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Comunicazione e propaganda nell’era dei network

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Libertà di stampa nel 2018

Nell’annuale graduatoria che la rivista Reporters sans frontières pubblica ogni anno sulla libertà di stampa nel mondo, l’Italia ha fatto qualche passo avanti passando dal 77esimo posto del 2016 al 52esimo posto del 2017, al 46esimo del 2018, subito dopo gli Stati Uniti di Trump, con un progresso di 6 punti rispetto all’anno precedente. Ma la situazione è ancora preoccupante. La nota rivista scrive: “Una decina di giornalisti italiani sono ancora sotto una protezione permanente e rafforzata della polizia dopo le minacce di morte proferite, in particolare, dalla mafia, da gruppi anarchici o fondamentalisti”“Il livello delle violenze perpetrate contro i reporter – prosegue nel rapporto l’Ong – è molto inquietante e non cessa di aumentare, in particolare, in Calabria, Sicilia e Campania. Numerosi giornalisti, soprattutto nella capitale e nel sud del Paese si dicono continuamente sotto pressione di gruppi mafiosi che non esitano a penetrare nei loro appartamenti per rubare computer e documenti di lavoro confidenziali quando non vengono attaccati fisicamente”.

A ciò si aggiunga la campagna di screditamento e di intimidazione promossa lo scorso anno, si legge, da “politici come Beppe Grillo, del Movimento 5 stelle, che non ha esitato a rendere pubblica l’identità dei cronisti che lo infastidiscono”, e quest’anno da Di Maio, con le accuse ad alcuni giornali di scrivere falsità e con le minacce di rivedere la legge sulla libertà di stampa. Reporters sans Frontières avverte che, nonostante il balzo in avanti in classifica, rimangono ancora molti problemi nell’informazione italiana: “I giornalisti – scrive ancora Rsf – subiscono pressioni da parte dei politici ed optano sempre più per l’autocensura”. Il rapporto cita anche il ddl sulla diffamazione, ancora fermo al Senato, che nelle intenzioni dovrebbe portare all’effettiva cancellazione del carcere per i giornalisti e all’introduzione di sanzioni pecuniarie efficaci per chi fa ricorso alle querele temerarie, ovvero a quel tipo di denunce che, più che un’offesa alla reputazione, nascondono l’intenzione di intimidire il giornalista. Un elemento positivo è dato invece dalla approvazione del FOIA, il Freedom of Information Act, un decreto che consente l’accesso da parte dei giornalisti agli atti e ai dati detenuti dalle pubbliche amministrazioni.

Attraverso il meccanismo della distribuzione pubblicitaria, quasi interamente dirottata su Mediaset e su La 7, oltre che, in parte minore, sulla RAI, e, ancor meno su Sky, a pagamento, grazie ai finanziamenti statali ai giornali, soprattutto a quelli di partito, si è creata una rete di “giornalisti dipendenti”, proni alle direttive dei partiti che li pagano o dei padroni di testate che vi fanno riferimento o ricevono da essi commesse pubblicitarie. Giornalmente, una equipe di cervelli decide quali devono essere le notizie da prima pagina, quale la notizia d’apertura, quali sono i termini da usare per rendere il fatto appetibile o poco credibile, importante o irrilevante. Sulla base della linea giornaliera, che si sposta facilmente su posizioni filogovernative, gli altri si allineano riproducendone l’impostazione, con lievi differenze. È ormai passata come cosa abituale la foto e, più spesso le foto giornaliere del premier di turno, oggi soprattutto dei vice-premier, a dimensioni diverse, in primo piano o in compagnia, con o senza cravatta, col sorriso o con lo sguardo truce, col cellulare all’orecchio, con la scorta che lo circonda, in camicia, con la felpa, in divisa militare, a seconda degli eventi del giorno. Molto più gettonate le foto degli anni passati, quando i personaggi erano più giovani e belli. Tutti i giornali, di maggioranza, di opposizione o quelli che si professano equidistanti, partono dall’assunto semplicissimo che la notizia si lega al personaggio, diventato tale per suoi meriti o costruito a tavolino, e che costui va pompato sino a farlo penetrare in ogni angolo e diventare indispensabile nell’immaginario collettivo: pertanto parlarne o diffonderne l’immagine aiuta, secondo gli strateghi dell’informazione, a vendere o a essere seguiti. In verità la riproposizione ossessiva finisce con l’annoiare e c’è gente ormai diventata espertissima nel cambiare canale o nel girare pagina, quando vede l’esposizione e la riproposizione del personaggio poco prima proposto. C’è qualche pubblicitario, assieme al suo committente, convinto che, riproponendo la stessa pubblicità nell’arco di qualche minuto si aumentino le vendite, mentre, per il vero si ingenera una risposta di fastidio e aumentano solo le spese. Uno dei giornali più recidivi è “La Repubblica”, (e il suo partner settimanale, “L’Espresso”), il quale spesso pubblica, sul quotidiano o sul magazine, in pagine diverse, tre o quattro foto dei due viceministri, associate a quelle di altri ministri o leccaculo di vario genere in una sorta di rassegna degli “uomini di regime” che ricorda, per molti aspetti il Politbureau e i sistemi di comunicazione sovietici. Non c’è proporzione con le immagini dell’opposizione, spesso inesistenti o irrilevanti: ogni tanto si propone l’intervista a qualche “dinosauro”, a qualche eminenza grigia, quasi si trattasse di un parere illuminato da esperienza e competenza, ove si dice tutto e niente. Una volta stabilita l’impostazione del notiziario del giorno, lanciato in prima stesura da Canale 5 sulle testate televisive, da “La Repubblica” e dal Corriere sui quotidiani, questo viene passato, per lo più attraverso l’Ansa, a tutti i telegiornali, da Sky alla Rai, a La7, che si allineano pedissequamente alla direttiva del giorno e al risalto su specifiche notizie. Pertanto il tutto è omogeneizzato in una dimensione monocromatica: stesse notizie, stesse parole, stessi giudizi, spesso nello stesso momento di trasmissione dei vari telegiornali.

