di Alessio Di Florio
“Con lo sguardo delle vittime”. Qualcuno potrebbe pensare sia uno slogan ad effetto o un nome suggestivo da social network. Per qualcuno è stato molto ma molto di più. E’ stato l’obiettivo di una vita, la motivazione di una “folle corsa mozzafiato” nel nome di ideali e di un amore per l’umanità immenso.
Quel qualcuno è stato Dino Frisullo, comunista, antirazzista, internazionalista, militante di Avanguardia Operaia e poi di Democrazia Proletaria, fondatore della Rete Antirazzista Italiana, dell’Associazione Senzaconfine (che ancora oggi si batte per e con i migranti) e di Azad – per la libertà del popolo kurdo. Lo sguardo degli ultimi, degli impoveriti e dei migranti, in fuga da oppressione e guerre, è quello che è mancato in questi giorni in cui ampissima parte della “cronaca nera” è stata dedicata alla Norman Atlantic.
En passant si sono citati possibili migranti nella stiva, subito etichettati come “clandestini” (nonostante la Carta di Roma, il codice deontologico dell’Ordine dei Giornalisti, chieda di non utilizzare tale termine, si continua a farne ampissimo uso).
Alcuni giornalisti hanno subito accusato i migranti di essere i possibili colpevoli del rogo, ipotizzando l’uso di “fornetti” o di accensioni di sigarette (non si sa in base a quali possibili indizi…), fino ad arrivare a parlare di “nuove rotte” dei migranti dalla Grecia all’Italia. Chiunque abbia un minimo di conoscenza delle vicende dei migranti che giungono sulle nostre coste sa che questa rotta è battuta da tantissimi anni. A questa rotta Dino, che i migranti conosceva e dai quali era spesso conosciuto (soprattutto per le sue lotte in nel Kurdistan turco, che lo hanno portato anche al carcere), aveva dedicato anche una delle sue poesie più commoventi e indignate.
Ne riportiamo il testo dedicandolo a tutti i migranti del mare, a coloro che partono da porti lontani, a coloro che da Patrasso sognano sotto le stelle un avvenire migliore e a coloro che, con gli occhi pieni di lacrime, li vedono partire sognando con loro.
CRONACA NERA (DINO FRISULLO)
Ali veniva, poniamo, da Zako.
Portava in tasca un pane di sesamo
comprato in fretta nel porto a Patrasso
profumo di casa
garanzia di vita
prima di calarsi nel buio del ventre del camion.
Ali aveva gia’ visto l’Italia, poniamo.
Aveva l’odore dolciastro del porto di Bari l’Italia,
e il primo italiano che vide
vestiva la divisa di polizia di frontiera
e fu anche l’ultimo.
Respingeteli, disse,
Ali non capi’ le parole ma lesse lo sguardo
guardo’ a terra poi si volse
perche’ un uomo non piange.
Ali veniva da Zako, poniamo,
e sapeva gia’ usare il kalashnikov
ma di raffiche ne aveva abbastanza
e di agenti turchi irakeni americani arabi
e di kurdi che ammazzano kurdi
e di paura masticata amara con la fame
e dell’eco delle bombe
Qendaqur come Halabje
bombardieri turchi come gli aerei irakeni
gli stessi occhi sbarrati contro il cielo che uccide.
Ali, poniamo, aveva una ragazza
rimasta sola, la famiglia in Germania,
con lei aveva sognato l’Europa
con lei aveva cercato gli agenti turchi e turkmeni
e kurdi, maledizione, anche kurdi
per contrattare il passaggio della prima frontiera,
batteva forte il loro cuore al valico di Halil
divise verdeoliva
nel buio fasci di banconote stinte di tasca in tasca
e poi liberi
corre veloce l’autobus da Cizre verso Mardin
ogni mezzora un posto di blocco
divise verdeoliva banconote via libera
colonna di autobus veloce di notte tre notti
trenta posti di blocco
da Mardin fino a Istanbul,
e quella notte ad Aksaray nel piu’ lurido degli alberghi
fra ubriachi che russano e scarafaggi
per la prima volta avevano fatto l’amore
e per l’ultima volta.
Sul comodino un vaso di fiori secchi stecchiti
lei gliene regalo’ uno
come fosse una rosa di maggio.
