È la scoperta dell’acqua calda. Si sapeva già da tempo ed era già stato scritto sui giornali qualche mese fa. Si potrebbe pensare che tutto ciò appartiene alle sapienti strategie che vogliono tenere in caldo l’immagine del giornalista di Telejato come criminale e estorsore, per ottenere poi dal GUP, cui dovrebbe andare a finire il caso, il rinvio a processo. Il problema non è questo, comunque: Maniaci ha chiesto, anche attraverso i suoi legali, di volere andare a processo e di non essere prosciolto, perché sostiene che dal processo dovrebbero emergere le responsabilità di chi ha guidato la caserma dei carabinieri di Partinico nel portare avanti un’indagine nei suoi confronti, a suo parere fondata su elementi processualmente irrilevanti e, dietro la quale sembra esserci la longa manus, ovvero la vendetta di chi ha guidato per molti anni l’Ufficio misure di Prevenzione e che ora si trova sotto processo e con i beni sequestrati.
Il problema è che ancora a Maniaci non è stato notificato niente. Anche nello scorso aprile, cinque giorni prima che scoppiasse il caso e che fosse annunciata alla stampa l’operazione Kelevra, un articolo di Francesco Viviano su La Repubblica, aveva anticipato tutto. Adesso l’articolo è scritto da Salvo Palazzolo e ripropone il problema: è giusto, è corretto che i giornalisti sappiano dei procedimenti giudiziari nei confronti di un imputato, prima dell’imputato stesso e che diano in pasto notizie che colgono di sorpresa chi ne è parte in causa? Sia chiaro che il cronista fa il suo lavoro e scrive su quello di cui è venuto a conoscenza. Senza volere andare lontano, è evidente che le notizie che vengono fornite ai cronisti non possono che venir fuori dalla Procura, grazie a una sorta di filo diretto che intercorre tra giornalisti e magistrati, ovvero a un rapporto che fa del giornalista la voce e lo strumento di cui si serve il magistrato nella predisposizione e nella preventiva preparazione delle sue strategie processuali.
La notizia di oggi, pertanto, a nostro parere, non è che è stato chiesto il rinvio a giudizio da parte del gruppo di magistrati coordinati da Vittorio Teresi, ma che la stampa lo sa, l’imputato no, e che, proprio per garantire il diritto dell’imputato a non essere preventivamente indicato come colpevole, sarebbe opportuno che questa strategia fosse invertita: spetta prima all’imputato conoscere quello che lo riguarda, e poi i giornalisti dovrebbero avere la facoltà di rendere pubblica la notizia. Nel caso di Maniaci la cosa è ancor più sottile: una notizia che riguarda chi gestisce un telegiornale, dovrebbe essere data in prima battuta dallo stesso: e invece, proprio per umiliare il giornalista in causa, senza prendere in considerazione il suo lavoro, si è scelto di dare prima ad altri quello che lo riguardava, così come si era scelto di mettere Maniaci assieme ai nove mafiosi di Borgetto, con cui non c’entrava niente, tanto per uniformare la sua immagine a coloro dei quali egli aveva denunciato i misfatti. Per dirla con Falcone, ma il nostro è un complimento, ci troviamo davanti a “menti raffinatissime”.
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