Si fa un gran discorrere sul ritorno della violenza politica, cercando di contrapporre, come al solito, i gruppi neofascisti ai gruppi di estrema sinistra, nel tentativo di creare un bilanciamento degli “opposti estremismi” e di circoscrivere questi rigurgiti di fanatismo e intolleranza a casi isolati che, scrivono e dicono in molti, non lascerebbero presupporre una eventuale rinascita del pericolo del fascismo. Il caso di Palermo è stato accostato a quello di Perugia, un accoltellamento con ferite assimilato a un pestaggio con ricovero ospedaliero e dimissioni il giorno dopo, cioè non c’era niente di serio. In un caso sono stati arrestati due giovani “noti” alle forze dell’ordine, con la pesante accusa di tentato omicidio, dell’altro caso non si sa ancora niente.
Inevitabilmente il pensiero torna al passato, alle devastanti stragi fasciste di Piazza Fontana, di Piazza della Loggia, dell’Italicus, se al solito vogliamo fare contrapposizioni, alla strage di Peteano: se vogliamo andare ancora più indietro, a tutte le aggressioni neofasciste degli anni 20, culminate con l’assassinio di Giacomo Matteotti o con quello dei fratelli Rosselli.
In pratica un filo nero attraversa tutta la storia dell’Italia con una lista infinita di vittime della violenza sia quella dello stato e delle istituzioni, sia quella di gruppetti eversivi, spesso strumento di strategie ben più raffinate per rivedere in senso autoritario le regole delle democrazie borghesi.
La repressione del “brigantaggio” postunitario (c’è chi parla di un milione di morti), quella dei Fasci siciliani, la strage di Milano fatta dal “prode” Bava Beccaris, le repressioni dei movimenti operai negli anni ’20, la strage del pane di Palermo (1944), per non mettere nel mazzo anche le stragi mafiose, da Portella ai sindacalisti uccisi nel 1946-48, alla feroce repressione sui civili nel corso del cosiddetto “secondo brigantaggio” legato alla banda Giuliano, alle stragi di via Pipitone Federico, di Capaci, di via d’Amelio, dei Georgofili sono alcuni frammenti di una linea d’azione dello stato condotta con un autoritarismo del quale il fascismo è stato l’espressione più alta, o, da un’altra prospettiva, le conseguenze di una scellerata trattativa di cui la mafia è stato lo strumento operativo, nel momento in cui gli equilibri di potere tradizionali erano minacciati da uomini o da movimenti in lotta.
Una volta si diceva che c’è sempre un fascista nell’armadio. In un certo momento, mentre sembrava che tutto fosse scomparso, gruppi neonazisti o neofascisti hanno continuato a lavorare sotto traccia, facendo leva su diffusi sentimenti di xenofobia, su arcane paure di perdita di identità spesso artificiose e create a tavolino, e documentando le inefficienze dello stato come cause, conseguenze e limiti del sistema democratico.
In altri momenti dell’era berlusconiana, culminata con il terribile pestaggio della scuola Diaz, il fenomeno è sembrato sfumare, forse per le caratteristiche fascistoidi del personaggio, con il tentativo di estremizzare la condanna del comunismo e di cercare i nemici della democrazia tra i cosiddetti gruppi “anarchici insurrezionalisti”, spesso esistenti solo nelle fantastiche ricostruzioni dei servizi segreti. La ricerca del nemico nascosto e debole è una costante di ogni regime in cerca di consensi.
In tempi più recenti tutto ciò che sembrava dormiente, ha piano piano rialzato la testa, si è dato un nome, un’organizzazione, alcune sedi e degli impegni, come quello di fare presidi in piazza o per le strade o quello di consumare bravate mafiose nei confronti di chi, spesso persona di colore, si fa trovare solo o impreparato. Sono 151 gli attentati neofascisti che si sono succeduti in Italia dal 2014 al 2018, come documentato sul sito http://www.ecn.org//antifa/.
La violenza che proviene da alcune fasce dell’estrema sinistra, spesso definita “antagonista” non presenta risvolti migliori: spesso è una scelta di risposta alle provocazioni con l’uso delle stesse modalità. C’è poi la cultura secondo cui il poliziotto è sbirro, chi rappresenta le forze dell’ordine è un nemico o un servo del capitalismo, che spesso conduce ad aggressioni e scontri i cui risvolti poi sono sempre quelli di stringere all’angolo le fasce più politicizzate e di criminalizzare qualsiasi dissenso. Pasolini ci aveva visto bene. D’altra parte va preso in considerazione l’atteggiamento di chi è chiamato ad assicurare l’ordine, i cosiddetti celerini, che spesso considerano “colleghi” gli esponenti delle frange neofasciste e invece non hanno pietà per l’estremismo di sinistra.
E infine il terrorismo islamico, che ha fatto dimenticare il terrorismo mafioso e quello fascista per prospettare un nemico esterno come copertura della riorganizzazione e ricomposizione di gruppi eversivi interni. L’episodio di Macerata è un primo preoccupante esempio di “terrorismo nostrano”, consumato con le armi, dove il nemico non è l’islam ma l’uomo di pelle diversa.
Ci sono altri elementi, dalla crisi economica ai flussi migratori, all’incapacità dei governi di risolvere questo ed altri problemi connessi, ma c’è anche la crisi della famiglia, che, nell’abbandono dei moduli educativi tradizionali non ne ha saputo né potuto cercarne dei nuovi: lassismo ed eccesso di protezione hanno cambiato i rapporti dei figli con i responsabili delle scuole o delle strutture educative cui questi sono affidati, al punto da causare risposte violente nei confronti di coloro che tentano solo di trasmettere elementi e principi educativi per rispettare le regole del vivere in comune.