Fu all’alba che vennero a prenderli
taxi scassati il cielo grigio del Bosforo
poi a piedi verso un’altra frontiera
in fila indiana nel fango in silenzio
fino alle ginocchia l’acqua del Meric
ha la pistola il mafioso, “piu’ in fretta” sussurra,
di la’ la Grecia l’Europa
e’ calda la mano di Leyla
si chiamava Leyla, poniamo
era calda la mano di Leyla
prima che scoppiasse sott’acqua la mina
prima che i greci cominciassero a sparare
prima dell’inferno.
Un uomo non piange
ma il cuore di Ali galleggiava nell’acqua sporca del Meric
mentre si nascondeva nel canneto
perche’ i greci non scherzano
e se ti consegnano ai turchi e’ la fine
i maledetti verdeoliva che hanno intascato i tuoi soldi
ti fanno sputare sangue
nelle celle di frontiera.
In Grecia l’uomo si fa gatto
si fa topo ragno gazzella
a piedi di notte fino a Salonicco
un passaggio da Salonicco a Patrasso
giovani turisti abbronzati, poniamo
Ali ha la febbre batte i denti fa pena
rannicchiato sul sedile della Rover
e’ bella la ragazza straniera
ma la sua Leyla era piu’ bella
piu’ profondi del mare i suoi occhi.
La Rover frena sul mare
di la’ c’e’ l’Europa davvero
gli ultimi soldi per il biglietto per Bari
Ali il mare non l’aveva mai visto
fa paura di notte il mare
ma un uomo non ha paura
e il cielo dal mare non e’ poi diverso
dal cielo dei monti di Zako nelle notti chiare.
Fa piu’ paura la polizia di frontiera
“ez kurd im”
“ma che vuoi, che lingua parli,
rispediteli a Patrasso, ne abbiamo abbastanza di curdi qui a Bari,
chiudeteli dentro, che non scendano a terra
senno’ chiedono asilo…”
E’ triste il cielo dal mare
come il cielo dei monti di Zako nelle notti scure.
E’ duro esser kurdi
sperduti fra il cielo ed il mare
erano in dieci, poniamo
che quella notte a Patrasso contrattarono in fretta
seicento dollari a testa disse il camionista
seimila dollari quei dieci corpi
valgono quanto un carico intero
e il suo amico Huseyn pago’ anche per lui
prima di coricarsi abbracciati
stretto il pane di sesamo in tasca
stretto in mano un fiore secco
in dieci stretti fra le balle di cotone
che ti prende alla gola
che ti toglie il respiro…
E’ cronaca
“Morti soffocati a Foggia sei clandestini in un tir”
e’ politica
“Piu’ di mille clandestini respinti nel porto di Bari”
e’ diplomazia
“Accordo con la Grecia sui rimpatri”
e’ ipocrisia
“Roma chiede collaborazione ad Ankara”
e’ propaganda
“Inasprite le pene contro i trafficanti”
e’ nausea e’ rabbia e’ dolore
sotto le stelle di Zako mille Ali sognano l’Europa
in Europa sogneranno il ritorno
nella fredda nebbia di Colonia
Huseyn bussa a una porta
ha da consegnare una cattiva notizia
un fiore secco
e un pane di sesamo.
Dino aveva una profondissima differenza con moltissimi di coloro che parlano (spesso senza conoscere, come già detto) di migranti e migrazioni: conosceva le vicende perché le aveva vissute in prima persona, perché lui stesso quotidianamente viveva e lottava con e per i migranti.
E’ stato accennato poc’anzi: Dino li conosceva e spesso loro conoscevano loro.
Quest’articolo è corredato di una foto, quella di una “carretta del mare” arrugginita. Sulla fiancata è stato inciso “Dino Firosillo”, è la seconda nave che in pochissimo tempo giunse nei porti pugliesi (sulla prima era incisa “Frizullo”) dedicata proprio a lui.