Alcune strategie della comunicazione

1) Tecnica dell’esca: lanciare la notizia, possibilmente gossip, come un’esca all’amo. Aspettare che il giornalista, di opinione possibilmente opposta, abbocchi e poi stroncarlo come uno che invece di fare giornalismo serio cerca calunnie per infangare il nemico politico. Una sorta di strategia del boomerang che non torna ai furbi che lanciano lo strumento, ma a coloro che lo raccolgono per rilanciarlo, convinti di fare lo scoop.

2) Tecnica dell’analogia: scambiare per analogia fatti che hanno ben poco in comune: Di Maio, del quale si scopre che il padre ha assunto qualche lavoratore in nero viene assimilato ai padri di Renzi e di Boschi, come fosse la stessa cosa una circostanza pressocchè abituale in Italia, rispetto ai giri vorticosi di denaro e d’interessi economici nel quale erano coinvolti i genitori dei due esponenti del PD. Va detto che tutto ciò è conseguenza dell’esasperato giustizialismo che in passato ha caratterizzato il movimento pentastellato, il quale oggi giustifica le “analogie” con il solito “Sì, ma il PD….”.

3) Tecnica del panino: inventata dal fedele berlusconiano Mimun, ripristinata dal fedelissimo Minzolin, e attualmente ripresa dopo che il governo verdestellato ha messo le mani sulla RAI: consiste nel dire l’opinione del governo, nel far seguire una critica, spesso “potata” e inconsistente dell’opposizione, e nel far seguire ancora la controreplica dei portavoce governativi, magari giustificati come esponenti del partito politico che rappresentano. Molto spesso i devotissimi della RAI, dopo una dichiarazione di qualche politico d’opposizione, si premurano di avvisare gli interessati della maggioranza per avere la controreplica e annullare subito il senso di qualche intervento timidamente polemico.

4) Tecnica della mistificazione: basta accompagnare l’informazione taroccata con espressioni generiche e rituali, o con finte cifre per renderla più credibile: per esempio “Ci siamo adeguati alla normativa europea…”, che spesso non esiste, ma basta inventarsela; oppure “Secondo un sondaggio diffuso da….(segue il nome della società spesso sconosciuta cui è stato commissionato sia il sondaggio, sia il risultato da esibire); oppure “secondo voci di corridoio…” “pare che… ”: una volta trasmesso l’input, ritirare la mano non è più possibile: il lancio della notizia falsa ottiene sempre risultati maggiori di quanto non ne ottenga una successiva smentita o rettifica. In pratica il pubblicitario “tipico dei finlandesi… ” per dire che i finlandesi hanno tutti denti perfetti, è una balla non confermata da alcuna seria ricerca, ma data come affermazione, derivante da chissà quali ricerche e acquisita universalmente. Idem dicasi del “più amato dagli Italiani”, il più venduto, il più consigliato da medici, dentisti, di auto con accessori comuni che sembrano esclusivi ecc.

