Coronavirus, Ingroia: «I morti sono sulla coscienza di chi ha distrutto la sanità pubblica»
Parla Antonio Ingroia, già magistrato in alcune delle inchieste e processi più importanti della storia repubblicana: «Negli anni ho maturato considerazioni sempre più negative su questa Unione Europea, l’Europa di fatto è stata soprattutto tiranna ed espressione delle lobby finanziarie e di alcuni Paesi. Nulla a che vedere con l’Europa dei popoli e dei diritti sognata da Altiero Spinelli».
Antonio Ingroia, il padre del processo alla trattativa Stato-mafia e di altri importanti processi contro le mafie e le zone grigie dei poteri criminali italiani oggi è avvocato, parte civile nel processo ‘ndrangheta stragista, delle famiglie Vassallo e Manca nella lotta per la verità sull’assassinio di Angelo e Attilio e in altre importanti lotte giudiziarie. Non ha mai smesso l’impegno politico da presidente del movimento politico Azione Civile.
Siamo al termine di una delle settimane, probabilmente, più terribili dall’inizio dell’emergenza coronavirus che sembra aver lasciato il passo all’angoscia e al timore che l’uscita dal tunnel è lontana. Si è registrato uno scontro fortissimo in sede europea, si è concluso il rito del Papa e c’è stato l’appello ai cittadini e, soprattutto, all’Europa del Presidente della Repubblica Mattarella.
L’emergenza coronavirus ha travolto tutto e tutti, in Italia e in tutto il mondo, nel mondo scientifico abbiamo visto in queste settimane diversità di vedute e scontri ma tutti convergono sull’importanza delle misure di contenimento e di distanziamento sociale. Non possiamo quindi che iniziare chiedendo ad Antonio Ingroia quale riflessione sente di condividere, da esperto di diritto e avvocato, sulle dinamiche sociali e politiche in corso in Italia.
«Stiamo attraversando un periodo senza precedenti, sicuramente per la nostra generazione, dal dopoguerra in poi non è mai stata affrontata una emergenza di questo tipo e dimensioni. A cui sostanzialmente si è arrivati impreparati. Questo non è un elemento secondario, uno Stato che dovrebbe avere la salute tra i beni primari da tutelare deve essere pronto a fronteggiare catastrofi del genere. E quel che è peggio è che si è scoperto che esisteva un piano di prevenzione da emergenze del genere, ma solo sulla carta. Le strutture non erano mai state adeguate per tempo. Correre ai ripari dopo è purtroppo troppo tardi. Il disastro e i morti di oggi sono sulla coscienza di chi ha distrutto il servizio sanitario pubblico, questa tragedia è un macabro atto d’accusa nei confronti della classe politica che ha governato l’Italia negli ultimi decenni a colpi di privatizzazioni speculative sempre più spinte a disprezzo della tutela della salute. Ovviamente non essendo preparati ad un’emergenza quando arriva c’è il rischio che in nome dello stato di necessità affoghino gli altri diritti costituzionali e le altre libertà che sono ossigeno per la democrazia esattamente come sono ossigeno per la vita i respiratori. In questa situazione, premesso che è più facile esprimere giudizi per chi non ha la responsabilità di prendere decisioni drammatiche, rimane il fatto che quando usciremo da quest’emergenza (e presto o tardi ne usciremo, comunque non siamo davanti all’apocalisse che porrà fine alla specie umana per quanto è una terribile tragedia) non saremo più come prima anche sotto il profilo dello Stato di diritto. Quel che più mi preoccupa non è tanto e solo che il potere esecutivo in nome del supremo stato di necessità, auto attribuendosi poteri al limite della Costituzione, ha emanato vari decreti d’urgenza uno dopo l’altro che limitano alcune libertà individuali, che nell’eccezionalità della vicenda può anche essere considerato normale, ma molto meno normale ritengo l’assenza di voci contrarie che si oppongano a tutto questo, e che soprattutto i cittadini in preda al panico collettivo chiedano loro stessi che vengano limitati i loro diritti e le loro libertà tutelate in Costituzione. Il rapporto costi/benefici dovrebbe farci riflettere adeguatamente, tenendo conto che le misure di contenimento, peraltro cambiate di giorno in giorno, hanno dato pochi risultati, pur avendo rispettato poche compatibilità costituzionali. Abbiamo un governo nazionale e tanti governi regionali che stanno dettando legge – ieri ho saputo che Musumeci ha stabilito delle zone rosse in Sicilia, anche lì dove ci sono stati 15 casi di contagio che non dovrebbero essere considerati un’enormità – abbiamo una legislazione e uno statuto dei diritti dei cittadini che quindi sono differenziati a seconda della regione, una situazione di emergenza richiederebbe una pianificazione nazionale (anzi in questa situazione globale) ma che abbia contrappesi stabiliti dai delicati equilibri costituzionali. Su questo è necessario stare attenti, da una parte abbiamo l’autonomia differenziata in divenire e il regionalismo con tutte le disfunzioni ed errori, dall’altra c’è il pericolo di derive accentratrici e autoritarie. Per non dire che nelle ultime ore Maria Elena Boschi ha evocato la possibilità, e questo è insostenibile, che con la vittoria del si al referendum del 2016 l’emergenza sarebbe stata affrontata meglio».
Il Parlamento è stato più che assente ignorando in queste settimane il suo cruciale ruolo. La tecnologia permette cose straordinarie quindi poteva essere riunito anche virtualmente. Il cittadino accetta di sentirsi spogliato dei suoi diritti?