Così la raccontò Tommaso Di Francesco su Il Manifesto, subito dopo la fine dell’avventura terrena di Dino: “C’è ancora una carretta del mare mezzo arrugginita, ancorata in un porto italiano del sud, forse Brindisi, forse Mazara, che su una fiancata scarcassata porta ancora inciso, con rabbia e con amore un grande graffito, netto, quasi una ferita sul rosso screpolato della ruggine. E’ un nome in stampatello: «FRIZULLO». Quando la nave arrivò così 6 anni fa, veniva da pensare, con invidia: «Ecco, Dino ci diventa mitico come Potjomkin». Poi ne arrivò perfino un’altra di nave con lo stesso nome storpiato in «Frisonullo». I profughi kurdi, in fuga dalla guerra etnica dei generali turchi della Nato, pensavano che l’Italia li avrebbe accolti a braccia aperte se solo avessero innalzato quel vessillo, quel nome a loro così vicino e caro: era di un uomo che, per i kurdi e come loro, era finito nelle prigioni di Ankara. L’Italia era per loro «Frizullo», quasi un anagramma”.
Una storia che il cantautore anarchico Alessio Lega ha straordinariamente raccontato nella sua canzone “Frizullo”, contenuta nell’album Malatesta. Questo il testo:
La notte color del vino vomitò ancora una nave
carica di kurdi, una nave carretta – come si dice – dal mare
una nave disperata, della solita disperazione
salpata dalla Turchia rotta contro l’illusione.
Sulla fiancata graffiata, scavata una scritta misteriosa:
«Frizullo» diceva: un nome, un monito, qualcosa…
Cosa vorrà mai dire? un Dio, un tribuno, un’accusa?
Sul fianco di quella nave una ragione, una scusa?
Che cosa ancora brilla dal fondo senza ritorno?
Che cosa ci tiene in piedi, che cosa ci tiene a giro?
Increspato di schiuma c’è chi tenta un respiro
sentinella nella sentina da che parte viene giorno?
«Frizullo» non è una parola di una lingua proibita
non è un codice sacro, né una sfida agguerrita
«Frizullo» è un nome storpiato, precisamente un cognome
sta per «Dino Frisullo», come dire, attenzione!
Noi siamo i suoi amici, i parenti, i suoi protetti, i suoi figli
siamo quelli di Frisullo, dischiudete gli artigli
e lasciateci passare, alla faccia dell’assassino
è una lotta per la vita, ci dà una mano Dino…
Sentinella pallida e assorta nel mezzo del fumo grigio
c’è qualcosa che schiude i denti, che telefona e sfida
però se tendi l’orecchio qui tutto quanto grida
e ride mentre tu dormi la morte del pomeriggio.
Dino Frisullo fu un militante di Avanguardia Operaia
poi finì il sessantotto e si archiviò la battaglia:
«Contrordine compagni, non si cambia più il mondo
anzi, cambiatevi d’abito e restate sul fondo»
Ma Dino Frisullo sul fondo inciampò nella coscienza
come una bomba innescata, un futuro di resistenza
e fondò e fuse e diffuse più d’una associazione
lo scopo? Salvare il mondo, pensa che ostinazione!
Capitano, la mia casa fa acqua, s’è diroccata
i tappeti marciscono e tutto mi sembra idiota
c’è musica in ogni bar, ma non si muove una nota
l’annunciatrice annuncia il programma della serata.
Dino Frisullo era dietro tutti i migranti, sempre presente
fu arrestato in Turchia e condannato, innocente
ma di quell’innocenza aggressiva, che non è una consolazione
e quando fu liberato tornò in trincea con quel nome…
Che perciò i kurdi se lo scrivevano sul fianco d’ogni barcone
«Frizullo», «Firosillo», insomma: grande protezione
e mentre un tumore se lo portava in un lampo
aveva l’aria scocciata come per un contrattempo.
C’è ancora una nave a Brindisi che il nero non inghiotte
che il buio non s’è mangiata col suo passo sicuro
da lì qualcosa ancora sta fissando lo scuro
sentinella, sentinella a che punto resta la notte?
Sentinella tu dimmi a che punto è la notte.
Com’ebbe a scrivere dopo la sua morte Riccardo Orioles su “La Catena di San Libero” “La storia della sinistra italiana, per alcuni versi transeunte, per altri versi meschina, nella sua parte più nobile e permanente è la storia degli uomini come Dino. I vecchi socialisti, gli anarchici, i militanti operai, i comunisti clandestini…[..]Che possa la sinistra italiana, e noi stessi, raccogliere con umiltà e coraggio l’eredità di uomini come questi. La sinistra dei binghi, dei salotti romani e dei compromessi, oppure la sinistra degli organizzatori, delle testimonianze di vita, dei compagni. Non è possibile essere tutt’e due: c’è da fare una scelta”.
Tratto da:
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