L’affare del metano nasce e prende corpo in Sicilia agli inizi degli anni ’90, allorché i sei fratelli Cavallotti cominciano ad occuparsene. C’è in ballo un fiume di miliardi in arrivo, si parla di 400 miliardi delle vecchie lire, da parte della Comunità Europea, che li affida alla Regione e da questa ai Comuni, che penseranno ad affidare le concessioni. Decidono di mettersi in proprio, ognuno con una propria azienda relativa a uno specifico settore. È tutto in ordine, partecipano ai bandi della Regione, hanno i requisiti richiesti, cominciano ad aggiudicarsi numerose concessioni per metanizzare molti comuni, con il sistema del project financing, ovvero offrono ai comuni la costruzione degli impianti di metano, con fondi propri, con la clausola del possesso di una gestione trentennale, per poi lasciare tutto all’Ente Committente, cioè ai comuni stessi.
Sul mercato c’è già l’Azienda Gas spa, nata per iniziativa di un impiegato regionale, di nome Brancato, il quale, decide di potenziare la società, e chiede soldi e protezione a Vito Ciancimino, allora all’apice della carriera politica. Ciancimino si serve di un suo commercialista, Lapis, legato ai più discussi politici siciliani, da Cintola a Vizzini, a Cuffaro: viene stipulato, alla presenza, a Mezzoiuso, dell’allora Presidente della Commissione Antimafia Lumia, un protocollo di legalità che apre le porte alla Gas spa e al terzetto Ciancimino-Lapis-Brancato, perché con questo patto di legalità vengono assegnati ai mafiosi direttamente gli appalti, senza alcuna celebrazione di gara: rispetto alle proposte di concessione presentate dai Cavallotti le cifre vengono raddoppiate, in qualche caso triplicate. Addirittura, le ditte private vengono escluse, con una circolare dell’allora assessore all’industria Castiglione, dalla possibilità di accedere ai finanziamenti pubblici, mentre, con un escamotage, la cosa è consentita all’azienda GAS spa. Unico ostacolo la Comest e la Coip, cioè le aziende del gruppo Cavallotti, che già hanno ottenuto numerose concessioni nei comuni Siciliani, ma si fa presto a metterli fuori gioco. Belmonte è la patria di Benedetto Spera, uno dei più temuti mafiosi legati a Bernardo Provenzano: attraverso il collaboratore di giustizia Ilardo, infiltrato appositamente, viene trovato un “pizzino” nel quale, con riferimento a un appalto ottenuto ad Agira, è scritto: “Cavallotti quattro miliardi”. Non parleremo del calvario subito dai Cavallotti, che si trascina sino ad oggi e del quale si sono occupati Le Iene, con la nostra collaborazione. Tutto liscio invece, almeno sino a poco tempo fa per la società Gas spa di Ezio Brancato composta da sei imprese, con sede a Palermo, in via Libertà 78, che fornisce metano a 74 città siciliane, oltre che in Abruzzo. Ciancimino fiuta l’affare e si ci ficca dentro, sino a quando non è condannato, il 2 dicembre 1993 per associazione mafiosa. Quando i beni di Ciancimino vengono confiscati, viene anche confiscata la sua quota, ma non quella di Brancato. Il 13 gennaio 2004 è una data importante per la multinazionale spagnola Gas Natural sdg. Quel giorno la compagnia iberica acquista con ben 120 milioni di euro una società italiana del gruppo Gas spa.
Tra i magistrati chiamati in causa dall’avvocato Livreri ci sono Giuseppe Pignatone (oggi procuratore della Repubblica a Roma), Michele Prestipino Giarritta ( pm a Reggio Calabria), Sergio Lari (già procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Caltanissetta) e i pm presso il Tribunale di Palermo, Lia Sava e Roberta Buzzolani. Un altro magistrato indicato nei suoi esposti dall’avvocato Livreri è Giustino Sciacchitano, già in servizio presso il Tribunale di Palermo tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 (proprio quando la mafia ammazzava l’allora Procuratore della Repubblica di Palermo, Gaetano Costa) e poi magistrato presso la Dda a Roma. Per la cronaca, il figlio di Giustino Sciacchitano, Antonello, avrebbe sposato Monia Brancato e sarebbe consuocero della Maria D’Anna Brancato.
Secondo una dichiarazione di Antonello Sciacchitano, nell’ottobre 2000, al matrimonio vip di Monia Brancato, figlia del Presidente della GAS siciliana con lo stesso Antonello Sciacchitano, figlio del Procuratore Giustino Sciacchitano, c’erano tra gli amici dello sposo Giuseppe Pignatone (già procuratore aggiunto a Palermo, poi procuratore capo a Reggio Calabria, oggi procuratore capo a Roma), Pietro Grasso (già Procuratore capo a Palermo), Francesco Messineo (già procuratore capo a Palermo) e Luigi Croce (già Procuratore generale Corte Appello Palermo). Ovviamente c’era anche lo zio Gianni Lapis e la sua famiglia e lo zio Luigi Italiano con il fratello Giuseppe Italiano, i Campodonico e l’avv.to Mulè e tutti gli altri soci della GAS. Secondo una chiave di lettura tutta siciliana sembra evidente che il calvario e la fine dei Cavallotti abbia avuto come contraltare il successo della società GAS di Brancato e di tutto il codazzo di politici, con il presunto consenso di alcuni magistrati a vantaggio del figlio del giudice Sciacchitano, che poi si è separato da Monia Brancato e alla quale, solo lo scorso anno, nel 2017, sono stati messi sotto sequestro i beni.
Tutto ciò, tanto per aggiungere un tassello all’allucinante vicenda dell’Hotel Elena, gestito dalla moglie di Giusto Sciacchitano, del quale abbiamo avuto notizia in un recente servizio delle Iene: un albergo esistente, ma inesistente, al quale finalmente, solo oggi sono stati messi i sigilli del sequestro.
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