Il difficile mestiere di giornalista
Dopo il pestaggio di Ostia, il nostro pensiero va inevitabilmente all’aggressione subita da Pino Maniaci nel lontano 30 gennaio 2008, da parte di un rampollo della famiglia dei mafiosi che allora spadroneggiavano a Partinico. Oggi il suo aggressore circola liberamente, e Maniaci non è più citato né ricordato.
La violenza con la quale il palestrato malandrino di Ostia ha aggredito un giornalista della RAI riporta, al di là delle strumentalizzazioni, all’eterno problema del ruolo del giornalista, ai rischi che si corrono quando si vuole fare giornalismo serio e coraggioso. Inevitabilmente il pensiero va all’aggressione, non molto differente, subita da Pino Maniaci nel lontano 30 gennaio 2008, da parte di un rampollo della famiglia dei mafiosi che allora spadroneggiavano a Partinico e a quando egli, con l’ematoma in faccia fece ugualmente il suo telegiornale mostrando ai telespettatori i segni della violenza, certamente determinata dalla campagna condotta dalla sua e nostra emittente contro i Vitale-Fardazza.
La risonanza mediatica di quell’evento non è stata quella che oggi è stata data all’evento di Ostia, e non poteva esserlo, poiché la RAI è un’altra cosa, ma una riflessione è possibile: Per arrestare il fratello del boss di Ostia Spata è stato necessario alla procura inventarsi la giustificazione “mafiosa” del gesto, e bene hanno fatto, mentre questa non è stata considerata nel caso di Maniaci. E tuttavia, a seguito di quel gesto a Maniaci è stata data la “tutela”, della quale egli gode ancora oggi, dopo che da parte di una serie di forze istituzionali, (procura, carabinieri, giornalisti) nei suoi confronti è stata fatta una campagna di delegittimazione.
E quindi oggi Maniaci non è più citato né ricordato, mentre circola liberamente, dopo avere saldato i suoi conti con la giustizia, il suo aggressore. Dopo di ciò siamo sempre al solito problema: sino a che punto in Italia è possibile fare un ruolo d’inchiesta e di denuncia con tutti i rischi che ne derivano e fino a che punto i mezzi d’informazione sono disposti a “rischiare”, tenendo presente che spesso i giornalisti “con la schiena dritta” si trovano a confrontarsi con fascisti, mafiosi, violenti massoni, politici, magistrati, con il dubbio, che spesso diventa paura di rimetterci la pelle. Le ultime defenestrazioni dalla RAI della Gabanelli, di Giannini e di Giletti insegnano, ma loro sono ormai dei “nomi” e troveranno posto in qualche altra emittente di grande respiro, gli altri dovranno arrabattarsi nel loro piccolo e continuare giornalmente a pensare se è il caso di cambiar mestiere.