5) Tecnica del complotto: è una strategia vecchia e tipica dei regimi autoritari, i quali devono scaricare su qualcosa, qualcuno, qualche gruppo, qualche nazione la difficoltà o l’incapacità di poter mettere in pratica quello che hanno promesso. Artefici del complotto diventano, a turno, i giornalisti, i magistrati, i partiti d’opposizione, i mafiosi, gli industriali o non meglio identificati “poteri forti” che vogliono sbarazzarsi con l’inganno di chi invece è stato eletto dal popolo e pretende di rappresentarlo interamente. Appartiene anche a questa categoria la “tecnica del mandante occulto”, il “qualcuno crede, sostiene… ”, che non esiste, ma cui si dà esistenza nell’immaginario collettivo, in modo da potere individuare in un referente misterioso il colpevole. Persone dignitose, come Scalfari, De Benedetti, Draghi, Junker, Moscovici si sono a turno viste associare a questo ruolo. Che il complotto per liquidare la democrazia sia da tempo in atto è vero, ma a farlo non è stato Renzi, incapace di fare approvare la sua revisione costituzionale, o il resto del PD che se n’è reso complice, non essendosi ancora ancora reso conto che l’acquiescenza e l’abbandono dell’iniziativa porta ogni giorno alla perdita di un pezzo di libertà. A farlo è proprio la cricca che gironzola attorno al neoducetto leghista, dal fascio alla P2, ai cosiddetti “padroni del vapore”, che, nonostante la crisi, non vogliono perdere nessuno dei privilegi goduti.

6) Tecnica dell’impallinamento o metodo Boffo, dal giornalista dell’Avvenire costretto alle dimissioni per una nota informativa successivamente dichiarata falsa dallo stesso killer Feltri che l’aveva tirata fuori e che venne sospeso per tre mesi dall’Ordine dei giornalisti: comporta l’aggressione mediatica dell’avversario con il ribaltamento, su di lui, dell’eventuale accusa infamante che egli ha attribuito ad altri: il povero Di Pietro è stato, sin dai tempi di Tangentopoli, vittima di campagne di campagne di diffamazione studiate a tavolino, di false immagini che lo hanno presentato come pervertito, ladro, corrotto, arricchitosi indebitamente con i soldi del partito: è scomparso di scena. Idem dicasi della Veronica, che dopo il suo atto di coraggio e la sua denuncia si è vista aggredire da infami calunnie, accreditare pretesi amanti ed è stata sbattuta, sempre sui giornali del padrone, con le tette al vento. Per non parlare, ma ormai è preistoria, della povera D’Addario, che, da puttana alla corte del gran Sultano è stata trasformata in invidiosa bugiarda prezzolata. In pratica quello che tu dici a me lo rigetto su di te: vince chi ha più strumenti e giornali per far passare la propria posizione. Questo metodo è strettamente connesso con il precedente metodo dell’analogia.

7) Tecnica della bugia: enunciata e praticata da Goebbels sostiene che “Una bugia detta mille volte diventa una verità”. Così sin dai tempi di Nerone, che incolpò i cristiani dell’incendio di Roma, per arrivare al caso di Telecom Serbia, il piano studiato a tavolino, con un falso testimone che avrebbe dovuto testimoniare che Prodi era un corrotto anche lui: (sul caso Mitriomtikin si fece anche una commissione parlamentare che, grazie all’onesta di alcuni suoi componenti, non accertò nulla). Ma si pensi anche ai complotti dei magistrati “comunisti” che volevano e vogliono, a comando e a qualsiasi costo criminalizzare il premier verginello e innocente. Da Telecinco a Mills. Oppure ai giudici “carogna” di Mani Pulite che hanno causato il suicidio di tanti poveri innocenti, o l’esilio del nobile socialista Craxi. In altri termini il revisionismo storico si lega al principio della storia scritta dai vincitori.

