Ci sono maestre, maestrine, catechiste, parroci che ne hanno fatto una questione personale: Halloween è la festa del diavolo, dei diavoli usciti dall’inferno per farci paura, dei mostri che ci vogliono mangiare e non bisogna festeggiare questa ricorrenza altrimenti si fa peccato, Gesù si mette a piangere, si diventa cattivi e altre stupidaggini di questo tipo. Evito di fare i nomi o di segnalarli al vescovo per i provvedimenti del caso, ma sono convinto che così non si fa catechismo, ma terrorismo. Non si possono violentare le menti dei bambini invitandoli a prendere le distanze da forme culturali che, da tempo hanno smesso di essere religiose per restare solo folkloristiche. Lo scorso anno di questi tempi, in occasione del riconoscimento Unesco del percorso arabo-normanno della Sicilia, l’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice ha detto che la “contaminazione” è un passaggio che arricchisce le civiltà” e contaminazione vuol dire incontro, scambio, dialogo, serena convivenza, simbiosi come nel caso della civiltà arabo-normanna. Quindi Gesù non piange e non si arrabbia se vede i bambini che festeggiano Halloween, ma ride e si diverte insieme a loro.
Halloween è una festività celtica che si festeggia la notte del 31 ottobre. In origine si dice che le mitiche popolazioni celtiche, per esorcizzare la paura degli dei del male, partecipassero a una festa, il Deathday in cui si mascheravano e si vestivano da scheletri, orchi, ragni, streghe, ecc. L’origine della festa è indicata nel 1375. La festa è stata poi esportata dai celti dell’arcipelago britannico e dagli Irlandesi in America e da lì si è diffusa in altri Paesi con manifestazioni varie, dalle sfilate in costume ai giochi dei bambini, che girano di casa in casa recitando la formula ricattatoria del trick-or-treat (dolcetto o scherzetto). Caratteristica della festa è la simbologia legata alla morte e all’occulto, di cui è tipico il simbolo della zucca intagliata, derivato dal personaggio di Jack-o’-lantern. E comunque, in origine era una rapa. La parola Halloween rappresenta una variante scozzese del nome completo All Hallows’ Eve, cioè la vigilia di Ognissanti (in inglese arcaico All Hallows’ Day, moderno All Saints’ Day) e comincia ad essere usata dopo il 1500. Altri fanno derivare il nome dal vocabolo celtico della festività Samuin, che significa “la fine dell’estate”. Per chiudere questa nota è il caso di ricordare come Padre Gabriele Amorth, esorcista della diocesi di Roma, ha affermato che «festeggiare la festa di Halloween è rendere un osanna al diavolo. Il quale, se adorato, anche soltanto per una notte, pensa di vantare dei diritti sulla persona». Scambia il fare festa come adorazione, e così come lui qualche altro fanatico integralista. Per contro l’archidiocesi di Boston ha organizzato Saint Fest (Festa Santa) per ricondurre Halloween alle sue radici cristiane come celebrazione della notte prima di Ognissanti o All Hallows Eve. Va detto chiaramente che qualsiasi festa ha come scopo il divertimento, ma può nascondere qualche significato, al di là del consumismo che la caratterizza. Quindi nessuna lacrima, Gesù non piange per queste cose e i bambini festeggiano per ridere e divertirsi. Il discorso da fare è un altro.
Non abbiamo bisogno né di zucche né di rape né di maschere. La nostra “Festa dei morti”, quella che dalla notte di Ognissanti passa al due novembre, ci ricongiunge per un giorno con i nostri cari parenti e amici scomparsi ed è un modo per tenere viva la loro memoria. Ma quella de “i morti” è soprattutto una festa dei bambini, ai quali si vuole esorcizzare qualsiasi forma di paura e generare amore verso chi non c’è più e, grazie al quale ci siamo noi: di notte, mentre obbligatoriamente i bambini devono dormire dopo aver lasciato le loro scarpe davanti all’uscio di casa, passano i morti, che lasciano vestiti, dolciumi, giocattoli, castagne, calia e simenza, frutti di martorana, pupi di zucchero, mustazzoli e altro. Più o meno come Babbo Natale o la Befana, altre figure importate, per le quali Gesù non piange. È un atto d’amore e un interscambio di vicinanza tra “i picciriddi”, che sono all’inizio della vita e i morti che continuano in altro modo il ciclo dell’esistenza. Non fantasmi di cui spaventarsi, zombie, anime in pena, ma simpatiche presenze che stanno con noi per darci forza. E così la morte non è più una perdita, ma un cambio di status nel ciclo universale della vita. Fare festa per i morti, è qualcosa che solo noi siciliani abituati a conoscere sulla nostra pelle il sottile filo che separa la vita dalla morte, possiamo pensare, fare e vivere. Quindi niente condanne e niente esorcismi, ma un invito a tutti i bambini, alle bambine, anche ai genitori, a divertirsi con la festa dei mostri, che, come si è visto, è anch’essa di origine cristiana, senza scordare che due giorni dopo c’è un’altra festa, quella dei morti, ben più importante e densa di significati. In questa occasione è d’obbligo una visita al cimitero per fare un omaggio ai nostri parenti morti e per ricordarci che se ci siamo è grazie a loro.
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