È stata la buccia di banana su cui è scivolata Silvana Saguto e tutto il suo clan. Si è trattato di un sequestro programmato a tavolino con l’intenzione di sistemare un po’ di cose e di affari. Primo fra tutti quello di Walter Virga, figlio dell’alto magistrato Tommaso Virga, al quale la Saguto doveva ricambiare qualche passato favore. Walter Virga, “un ragazzino da niente”, si è trovato ad amministrare un impero da 800 milioni di euro, dopo che poco prima gli era stato affidato il compito di amministratore giudiziario della catena di negozi Bagagli. Prima cosa da fare quella di sistemare la nuora della Saguto, Mariangela Pantò, alla quale venne fatta arredare una stanza e dato un ufficio con il compito di occuparsi di vertenze legali, cosa che già era svolta da altri.
Il sequestro venne operato nell’ultimo giorno, in cui scadevano i cinque anni dalla morte del nonno Vincenzo con cui i nipoti non avevano nulla a che fare. Infatti sono stati assolti dall’accusa, è stato più volte disposto il dissequestro dei beni, reiterato il sequestro, sino ad arrivare all’ultima accusa, quella della pericolosità sociale di Vincenzo Corrado Rappa, il quale, invece che essere un soggetto pericoloso, collaborava con i carabinieri: proprio nel giorno del sequestro, Rappa avrebbe dovuto incontrarsi con il suo estorsore di Catania, il boss Ercolano, per la consegna dei soldi del pizzo che costui gli aveva domandato per l’apertura della Nuova sport Car di Catania. Invece in quel giorno gli venne notificato il provvedimento di sequestro e la decisione mandò a monte l’operazione concordata con i carabinieri, che avrebbe dovuto portare all’arresto del mafioso catanese. Insomma, mancato coordinamento tra le varie espressioni investigative o voglia dell’ufficio misure di prevenzione di concludere il sequestro, anche a costo di far saltare l’operazione e salvare il mafioso? Di fatto oggi Vincenzo Rappa si trova a dovere rendere conto di un quadro di sua proprietà di Giorgio De Chirico, del valore di 500 mila euro, che lui stesso ha consegnato, ma che non avrebbe dovuto essere tra i beni sequestrati. Secondo uno schema che ormai conosciamo, essendo nipote di un mafioso è un mafioso anche lui, e la sua voglia di collaborare nascondeva la volontà di salvare i suoi beni. Ormai si va avanti così e, di questo passo nessuno sarà più disposto a rischiare la pelle per fare arrestare i suoi estorsori, dal momento che tutto questo non serve a niente, anzi serve solo a diventare un bersaglio prima dello stato e poi dei mafiosi.
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