È stata fissata al 19 ottobre l’udienza in Camera di consiglio per provvedere in ordine alla richiesta di archiviazione per alcuni reati, formulata dal GIP Fernando Sestito, dopo che nei confronti di diversi imputati il PM Amelia Luise aveva espletato le indagini, indicato alcuni capi d’accusa e successivamente, aveva chiesto l’archiviazione in data 18.10.2016, decisione poi diventata decreto il 20.07.2017.
Attenzione, non si tratta dell’operazione Kelevra, nel suo ramo principale, il cui processo è stato fissato il 20.9.2017, ma sembra trattarsi di un’operazione collaterale o di supporto a questa, dal momento che buona parte degli imputati sono quelli del ramo principale d’indagine. Per quel che sembra di capire questa udienza si riferisce agli imputati dell’operazione Kelevra, ma ricorrono altri nomi, come quello di Romano Francesco, di Lo Voi Giuseppe, di Tornetto Gino, di Polizzi Gioacchino, di Musso Santo, di Spina Vito, di De Luca Gioacchino, di Riina Fabio. Per quasi tutti, in particolare per Petruso Francesco, per Petruso Giuseppe, per Polizzi Gioacchino, per Giambrone Tommaso, per Romano Francesco, per Toia Giuseppe, Per Musso Santo, per Tornetto Gino, per Lo Voi Giuseppe, per Spina Vito, per De Luca Gioacchino, per Riina Fabio viene chiesta l’archiviazione per l’imputazione più grave, ovvero il 416 bis, che è il reato per associazione mafiosa. Sembra di concludere che per queste persone siano stati individuati in prima battuta alcuni reati che poi, non essendo questi suffragati da adeguate prove, si sia arrivati alla richiesta di archiviazione. Attenzione, la richiesta potrebbe essere rigettata.
Tre nomi sembrano destare particolare attenzione, quello dell’ex sindaco Gioacchino De Luca, quello di Vito Spina e quello di Pino Maniaci: per Maniaci è stata chiesta l’archiviazione per uno dei tanti reati di estorsione a basso costo, dei quali è imputato. Per alcuni imputati stupisce l’abissale differenza tra quello che è segnato nella relazione del prefetto di Palermo e nel decreto che ha portato allo scioglimento dell’amministrazione borgettana, comprese indagini e relazioni della DIA e la richiesta di archiviazione: sembra che in Italia ci siano due giustizie, una quella penale e una quella politica, e che quello indicato dall’una non viene sempre confermato dall’altra. Rimane sempre un dubbio: come mai, se gli amministratori di Borgetto nulla hanno a che fare con i mafiosi, l’amministrazione è stata sciolta?
Di fatti del genere ne ricorrono spesso e in senso contrario: basta spostarsi a Giardinello per chiedersi, stando alla sentenza del TAR, come mai, non essendo stato rilevato alcunché nei confronti del sindaco Geloso, il suo Comune, Giardinello è stato sciolto, mentre il principale imputato, quello che avrebbe avuto uno stretto legame con il capomafia locale, parliamo di Polizzi è stato eletto consigliere comunale assieme ad altri della sua lista e a Geloso e ai suoi consiglieri non è stato consentito di partecipare al rinnovo del consiglio: la sentenza del TAR è chiara: “Il Collegio ha valutato il fumus boni iuris del ricorso, rilevando in particolare che i denunciati contatti con la criminalità organizzata sembrano riguardare in primo luogo non l’amministrazione oggetto del provvedimento impugnato e la relativa maggioranza consiliare, bensì ambiti politici vicini a precedenti amministrazioni ed oggi minoranza, che potrebbero paradossalmente essere “rimessi in gioco” in nuove consultazioni”. Ebbene, le nuove consultazioni ci sono state e il paradosso si è realizzato: in consiglio comunale è entrata, come minoranza quella che, in base alla sentenza del TAR non avrebbe dovuto entrarci, perché sospettata di inquinamenti mafiosi. Su queste discrasie si gioca quindi l’altro paradosso di un sindaco, quello di Borgetto, mandato a casa per infiltrazioni mafiose, ma con richiesta di archiviazione per l’accusa del 416 bis e di un altro, quello di Giardinello, che invece, pur essendo stato riconosciuto estraneo dalla sentenza del TAR, non si è potuto ricandidare, mentre si è ricandidato il suo predecessore sul quale esistevano fondati motivi di non candidabilità.
Insomma, l’imputazione di associazione mafiosa rischia di diventare un elastico nelle mani di alcuni magistrati e uomini politici e di essere usata in rapporto alle convenienze o alle strategiche che si intendono perseguire nel momento in cui si dà in pasto all’opinione pubblica un boccone da addentare, qualcosa in cui credere, qualcuno da indicare come criminale, salvo poi “’a squagghiata dei l’acquazzina” scoprire che si trattava di innocenti.
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