La storia comincia il 3 maggio 2013, quando la Dia mette i sigilli agli otto negozi Bagagli, di Palermo, una catena di negozi “in”, che lavora da 25 anni, specializzata in griffe, pelletterie, borse e scarpe di marca, composta dal gruppo Bagagli s.a.s., (che gestisce i negozi di Via Mariano Stabile, via XX settembre, Viale Strasburgo, Bagheria), dalla Bagagli srt (negozio a Catania, outlet e Furla, quest’ultimo chiuso dall’amministratore giudiziario e svenduto per pochi soldi), e dalla Bagagli 1987 di via Messina.
Vengono sequestrati, oltre ai punti vendita, 44 beni immobili, fra magazzini e terreni, 26 rapporti bancari, tre auto di lusso, una moto e un’imbarcazione di venti metri ancorata al porticciolo di San Nicola L’Arena e persino una rivendita di tabacchi, il tutto per 16 milioni di euro. L’indagine, portata avanti dai sostituti Dario Scaletta e Vittorio Teresi rivela che il proprietario della Bagagli, Filippo Giardina sarebbe un prestanome di Salvatore Milano, boss di Porta Nuova e suo cugino acquisito. Addirittura si parla di rapporti con la Palermo calcio, perché a qualche suo dirigente è stato regalato un paio di scarpe. Alla base di tutto un “pizzino” rinvenuto nel covo dei boss Lo Piccolo, con esplicito riferimento ai negozi Bagagli, ma anche intercettazioni, dichiarazioni di collaboratori di giustizia e presunte sperequazioni tra i redditi dichiarati e gli investimenti effettuati, dubbie vincite al lotto, simulate come cessione di titoli vincenti. Il nome di Salvatore Milano era già venuto fuori al maxiprocesso, grazie alle dichiarazioni di Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno, come uomo d’onore della famiglia di Palermo Centro. Scontato il carcere il boss era stato di nuovo arrestato nel 2008 con l’operazione Perseo, che lo aveva visto partecipe al primo tentativo di ricostituire la Commissione Provinciale di Cosa nostra, con il ruolo di cassiere del mandamento di Porta Nuova, dedito all’assistenza economica dei boss in carcere e delle loro famiglie. Sua sorella Angela ha sposato il figlio di Michele Greco, “U Papa” ed è madre di Leandro Greco, arrestato nel gennaio 2009 nel tentativo di rimettere in piedi la Cupola con il figlio di Salvatore Lo Piccolo. Filippo Giardina, cugino di Milano, avrebbe fatto parte della famiglia mafiosa del quartiere Pagliarelli, controllata dal boss emergente, ora in carcere, Gianni Nicchi, la cui sorella lavorava presso uno dei negozi sequestrati.
Quando scatta il sequestro disposto dalla dott.ssa Saguto, l’azienda viene affidata a Walter Virga, che trova, nei vari negozi un attivo di oltre 300.000 euro, ma, nonostante ciò, dispone il congelamento dei debiti “pregressi”, per cui, viene bloccato il pagamento ai fornitori e si dispone il pagamento di parcelle, intorno a 3.000 euro, all’amministratore giudiziario, al suo collaboratore avvocato Domenico Mirto, saltuariamente ad un altro paio di avvocati e a un presunto esperto commerciale di nome Alessandro Gallipoli Kallinen.
Da una generale valutazione, il versato è spesso inferiore agli incassi effettivi dei punti vendita, si registrano prelievi per pagamenti di ipoteche e trasferte senza documentazione di spese, rifornimenti ingiustificati di carburante, acquisto medicinali, ricariche telefoniche, cocktail, cene a base di ostriche e sushi e altre operazioni antieconomiche che in pochi mesi portano l’azienda in una situazione disastrosa, con perdita d’immagine e di clientela. I fornitori, non più pagati, chiedono il pagamento anticipato, si rilevano errati versamenti, appropriazione non documentata di merci nei punti vendita, senza pagamento, discriminazioni verso alcuni dipendenti, agevolazioni verso altri, ammanchi di merci a fine anno, assunzioni part-time a 18 ore in punti in cui non c’è bisogno, contratti part-time e cassa integrazione per altri dipendenti, con la complicità dei sindacati. Tutto ciò mette in ginocchio l’azienda, che è costretta a chiedere un finanziamento di 100.000 euro per pagare le forniture.