8) Tecnica dell’antipolitica: Salvini e Di Maio avrebbero ribaltato i canoni della vecchia politica, i vecchi sistemi corrotti, non essendo uomini di regime o politici di professione, come già fu Berlusconi cui tutto era perdonato non essendo un politico di professione, ma un imprenditore prestato alla politica. Dopo di lui Salvini ha assunto questa immagine di uomo nuovo che sa conquistare la gente, non usa il linguaggio e i trucchi della politica e perciò spesso si lascia andare a gaffe e a minchiate che, a seconda delle reazioni, vengono smentite subito dopo, oppure benevolmente perdonate. Ma anche questa è una tecnica: lanciare la pietra e ritirare la mano. Da questo aspetto il navigato politico Salvini, che la gente ama vedere come antipolitico, si dimostra molto più esperto degli amici pentastellati, spesso vittime di ingenuità e d’improvvisazioni.

9) Tecnica del vittimismo: Si comincia sin dal primo giorno dell’elezione: “E adesso lasciamoli lavorare”. L’opposizione viene vista come un fastidioso disturbo che ostacola le giuste manovre del premier e dei suoi collaboratori. Se ci sono errori appartengono al passato, al quale i leaders di oggi sono estranei, come nel caso dei soldi del finanziamento pubblico sottratti dalla Lega. Gli oppositori sono accusati di fabbricare false prove, di truccare i risultati elettorali, di inventarsi episodi inesistenti, insomma di tutto il male del mondo. Quasi scomparse, dopo essere state evocate da Berlusconi, le orde dei comunisti che si mobilitano in ogni parte della nazione per diffondere il male e l’odio, oggi genericamente identificati come “la sinistra”, di cui si fa un unico fascio, dai cattolici vicini al papa, ai benpensanti del PD, agli anarchici, agli esponenti dei centri sociali ai terroristi, tutti nemici del popolo e dei lavoratori.

10) Tecnica dell’apoteosi: Quella della santificazione è una strategia conforme a quelle che usavano e usano i regimi totalitari: il premier visto come colui che non dorme, ma riposa, con la finestra illuminata di notte, che sfibra le sue stanche ossa per servire il paese, che sa quando intervenire, che risolve con la bacchetta magica i problemi della monnezza napoletana o quelli del post-terremoto abruzzese, che siede tra i grandi accreditando l’immagine di statista di levatura mondiale, quando tutti invece ridono di lui. E giù oscene canzoni, dichiarazioni al limite dell’esaltazione religiosa, il tutto con contorno di pubblicazioni con foto truccate, al cui centro c’è sempre lui, il divino, l’ineffabile, il prescelto dal signore, con la storia commovente di chi si è fatto da sé.

11) Tecnica dell’oscuramento: un personaggio esiste finchè esiste in televisione: oscurarne l’immagine è come cancellarlo dal novero delle persone “esistenti”: esempi come quelli di Prodi, Veltroni, Bertinotti, Previti, Luttazzi, Guzzanti, scomparsi o eliminati dai teleschermi, ci danno l’idea di quanto la visibilità d’un personaggio ne confermi l’esistenza e la notorietà. In pratica si tratta di autentica soppressione, di un funerale conseguente al killeraggio politico. Il suo contrario è dato dalla tecnica della sovraesposizione, in cui quotidianamente bisogna parlare del personaggio, qualsiasi cosa esso combini, sia quella di avere il torcicollo o di acchiappare a volo una mosca.

12) Tecnica del particolare, inteso come elemento o prova per confermare la tesi di partenza: si tratta di inserire, in un contesto di dati citati a dimostrazione di un assunto, un particolare, spesso casuale, altre volte presunto, per dare un colore più forte alla dimostrazione: se Fini ha ammesso di avere fumato uno spinello, Fini diventa un individuo “sospetto” e non moralmente integro; se tra le persone che organizzano feste di vip c’è implicato un amico di un trafficante di cocaina, la cocaina diventa un elemento da associare all’insieme, anche se non giudiziariamente provato: esiste una verità giudiziaria, spesso calpestata, e una verità di fatto, maturata nell’opinione pubblica attraverso la gestione dei mass media, che finisce col prevalere sull’altra. Il mixaggio tra verità e falsità crea e confeziona un prodotto attraverso cui è possibile sostenere tutto e il suo contrario, una tesi e il suo opposto, secondo le tecniche degli antichi sofisti.