In questo brodo di coltura hanno cominciato a prendere corpo e consistenza gruppi di ragazzotti alla ricerca di un’immagine e di un’idea nella quale identificarsi, con balorde esibizioni di tatuaggi, di saluti romani, di vestiario tipo militare, con palestre in cui esercitarsi , schieramenti paramilitari di tifosi negli stadi, con scorribande alla ricerca del poveraccio su cui scaricare l’aggressività. Nulla di nuovo: li abbiamo già visti in passato con nomi diversi, naziskin, ordinovisti e affini, con le smanie esibizionistiche dei vent’anni, che poi, per molti sfumano, per i più intelligenti e pericolosi diventano o tentano di essere progetto politico.
In questo momento in cui l’incertezza politica domina, le attività repressive dello stato sono spesso vanificate dal buonismo della magistratura, gli sbarchi continuano, il capitalismo italiano è finito nelle mani di imprenditori stranieri o cerca di delocalizzarsi in altri paesi a bassa mano d’opera, l’agricoltura, specie quella individuale, senza più incentivi o protezione si trova a contrastare la concorrenza dei prodotti esteri con il conseguente abbandono delle campagne, si aprono grandi spazi, autostrade, per chi ha le risorse finanziarie, le idee e gli uomini per portare avanti progetti con cui spacciare per scelte democratiche progetti liberticidi, smanie belliche, tronfie esibizioni di potenza, nuovi fascismi. Trump insegna.
“Un secondo fascismo non potrà più nascere. Quando una pietra si sposta, sotto, alla luce, restano solo i vermi” disse una volta Mussolini all’ambasciatore Ludwig. E ben a ragione: gli attuali vermi, essendosi addormentate, se non scomparse le grandi lotte e i conflitti di classe, essendo venute meno o in crisi le categorie produttive e svilito il ruolo dei sindacati, possono solo scimmiottare i loro emuli del passato, ma al momento non hanno, come costoro, il ruolo di “braccio armato del padronato”, perché i padroni hanno imparato a difendersi e a controllare scientificamente tutto quello che può mettere in rischio il proprio ruolo.
C’è infine un ultimo problema: si devono usare le regole della democrazia nei confronti di chi non ha alcun rispetto per queste regole? In passato, soprattutto nei confronti del terrorismo rosso degli anni 70 si studiarono leggi speciali, come la Legge Reale, che alla lunga ebbero qualche risultato, ma che rimasero vigenti, anche finita l’emergenza. Stessa linea fu portata avanti per combattere la mafia, con norme di dubbia costituzionalità, come il 41 bis o il sequestro preventivo dei beni.
Un principio è certo: che alla violenza fisica non si può replicare con altrettanta violenza fisica, altrimenti le differenze non si colgono più. E’ vero che nessuno può negare il diritto a difendersi o a rispondere a un’offesa evitando di subire danni, ma organizzare agguati, aggredire persone inermi, attaccare militarmente chi è chiamato ad assicurare l’ordine significa tirarsi fuori da quelle regole di democrazia per difendere le quali ci si mobilita. Il problema comunque non è di non facile soluzione: si va dall’occhio per occhio a un improbabile messaggio d’amore verso il proprio nemico politico. E il dubbio è legittimo se si guarda il curriculum di violenze del neofascista palermitano picchiato.
Aveva destato interesse e apprezzamento il fatto che questo tipo di scelte ideologiche legate alla violenza hanno una precisa identità maschile. È il maschio che ama pavoneggiarsi, atteggiarsi, esibirsi, minacciare, atterrire, sfogare la sua bestialità esaltarsi della sua stessa imbecillità. Sino ad ieri, quando si è scoperto che nel commando palermitano c’era anche una donna che tentava di rassicurare i presenti dicendo che non stava succedendo niente. Se l’altra metà del cielo non c’è stata sino ad adesso è chiaro che il numero dei “guerrierini” è dimezzato, ma se dovesse scendere in campo, come sta succedendo in ogni angolo e in ogni spazio del campo, saranno davvero guai. Del resto la leader dei neofascisti istituzionalizzati e “fratelli” non è attualmente una donna?
Oggi ci si chiede se costoro sono nemici dello stato o se sono solo utili idioti, facilmente strumentalizzabili da chi guarda più lontano. Nel primo caso, poiché la nostra costituzione condanna chiaramente il fascismo e qualsiasi tentativo di sua rinascita, le organizzazioni parafasciste vanno sciolte senza discussione e non va permesso loro in nessun modo di partecipare all’agone politico, come invece è stato tollerato. In questo caso l’insegnamento di Pertini è chiarissimo: “Il vero antifascismo sta nell’impedire ai fascisti di manifestare”. Nel secondo caso basta tenerli sotto controllo di polizia, con l’obbligo di presentarsi in caserma. Oppure, se si è in numero tale da essere sicuri di non prenderle, quando si incontrano questi guerrierini pieni di sè, basta gridargli dietro: “Scemo, scemo!!!”
Ma attenzione, senza inutili proclami e sbandieramenti di vittoria della democrazia, perché latente, dormiente, silente, strisciante, vicino, distante, il fascismo sta sempre lì, nascosto in quell’armadio che è il nostro subconscio, legato al bisogno connaturato di identificarsi in qualcosa che vale più di ogni singola comune persona, in qualcosa che compensi e integri le nostre debolezze, si chiami esso, se guardiamo in alto, santo, divinità, o se scendiamo in terra, eroe, leader, capo, duce, modello. Ecco perché la vigilanza non dovrebbe, non deve mai essere troppa.
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