«Di fronte all’emergenza sanitaria potremmo definirli “peccati veniali”, ma le modalità di comunicazione dei decreti in orari notturni e anche su canali non istituzionali sono lo specchio di improvvisazione, inadeguatezza e dilettantismo. In nessuno Stato al mondo si parla in orari improbabili, presumo per evitare intempestive fughe di notizie finendo sui giornali del giorno dopo con notizie sfuggite. Deleterie fughe di notizie che comunque ci sono state. Insomma, un rimedio sostanzialmente peggiore del male che dimostra come siamo in una situazione di precarietà. Un capo di governo non dovrebbe mai parlare su facebook in orari notturni ma solo a reti unificate nelle ore di massimo ascolto e annunciando decreti che arriveranno entro poco tempo, un’ora al massimo, non giorni dopo. In un periodo di paura e angoscia anche così si trasmettono segnali. E questi sono segnali di scarsa autorevolezza che infondono poca fiducia nei cittadini. L’Italia rende l’idea di uno Stato colabrodo, inefficiente e incapace. Non è un caso che il New York Times abbia titolato giorni fa che il “caso italiano” va studiato per capire come non bisogna affrontare un’emergenza del genere».
In questi giorni abbiamo avuto fortissimi scontri in sede europea tra governi con l’ultimatum di Conte a Germania ed altri Paesi, più di qualcuno adombra la possibilità che quest’emergenza mette a rischio la stessa tenuta europea. Può essere reale questo rischio? Quale riflessione può portare questa emergenza sull’Europa?
«In tempi di emergenza, quando si sente di avere un nemico alle porte, il popolo tende ad unirsi attorno ad un Capo. L’ultimatum di Conte, “temo che dovremo fare da soli” riprendendo le sue parole, è stata una reazione alle parole di Draghi, al quale va dato atto che ha detto parole importanti, serie ed autorevoli e che quella sarebbe la strada da seguire. E, per inciso, è quello che abbiamo sostenuto in questi anni con Azione Civile e al centro del programma della non fortunata esperienza elettorale della Lista del Popolo. L’Italia ha un’economia di guerra che ha bisogno di misure fortissime e una di queste deve essere lo sforamento dei parametri europei immettendo liquidità. Questo risveglia il dibattito sulle prospettive e il ruolo del sistema bancario. L’intervento di Draghi è stato recepito soprattutto nella logica delle piccole dinamiche politiche interne e della tenuta del governo, mentre non credo che Draghi in piena emergenza sanitaria stia pensando a diventare Presidente del Consiglio. Sono considerazioni, al massimo, da fare quando terminerà l’emergenza. Il rischio paradossale delle sue parole è che mentre si muore di sanità insufficiente, nonostante l’eroismo del personale sanitario, si determini anche la morte per fame tra qualche mese: se l’economia va in ginocchio e il mondo si ferma come potranno vivere i lavoratori? E si pensa a salvare solo i grandi capitali. Per salvare i lavoratori si deve tenere in vita il sistema economico con una sorta di respirazione artificiale e l’erogazione finanziaria da parte del sistema bancario ad interessi zero».
Chi aveva le informazioni e gli strumenti, a partire dalla prima riunione di crisi il 31 gennaio, aveva sostenuto che era tutto sotto controllo e invece non lo era. Cina e Corea sono uscite alla grande. In Italia sono stati commessi e la responsabilità va divisa tra Stato centrale e regioni, errori di sottovalutazione di cui oggi paghiamo le conseguenze?
«Negli anni ho maturato considerazioni sempre più negative su questa Unione Europea, l’Europa di fatto è stata soprattutto tiranna ed espressione delle lobby finanziarie e di alcuni Paesi. Nulla a che vedere con l’Europa dei popoli e dei diritti sognata da Altiero Spinelli e altri, di fronte a quest’emergenza drammatica i nodi stanno venendo al pettine in maniera disastrosa e non credo che quest’Europa reggerà, sarà tra le più grandi vittime del coronavirus quando si potrà cominciare a riflettere e ripartire dalle macerie, nessuna istituzione europea è stata all’altezza. Non è questo il momento in cui guardare così lontano ma non dobbiamo chiudere gli occhi su questa realtà: l’Italia in questi anni ha un cappio stretto al collo e non so quali opportunità ha di tirare la testa fuori dal cappio e quali possibilità ha Conte di farlo. Alcuni di noi siamo stati voci nel deserto in questi anni quando dicevamo che bisognava assumere una posizione ben diversa sull’Unione Europea, così come sulla Nato. Nel dramma attuale gli aiuti sono arrivati prevalentemente da Cina, Russia e Cuba piuttosto che dai nostri cosiddetti amici atlantici. Le imprese produttrici di armamenti non sono state fermate e quindi sono considerate essenziali e strategiche, e che l’industria bellica davanti alla salute dei cittadini e dei lavoratori sia considerata indispensabile
francamente non è sostenibile».
Le mafie non si sono fermate. Il ministero dell’Interno ha lanciato l’allarme sulle infiltrazioni mafiose «nella fase di riavvio», Caselli su Il Fatto Quotidiano ha spiegato come le mafie hanno sempre sfruttato tragedie ed emergenze. Anche la sola parola mafia è sparita completamente, questo silenzio quanto può essere pericoloso?
«Non dispongo di dati disponibili e sufficienti sulla realtà odierna ma Caselli scrive una verità certa: le mafie sono agenzie criminali di servizi che sono sempre pronte ad intervenire nei vuoti dello Stato e nei momenti di emergenza, non dubito che si stiano attrezzando anche in questo momento. Il silenzio sulle mafie è sicuramente pericoloso ed è ovvio che l’emergenza sanitaria ha cancellato tutte le altre nelle gerarchie mentali degli italiani e sono pronte ad approfittarne, non aspettano altro che di essere dimenticate per mettere le mani su affari leciti e para-leciti».
Intervista pubblicata su wordnews.it