fanno feste nel quartiere mezzo liberato; e al vecchio padre Peppe col suo gran crocifisso in testa al corteo contro l’inceneritore, ad Antonella che organizza le lotte per l’acqua libera e non dei padroni, ad Anna che sta con gli emigranti bianchi e neri, ai ragazzi dei campi presi ai mafiosi a Corleone, al gelsominaio di Giarre che verrà a dare una mano per il Giardino, ai liceali di Senigallia e a quelli catanesi, a Fabio che campa a stento e scrive cose bellissime che nessuno vuole, a Maurizio fotografo che venne da ragazzino ad arruolarsi nei Siciliani, a tutti questi e a molti altri ancora, che non s’illudono in niente ma sperano in qualche cosa che prima o poi vedremo.
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