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CSM, trojan e lotta alla corruzione

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Una riflessione sullo scandalo CSM e l’uso dei trojan

La recente inchiesta di Perugia vede attualmente indagati per corruzione Luca Palamara, pm a Roma, ex Csm, già presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, tra i leader della corrente Unicost, insieme ai magistrati Luigi Spina e Stefano Fava, indagati per rivelazione di segreto istruttorio.

Tutto nasce dalle intercettazione di un virus trojan iniettato nel cellulare di Palamara che stanno documentando (giorno dopo giorno i dettagli aumentano a dismisura) gli incontri del pm con l’ex ministro Luca Lotti, il magistrato-deputato Pd Cosimo Ferri (tra i leader della corrente Magistratura Indipendente), e alcuni membri del Csm. In queste conversazioni si discuteva in particolare di come sostenere la corsa del procuratore generale di Firenze Marcello Viola, il più votato in commissione al Csm per la Procura di Roma, contro Francesco Lo Voi ritenuto in continuità col procuratore uscente Giuseppe Pignatone. Secondo i pm perugini, Palamara voleva usare un esposto presentato dal pm Fava in modo da screditare il procuratore aggiunto Paolo Ielo. Tale esposto riguarda presunte ragioni di astensione in una particolare indagine in capo all’ex procuratore capo Pignatone e Ielo per gli incarichi che sarebbero stati assunti dai due fratelli dei magistrati.

In sostanza grazie ad un semplice e comune virus trojan, il cui utilizzo in precedenza era previsto per i reati di mafia e terrorismo, è venuto alla luce un coacervo di interessi e di potere all’interno dell’organo di autogoverno della magistratura : il Csm. Il caos generatosi è comprensibile visto che da troppo tempo si sta invano discutendo sulle riforme del metodo di selezione dei consiglieri ormai succube delle correnti legate al mondo della politica.

Tale strumento ha iniziato ad avere ampio utilizzo per i reati contro la pubblica amministrazione a seguito dell’approvazione della legge “Spazzacorrotti”. Sono di queste ultime ore le nuove polemiche che vedono come protagonista il trojan in quanto ritenuto da molti uno strumento troppo invasivo che va a ledere la sfera privata di ogni cittadino. Insieme a questa legittima obiezione, su cui arriveremo a breve, viene inserito anche il classico monito politico che ha contraddistinto tutti i governi dai tempi post-tangentopoli fino ai giorni nostri: serve una stretta alle intercettazioni. Stavolta è la Lega con il Ministro dell’Interno Salvini ad andarci giù molto pesante, arrivando ad invocare la “galera” per chi pubblica stralci di intercettazioni non penalmente rilevanti. E qui potremo stare a discutere all’infinito su cosa debba essere prevalente, dal punto di vista di una classe politica che ha dimostrato di essere in larga parte corrotta, tra il diritto dell’informazione a far conoscere ai cittadini fatti non penalmente rilevanti ma “moralmente” rilevanti e la lesione della sfera privata dei cittadini, in questo caso politici, magistrati, pubblici ufficiali ecc. Si è visto come con il governo giallo-verde ci sia stato un decisivo spostamento di prospettiva rispetto al passato in tema di lotta alla corruzione: l’ala dei 5 stelle ha portato a casa con la Spazzacorrotti una serie di riforme attese, dagli esperti del diritto, da oltre un ventennio: l’elemento più importante, che si lega contestualmente all’uso del trojan, è che il reato di corruzione è stato inserito tra i cosiddetti reati “ostativi” che impediscono di chiedere misure alternative al carcere, per i reati di terrorismo e della criminalità organizzata.

Ora, sul tema del “trojan” si può dire da un lato che la suddetta conversazione intercettata con la presenza dell’onorevole Ferri violi la Costituzione. E’ lo stesso Ferri a dircelo giorni fa, ed insieme a lui tutto il gotha della politica e della magistratura colpiti nell’orgoglio ipergarantista. In sostanza si dice che tale conversazione captata dal trojan installato sul cellulare del pm Palamara avrebbe violato l’art.68 della Costituzione, che recita: “ I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza. Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza.

Secondo Ferri gli inquirenti erano certi della sua presenza e quindi avrebbero dovuto spegnere il trojan essendo sprovvisti dell’autorizzazione preventiva delle Camere. Si dirà che il trojan, vista la sua invasività, va ad aggredire il primo diritto, quello della privacy, di cui sono figli tutti gli altri e che quindi per comprimere tale diritto, servirebbe comprimere un valore costituzionale altrettanto forte. Occorre però anche dire che la garanzia costituzionale è a tutela delle funzioni del parlamentare contro possibili prevaricazioni, quindi sulla vicenda del Csm e delle intercettazioni captate, pare difficile pensare ad una violazione pura e semplice della Costituzione. Inoltre una cosa è la rilevanza sul piano giuridico, altra cosa è la valutazione della correttezza del comportamento.