13) Tecnica del “pompaggio”: si individua a tavolino la notizia, per lo più di cronaca, che si vuole gonfiare e verso la quale far convogliare l’attenzione della gente: in genere si tratta di situazioni che coinvolgono gli affetti familiari, come nel caso di Cogne, o dei fratellini Pappalardo, oppure piccole orge tra amici di una tranquilla provincia, come nel caso di Meredith, con qualcuno dei personaggi di nazionalità non italiana, tanto per fingere una rilevanza internazionale. In questa logica si creano mostri e serial killers pronti a colpire nell’ombra. Non è il pubblico a mostrare le sue “morbose” curiosità verso un fatto, ma il giornalista che, “pompando” quel fatto lo fa diventare oggetto d’interesse. Spesso tutto ciò serve a distrarre da problemi più gravi dai quali si vuole distogliere l’attenzione. Più sottile e perverso è il rapporto di cronaca con gli stranieri o gli extra-comunitari: se qualcuno di essi è coinvolto in un delitto, se ne trae occasione per montare una campagna di stampa sulla sicurezza e sulla necessità di chiudere le frontiere. Se si tratta di italiani, la cosa finisce col rientrare nella “normalità” della cronaca. Il pompaggio riguarda infiniti altri argomenti, come ad esempio la guerra di cifre dei partecipanti alle manifestazioni, tra quelle della questura e quelle denunciate dagli organizzatori.

14) Tecnica del ping pong, ovvero del “così fan tutti”, ovvero del “chi è senza peccato scagli la prima pietra”: gli italiani sono tutti puttanieri: perché stupirsi delle galanti avventure del loro premier che li rappresenta? I ladri esistono sia a sinistra che a destra, quindi la sinistra stia zitta e si guardi gli scheletri nel proprio armadio. Gli accordi tra politici e mafiosi sono stati fatti da uomini di tutti i partiti politici e non possono essere imputati solo alla destra: anche se tra di essa ce n’è qualcuno di più. Tutti i partiti, come diceva Craxi, prendevano le tangenti, quindi perché dovrebbe pagare uno solo? Il metodo ingenera una generale sfiducia soprattutto nei confronti della classe politica e una generale deriva verso il qualunquismo, che aumenta l’allontanamento dei cittadini, l’aumento delle astensioni e il rafforzamento di quelle cricche politiche capaci di crearsi, attraverso il clientelismo e il martellamento mediatico un sostrato di consensi che ne garantisca la sopravvivenza e la permanenza.

15) Tecnica dell’intimità: consiste quella di uso del nome, anziché del cognome o del titolo, o della carica, è serve a rendere più vicino il soggetto, a farlo sentire come una persona di casa: in passato anche Repubblica, ha dedicato a “Silvio” esortazioni e comprensioni per le sue gaffe o per i commenti dei suoi cortigiani. Del personaggio si sa tutto, dei suoi rapporti familiari, di ciò che mangia e dove va a mangiare, di come veste, di chi frequenta, dei pettegolezzi dei suoi nemici politici e si è prodighi di consigli, se ne appoggiano le strategie e lo si mette in guardia dai possibili pericoli.

16) Tecnica della distrazione: è legata all’individuazione del “distrattore”, ovvero dell’elemento, della notizia, della persona su cui dirottare l’attenzione, in maniera da farla divergere da altri problemi particolarmente più scottanti. In genere si tratta, se sono esseri umani, di soggetti deboli o facili da colpire, di persone o cose che occupano un minimo dispendio di forze e comportano una notevole resa di consensi. Si pensi alla paranoica sovraesposizione dell’arresto di Cesare Battisti, all’individuazione del nemico, visto come un amico del terrorista, ai suoi complici politici appartenenti alla presunta sinistra, e successivamente alla riscoperta, dopo trenta o quarant’anni di silenzio, di una ventina di persone che sono fuggite all’estero e che invece il ministro degli interni, diventato degli esteri, che provvede alla sicurezza degli italiani, si occuperà di fare instradare in Italia: bella mossa, così gli stati che non lo faranno, e che hanno valutato la possibilità di dare asilo politico, saranno complici dei terroristi, Francia in testa.

