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Chiesto dalla la procura di Caltanissetta il rinvio a giudizio per la Saguto e altri 18 suoi compagni di merenda

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CALTANISSETTA. È stato chiesto dalla Procura di Caltanissetta il rinvio a giudizio per Silvana Saguto e gli altri 18 componenti “del medesimo disegno criminale”, per dirla con la Procura, che giravano attorno ad essa, ovvero, tanto per darle un nome che possa procurarci una denuncia, la “Banda Bassotti”.

Il discorso della denuncia è serio e vogliamo, da questa emittente, porlo all’attenzione di tutta la stampa nazionale: Telejato oggi si trova sotto la lente d’ingrandimento di alcuni settori della magistratura e qualsiasi virgola qualsiasi mezza parola in più di quanto non sia la banale e fredda cronaca dei fatti, comporta una denuncia per diffamazione, oltre che l’uso della denuncia come atto intimidatorio per impedire la messa in onda di pareri, di commenti, di scherzi satirici e di tutto quanto da sempre ha caratterizzato l’originalità di questa emittente. Così non si può più lavorare.

La cautela è anche dovuta al fatto che, trattandosi di avvocati, magistrati e militari, per costoro non è un problema utilizzare la legge come “fiato sul collo”, cioè come atto di pressione per evitare qualsiasi vago riferimento all’onorabilità e all’intoccabilità della propria persona.

Ma torniamo agli imputati: sono tre magistrati – Fabio Licata, Lorenzo Chiaramonte e Tommaso Virga – l’ex prefetto della città, Francesca Cannizzo, il marito della Saguto Lorenzo Caramna, il figlio Emanuele e il padre, Vittorio Pietro Saguto, alcuni amministratori giudiziari, da Cappellano Seminara, a Nicola Santangelo, ad Aulo Giganti, a Carmelo Provenzano, a Walter Virga, alcuni collaboratori imparentati con gli amministratori e incaricati da costoro di svolgere servizi nelle amministrazioni affidate, come Elio Grimaldi, Calogera Manta, Antonio Ticali, Roberto Di Maria, Maria Ingrao, il colonnello della Finanza Rosolino Nasca, il professor Luca Nivarra. Le accuse sono pesanti e vanno dalla corruzione alla concussione, dalla truffa aggravata, al riciclaggio. Secondo le indagini condotte dal Nucleo regionale di polizia tributaria della Guardia di Finanza, il quale, su disposizione dei magistrati ha proceduto anche al sequestro penale di 800 mila euro, la “banda” che aveva al suo centro, la presidente dell’ufficio misure di prevenzione, aveva, anzi, “pare che avesse” costruito un sistema di potere volto all’amministrazione dei beni che la stessa faceva sequestrare e, che poi affidava a una cerchia di persone a lei legate da vincoli di vario genere. I 19 indagati che, dal prossimo 22 giugno, dovranno presentarsi con i loro legali davanti al gup di Caltanissetta Marcello Testaquatra per l’udienza preliminare.

Il procuratore capo Amedeo Bertone, gli aggiunti Lia Sava e Gabriele Paci e il sostituto Cristina Lucchini hanno stralciato la posizione di Antonino Ticali per il quale stanno ora valutando se chiedere l’archiviazione. Ticali era “compagno” del giudice Chiaramonte che gli aveva affidato un incarico. Pare giusto: se nell’inchiesta non c’è il nome di Mariangela Pantò, destinataria anch’essa di incarichi legati alla gestione del sequestro Rappa, perché dovrebbe esserci Ticali, che poveretto ha intascato, pare, attenzione, la sua parcella. E poi, quando c’è in mezzo l’amore…

Dall’inchiesta, al momento, escono puliti una serie di altri nomi di magistrati, politici, avvocati, giornalisti che hanno ruotato intorno a questo sistema, che hanno favorito l’ascesa della Saguto al posto di vertice che occupava e hanno provato a difenderne la linea d’azione. Ma soprattutto ne esce fuori l’operato degli amministratori giudiziari che hanno raso al suolo le aziende loro affidate, che hanno fatto mangiare, con i pezzi di queste aziende i loro amici, che hanno distrutto intere economie e lasciato numerose famiglie in mezzo alla strada. Costoro non pagheranno e non c’è da illudersi che possano in qualche modo pagare, perché, né le attuali norme, né quelle che si stanno discutendo al Senato nel disegno di legge che dovrebbe rivedere tutta la materia delle norme antimafia, non è previsto che possa pagare né l’amministratore giudiziario, né il giudice che lo ha nominato, e che dovrebbe essere responsabile del suo operato.

Quindi, conclusione: nessuna delle vittime di questo criminale sistema di potere potrà essere risarcita, anche nell’eventuale caso di condanna di alcuni dei responsabili. Tutto in nome dello stato italiano…

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Redazione

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