È vero, il trojan è uno strumento molto invasivo, ma i reati di corruzione sono nascosti peggio dei rettili in pieno inverno, con un gioco ormai classico tra corruttore e corrotto a coprirsi a vicenda. I reati di corruzione vanno a ledere il tessuto civile e la fiducia nelle istituzioni e non si può sorvolare su questo punto che rappresenta uno dei peggiori cancri del nostro Paese. E vogliamo dirla tutta, nel caso di specie, il trojan ha reso un po’ di giustizia nei confronti di un mondo, quello dei magistrati, troppo spesso al di sopra della legge quasi più dei parlamentari, soprattutto all’interno dei giochi di potere nelle correnti del Csm (il caso Why Not? insegna). I magistrati sono sopravvissuti alla crisi dei partiti. Con la Prima Repubblica, nel giro di pochi mesi, sono finiti tutti i partiti e gli unici che sono sopravvissuti sono state proprio le correnti della magistratura, che hanno operato con gli stessi metodi, se non forse peggiori di quelli adottati dai partiti della Prima Repubblica. Non dimentichiamoci, riferendoci al Csm e ai loro componenti, le stilettate e continue sconfitte inflitte a Giovanni Falcone e all’isolamento e successivo smantellamento del pool di Palermo nella seconda metà degli anni 80 con la conseguente convocazione di Paolo Borsellino colpevole di aver denunciato il comportamento scorretto delle correnti dell’allora Csm.

Semmai, una delle problematiche del trojan che non viene affrontata con la dovuta attenzione è il fatto che il suo utilizzo è delegato a soggetti privati fuori dall’area istituzionale: l’attivazione e la disattivazione dei trojan, operazioni fondamentali per l’ottimizzazione delle intercettazioni, sono affidate a soggetti ausiliari privati e questo è preoccupante, perché sono soggetti fuori dal contesto istituzionale, non hanno prestato giuramento di fedeltà allo Stato, non sono soggetti alle regole previste per gli ufficiali infedeli, come i carabinieri, i poliziotti e gli stessi magistrati. Su questo tema occorrono sì delle discussioni costruttive e delle riflessioni.

Diverso è l’attacco ad uno strumento il cui impiego risulta necessario se si vuole davvero cambiare pagina nella lotta contro i reati di corruzione, con pugno duro, senza intimidazioni da parte dei poteri che vi ruotano intorno e con le dovute correzioni e perfezionamenti. E diverso è anche l’attacco contro le intercettazioni (dove il trojan è solo l’ultimo dei pretesti), sempre sottoposte al rischio di un giro di vite da parte degli esecutivi di turno, mentre restano lo strumento più indispensabile per le indagini e che oggi può essere coadiuvato maggiormente dal trojan.

Perciò fermiamoci a riflettere e magari a migliorare uno strumento nuovo in meglio e non in peggio (con i dovuti aggiustamenti normativi possibili), magari attraverso una sua immediata abolizione. Solo chi crede che i reati di corruzione contro la pubblica amministrazione siano uguali al rubare una mela al supermercato ritiene il trojan un abominio del diritto.

Francesco Bertelli

(http://www.lagiustizia.info/il-cavallo-di-trojan/)

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Alessio Di Florio

Militante comunista libertario e attivista eco-pacifista, collaboratore di Wordnews.it e referente abruzzese dell’Associazione Antimafie Rita Atria e di PeaceLink, Telematica per la Pace. Collabora con Pressenza, Giustizia.info, QcodeMagazine, Comune-Info e altri siti web. Autore di articoli, dossier e approfondimenti sulle mafie in Abruzzo, a partire da mercato degli stupefacenti, ciclo dei rifiuti e "rotta adriatica" del clan dei Casalesi, ciclo del cemento, post terremoto a L'Aquila, e sui loro violenti tentativi di dominio territoriale da anni con attentati, intimidazioni, incendi, bombe con cui le mafie mandano messaggi e tentano di "marcare" la propria presenza in alcune zone, neofascismo, diritti civili, denunce ambientali tra cui tutela coste, speculazione edilizia, rischio industriale e direttive Seveso.

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Alessio Di Florio

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