17) Tecnica del primo impatto: si tratta di una specie di giudizio preventivo, di un’anticipazione del giudizio, per lo più di colpevolezza, prima che sia attivata una fase processuale. Se ne servono i magistrati, attraverso le conferenze stampa in cui annunciano un’operazione repressiva, come elemento di pre-orientamento del giudizio, a conferma della giustezza dell’indagine. Sulla base di un’indagine preventiva si raccolgono una serie di elementi attraverso cui si getta in pasto all’opinione pubblica il presunto colpevole, già pre-giudicato, ovvero ritenuto tale sino a quando un procedimento giudiziario non ne avrà deliberato l’assoluzione. Il caso di Pino Maniaci, responsabile dell’emittente “antimafia” Telejato è emblematico: Maniaci stesso ha commentato: Quando ti buttano addosso un secchio di merda, la puzza non va più via”.

Esistono naturalmente altre sottili strategie, con l’uso sapiente delle quali si può fare giornalmente campagna elettorale e procacciare consensi in modo spregiudicato. Molte di queste studiano, attraverso i canali di comunicazione nazionali e internazionali, le simpatie del soggetto, le sue amicizie, le sue fotografie, le sue letture, suoi interventi sulla rete, per elaborare poi strategie anche elettorali, oltre che commerciali. Gli americani ne hanno studiato tante, ma almeno, tra di essi esistono persone e testate giornalistiche in grado di ritagliarsi una certa indipendenza e di denunciare e mettere in crisi gli intoccabili, a cominciare dal presidente. In Italia questo è ormai un principio irrimediabilmente perduto. Il dilagante “neofascismo morbido” si intrufola negli spazi della democrazia per eroderli giornalmente, lasciando credere che tutto è interno al contesto delle regole democratiche.

I principi della propaganda di Goebbels

Anche se vecchi di quasi un secolo, i principi della propaganda ideati da Goebbels, il ministro della propaganda nazista, non hanno perso la loro efficacia e presentano molte analogie con le scelte o strategie di comunicazione di certa propaganda politica italiana e non solo. Propaganda che funziona, soprattutto se l’ispirazione alle tecniche del passato viene usata per riproporre gli stessi obiettivi di gestione del potere nella prospettiva dell’uomo forte, dell’uomo nuovo, dell’”uno di noi” , tutti segnali per dire che la storia del passato purtroppo non ha insegnato nulla. Ma soprattutto è la circolazione della notizia, vera o falsa che zia, che la fa esistere e la rende credibile: tra le sue tante frasi Goebbel ebbe a dire che “una menzogna ripetuta mille volte diventa verità”. Una volta era menzogna, adesso è fake news, ma il senso è sempre quello dell’apparenza che, attraverso i suoi sostenitori finisce con l’essere identificata con la realtà. Il discorso può valere per qualsiasi cosa, da Dio, all’asino che vola, ai protocolli di Sion alla Donazione di Costantino, alla quotazione di un’azione in borsa.

– Primo principio, quello che Goebbels definiva il principio della “semplificazione” e del nemico unico: “È necessario adottare una sola idea, un unico simbolo. E, soprattutto, identificare l’avversario in un nemico, nell’unico responsabile di tutti i mali”. Il nemico è interno o esterno, a seconda dei casi. Non servono idee con cui controbattere le tesi dell’avversario, basta identificarlo come il responsabile di ogni guasto. Non servono programmi alternativi: il nemico è il Renzi di turno, la Casta, i suoi esponenti, l’antimafia, la politica dell’accoglienza. Tutto diventa più facile nella sua semplificazione. Non servono proposte politiche (ammesso che ce ne siano), non serve il confronto sulle idee, (ammesso che se ne abbiano): basta dare un nome e un volto a un nemico.

– Secondo principio è quello della “trasposizione”: “Caricare sull’avversario i propri errori e difetti, rispondendo all’attacco con l’attacco. Se non puoi negare le cattive notizie, inventane di nuove per distrarre”: Su questo punto le equipes che propagandano l’immagine di Salvini o quella di Di Maio si servono di veri e propri network per diffondere in modo virale notizie completamente inventate. Serve a poco mettere un argine, cercare di smantellare la bufala, perché la viralità circola velocissima in rete e, una volta lanciato il sasso non serve più nemmeno ritirare la mano.

