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Caso Saguto: si comincia a vederci meglio

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La Rosini afferma di essere stata a conoscenza dei quotidiani servizi di Telejato e di avere avuto seri momenti di difficoltà nel momento in cui, dall’emittente, Maniaci affermava che in quell’ufficio c’era una mafia dell’antimafia.

Dal tribunale di Caltanissetta si comincia a diradare il fumo che per un certo tempo ha oscurato in un ovattato silenzio il ruolo di Silvana Saguto e dei suoi collaboratori nella gestione dei beni sequestrati a presunti mafiosi e affidati a un ristretto numero di “amici”. Il primo a parlare delle sue perplessità sulla nomina di Saguto alla presidenza dell’Ufficio è Gioacchino Natoli, già presidente della corte d’appello di Palermo, il quale, in un colloquio col presidente del tribunale Leonardo Guarnotta fa presente come la signora si presentava in ufficio sempre tra le 11 e mezzogiorno ed aveva accumulato “un ritardo storico” nello svolgimento delle udienze. Una vecchia malattia, se vogliamo un vizietto della signora, che già le era costato un procedimento del CSM, conclusosi comunque con l’assoluzione di tutti gli imputati. Natoli si insedia il 15 maggio 2015 e subito, dopo una telefonata dell’avvocato generale della Cassazione Vincenzo Geraci, che lo informa di un servizio delle Iene, telefona al nuovo presidente del tribunale Salvatore Di Vitale, chiedendogli di intervenire. L’intervento si rivela una sorta di palliativo con il quale la Saguto nega tutto e sostiene che tutto è a posto e di avere affidato a Cappellano un solo incarico, mentre l’incarico a suo marito risaliva a tempi lontani.

Ma che non fosse tutto a posto lo rileva un altro giudice, Claudia Rosini, che intorno al 2013 fece parte dell’Ufficio di prevenzione, ma che andò via “schifiata”, nel momento in cui cominciò ad aprire gli occhi, grazie ai servizi di Telejato. E qui viene fuori il ruolo della nostra emittente ed il contributo fondamentale che essa ha dato nell’apertura e nei successivi sviluppi dell’indagine. La Rosini afferma di essere stata a conoscenza dei quotidiani servizi di Telejato e di avere avuto seri momenti di difficoltà nel momento in cui, dall’emittente, Maniaci affermava che in quell’ufficio c’era una mafia dell’antimafia. Dichiara che tali servizi erano iniziati tra il 2013 e il 2014, e che esponevano una così circostanziata analisi dei fatti, rispetto ai quali invece non si prendeva alcun provvedimento. Vengono così meno le dichiarazioni fatte dal capo della Procura di Palermo Francesco Lo Voi e dal Giudice di Caltanissetta Lia Sava, secondo i quali Telejato non c’entrava niente e che tutto era partito per iniziativa della procura di Palermo che un bel giorno aveva trasmesso il fascicolo a Caltanissetta. Noi possiamo senza smentita documentare che i nostri servizi sull’argomento sono cominciati nel gennaio 2013 e che sono successivamente andati avanti con l’analisi di una serie di casi, dagli Impastato, ai Cavallotti, all’hotel Ponte, ai Rizzacasa, all’ing, Lena, alla clinica Villa Teresa, all’hotel San Paolo, ai supermercati di Grigoli a Castelvetrano, agli Amodeo, ai Niceta, e a moltissimi altri casi che generalmente vedevano assolti penalmente i titolari delle imprese sequestrate, mentre queste rimanevano sotto sequestro sino alla definitiva scomparsa dei beni, dilapidati dalla cattiva amministrazione.

Ci fa piacere che la dott.ssa Rosini abbia appreso da noi una serie di cose di cui non aveva notato i risvolti, malgrado ci fosse dentro e passassero sotto i suoi occhi. Appartiene al 2013 un’intervista al Presidente del Tribunale Guarnotta, che successivamente ha denunciato Maniaci, reo di avere riportato e reso noto l’invito di Guarnotta a non occuparsi più dell’argomento, rispetto al quale c’era ben poco da fare. A due anni di distanza dall’apertura dell’indagine qualcosa è cambiato, ma sono ancora molti i casi di beni sequestrati i cui titolari aspettano una decisione e sono ancora molti gli amministratori giudiziari che in passato hanno trovato un vero e proprio impiego o lavoro con queste nomine e che, nonostante i danni arrecati erano e continuano ad essere al loro posto. L’auspicio è che le tante famiglie vittime di un sistema che spesso li criminalizza senza fondato motivo e poi non riesce più a riabilitarle o a ricompensarle dei danni arrecati, possano, in tempi decenti chiudere le loro questioni e tornare a una vita normale. Se lo meritano. Se invece sono davvero mafiosi, che restino dentro e ci marciscano.

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Redazione

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