Tra un rinvio e l’altro, mentre si aspetta un’udienza definitiva, due storiche dipendenti stipulano un “contratto di affitto d’azienda” per il negozio di via Messina, mentre gli altri tre negozi sopravvissuti chiudono i battenti nel maggio 2018 lasciando senza lavoro 18 dipendenti: “mancanza di merce, assenza di pos, malfunzionamento del registratore di cassa, vetrine vuote”, insomma un’amministrazione giudiziaria che ha cancellato una delle aziende palermitane più rinomate nel campo della pelletteria, anche dopo che Walter Virga è stato sostituito dall’avvocato Antonio Coppola e da Nunzio Purpura, ex comandante dei vigili urbani. Poiché a Giardina non è rimasto nulla da restituire, l’udienza per decidere la confisca o la restituzione, è sembrata avere il sapore di una beffa. Anzi, a chiudere il cerchio, il 16 gennaio 2019 è arrivata la prima confisca per decisione della sezione misure di prevenzione del Tribunale, presieduta da Raffaele Malizia, a latere Simona Di Maida e la relatrice Ettorina Contino.
Il GdS, ma anche il blog TP Antimafia.it parlano di una maxiconfisca da 69 milioni di euro che colpisce Salvatore Milano, 65 anni, ma si legge che sono stati restituiti alcuni terreni, conti correnti e titoli bancari, ritenuti di provenienza lecita, in favore di prossimi congiunti e parenti dei due indagati. Su 120 beni 69 sono stati confiscati e 51 restituiti, ma i numeri indicati dai quotidiani non dicono niente, perché il conto va fatto sul valore di ogni singolo bene. Chiude la vicenda la definitiva confisca del 14 febbraio 2019, per un valore di 8 milioni di euro, e il contemporaneo dissequestro di altri beni riconducibili ai parenti di Giardina e Milano, con la misura della sorveglianza speciale per quattro anni a Milano e tre anni a Giardina
Sui conti c’è qualcosa che non funziona: all’inizio del sequestro si parla di 16 milioni di euro, al momento della prima confisca di 69 milioni, all’atto della confisca definitiva di 8 milioni. In mezzo ci stanno naturalmente tutte le spese dell’amministrazione giudiziaria.
L’ennesimo colpo di scena scatta nel maggio 2019, quando la sezione fallimentare del Tribunale di Palermo, presieduta da Giovanni D’Antoni, dichiara il fallimento della Bagagli sas, estendendolo al socio accomandatario, Filippo Giardina. Il legale di Giardina. La cosa presenta risvolti incredibili: Giardina si è visto caricare sulle spalle un fallimento sul quale non ha nessuna responsabilità, dal momento che tutto il patrimonio dal 2013 è stato in amministrazione giudiziaria. Sulla disastrosa conduzione di questa amministrazione basti ricordare una serie di ammanchi, già presenti ai tempi della gestione di Walter Virga, che ammetteva che “è stato perso il controllo della situazione… dal magazzino mancano 240 paia di scarpe… oggi c’è uno là dentro che ruba, che è dipendente se oggi noi lo allontaniamo ce ne usciamo meglio”. Un suo coadiutore, senza giri di parole, diceva che nella contabilità del 2013 “c’è un bordello”. Ultimati i conteggi, all’appello mancherebbero 25 mila euro, prelevati in contanti delle casse dei punti vendita. Ma anche l’amministratore giudiziario Giovanni Coppola subentrato nel 2015 all’avvocato Walter Virga, sostiene che “una discutibile gestione amministrativa ed organizzativa e un quasi inesistente controllo dei coadiutori condusse sul fine del 2014 e il 2015 ad un gravissimo stato di vera e propria insolvenza”.
Secondo il legale di Giardina l’estensione del fallimento al suo cliente è una palese ingiustizia, poiché il fallimento del socio accomandatario, che risponde personalmente dei debiti, “si fonda sul suo effettivo dominio e potere gestorio della società”. Ed invece Giardina non era più gestore della sua azienda dal 2013. È stata “la scellerata e disastrosa attività amministrativa”, sostiene il legale, a provocare debiti quasi 4 milioni di euro.
Conclusione: il povero Giardina si è visto espropriato dei suoi beni ed è stato dichiarato fallito per i guasti che gli altri hanno provocato alla sua azienda.
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