– Terzo principio è quello della “volgarizzazione”: “Tutta la propaganda deve essere popolare, adattando il suo livello al meno intelligente degli individui ai quali va diretta. Quanto più è grande la massa da convincere, più piccolo deve essere lo sforzo mentale da realizzare. La capacità ricettiva delle masse è limitata e la loro comprensione media scarsa, così come la loro memoria”. Inutile qualsiasi commento, qualsiasi identificazione con tecniche e metodi usati dal cosiddetto populismo o dal sovranismo. Basta un episodio proiettato come esempio nazionale, bastano poche semplici parole che arrivino alla ”pancia” e il consenso sale subito di alcuni punti.

– Quarto principio è quello dell’”orchestrazione”: “La propaganda deve limitarsi a un piccolo numero di idee e ripeterle instancabilmente, presentarle sempre sotto diverse prospettive, ma convergendo sempre sullo stesso concetto. Senza dubbi o incertezze”: è il principio della semplificazione frammentato in più facce che ripetono con minime varianti la stessa linea di riferimento che ha la sua linea guida nella banalità, condita da cattiveria, da esibizioni muscolari, da proiezioni in cui si propone il riferimento o l’immagine di ciò che si vorrebbe essere e in cui identificarsi.

– Quinto principio è quello del “continuo rinnovamento”: “Occorre emettere costantemente informazioni e argomenti nuovi (anche non strettamente pertinenti) a un tale ritmo che, quando l’avversario risponda, il pubblico sia già interessato ad altre cose. Le risposte dell’avversario non devono mai avere la possibilità di fermare il livello crescente delle accuse”. La tecnica utilizza con disinvoltura network, portali, gruppi di pronto intervento sui canali di comunicazione, dove il ritmo delle informazioni emesse è davvero impressionante e la loro viralità fondamentale ai fini di un’efficace propaganda. Per esempio, basta provare a segnalare a Tze Tze una fonte che non sia al 100% in linea con le attuali strategie governative gialloverdi per sentirsi rovesciare addosso improperi, offese, calunnie. Idem per Facebook o per Twitter, dove gruppi “cammellati” preparati a farlo, supportati da soldatini e fans felici di assumere la parte dei killers, si gettano sull’incauto assertore delle sue idee per sbranarlo, ricoprirlo di ingiurie e farlo vergognare di aver detto una parola di dissenso, ma al contempo inserire qualche altro elemento di dibattito che fa subito presa e sul quale convergono i successivi commenti.

– Sesto principio, è legato al precedente ed è quello della “verosimiglianza”: “Costruire argomenti fittizi a partire da fonti diverse, attraverso i cosiddetti palloni sonda, o attraverso informazioni frammentarie”: qui ci sono autentici artisti delle fake news che procedono imperterriti, anche se puntualmente smentiti. È una delle ragioni principali per cui i nuovi araldi della politica evitano accuratamente i confronti diretti con gli avversari. Non reggerebbero al dibattito.

– Settimo principio, legato al precedente è quello del “silenziamento”: ”Passare sotto silenzio le domande sulle quali non ci sono argomenti e dissimulare le notizie che favoriscono l’avversario”. In altri termini disinteressarsi di ciò su cui non si può, non si sa o è inutile rispondere ed evitare di impelagarsi in discussioni sterili o perdenti, cambiando discorso e spostando il terreno del contendere su un argomento più favorevole. Non occorre molto: ooche idee, molte certezze e molta violenza. Si può avere un’idea nella scena del dibattito televisivo tra Cetto Laqualunque e il suo avversario politico De Santis.

– Ottavo principio è quello dell’”unanimità”: “Portare la gente a credere che le opinioni espresse siano condivise da tutti, creando una falsa impressione di unanimità”: e qui gli attuali governanti, gli associati gialloverdi, sono degli artisti, sono veramente dei maestri. In questo principio riescono a racchiudere la somma di tutti i principi precedenti portando intere masse di persone a credere in tutte le stupidaggini, le scorrettezze diffuse dai loro network semplicemente per il fatto che “se sono condivise da così tante persone devono essere per forza vere“. Essi ed essi soli sono la voce del popolo, la volontà del popolo, l’espressione dei bisogni del popolo i depositari di un vangelo da seguire con fanatica dedizione. È l’apoteosi della propaganda di Goebbels migrata ai giorni nostri.
È auspicabile che i successivi sviluppi non seguano quelli, molto tristi, del passato.

Pubblicato su antimafiaduemila.com

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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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