Il caso Saguto è tutt’altro che chiuso. Gli avvisi di proroga delle indagini sono arrivati alla spicciolata. L’ultimo lo hanno ricevuto due giorni fa cinque indagati dello scandalo sulle misure di prevenzione del Tribunale di Palermo. A cominciare dall’ex presidente Silvana Saguto, per proseguire con un altro ex magistrato della sezione, Fabio Licata, gli amministratori giudiziari Carmelo Provenzano e Roberto Nicola Santangelo, e il professore Roberto Di Maria.
Siamo alla seconda delle tre proroghe possibili. Altri sei mesi, si legge nella richiesta del pubblico ministero Cristina Lucchini, “stante la necessità di attendere l’esito di indagini delegate”. Il nuovo termine inizierà a decorrere dal prossimo 10 settembre.
Anche per i difensori degli indagati, gli avvocati Ninni Reina, Giulia Bongiorno, Ernesto D’Angelo, Nino Caleca, Marcello Montalbano e Marco Andrea Manno è difficile orientarsi. Troppo scarne le due pagine del provvedimento che comprende un lungo elenco di articoli, ipotesi di reato e date in cui sarebbero stati commessi. Codice alla mano dall’ultimo avviso di proroga emerge che a Saguto, Provenzano, Santangelo e Di Maria viene contestato il reato di peculato in concorso, a Provenzano e Santangelo il falso con l’aggiunzione dell’aggravante prevista per chi agisce in qualità di pubblico ufficiale; altri falsi vengono contestati a Di Maria e alla Saguto in concorso con Licata. Di Maria, in concorso con la Saguto e Provenzano, è pure indagato per il plagio della tesi di laurea del figlio dell’ex presidente. La tesi di Emanuele Caramma, il 22 luglio del 2015, ricevette otto punti dalla commissione di laurea della facoltà di Scienze economiche e giuridiche dell’Università Kore di Enna presieduta da Di Maria. Secondo l’accusa, la tesi gli era stata scritta da Provenzano che, oltre a fare il professore, sarebbe divenuto anche amministratore giudiziario. La stessa Saguto, parlando della laurea con il marito, ammetteva che “Emanuele è disperato perché sa che questa laurea è una farsa. Gli altri sgobbano per prenderla e lui invece non ha faticato”.
Davvero ampio il possibile ventaglio di ipotesi legate al peculato: si va dalle consulenze approvate dal Tribunale alle cassette di frutta e verdura che Provenzano avrebbe prelevato dall’azienda che gestiva in amministrazione e consegnato all’allora presidente. Stessa cosa per i falsi quasi certamente scaturiti dagli atti con cui il Tribunale vistava i provvedimenti, liquidazioni comprese.
La proroga delle indagini è stata chiesta il 5 agosto scorso. Il pm Lucchini ha avuto, dunque, il tempo di confrontarsi con il nuovo procuratore Amedeo Bertone che si è insediato il 25 luglio. L’indagine si è rivelata un mare magnum. Dal troncone principale ne sono scaturiti altri cinque. I finanzieri del Nucleo di Polizia tributaria di Palermo hanno fatto uno screening su una quarantina di amministrazioni giudiziarie gestite da una decina di professionisti. Le indagini sono iniziate un anno fa. Si è partiti dalla gestione della concessionaria Nuova Sport Car sequestrata ai Rappa e affidata dalla Saguto al giovane avvocato Walter Virga, figlio di un altro giudice, Tommaso, ed è emerso un sistema, dove la gestione della cosa pubblica sarebbe stata piegata ad interessi personali. Vengono ipotizzati reati pesanti come la corruzione e l’autoriciclaggio.
Le amministrazioni giudiziarie sotto indagine dei finanzieri si trovano a Palermo, Agrigento, Caltanissetta e Trapani. Si guarda agli amministratori, ma pure ai consulenti i cui nomi si ripetono. A cominciare dal marito della Saguto, l’ingegnere Lorenzo Caramma, pure lui sotto inchiesta, che ha ricevuto incarichi di consulenza per settecentocinquantamila euro dall’avvocato Gaetano Cappellano Seminara in un periodo compreso fra il 2005 e il 2014. Bisognerà, però, dimostrare che si è trattatato di una partita di giro: incarichi in cambio di consulenze per il marito.
E poi ci sono i presunti passaggi di soldi in contanti. La famiglia del magistrato sospeso dal Csm aveva un tenore di vita altissimo. Dall’analisi delle carte di credito è emerso che alcuni mesi riuscivano a spendere fino a 18 mila euro. Per rimediare, secondo la Procura nissena, l’ex presidente avrebbe ottenuto soldi in contanti da Cappellano Seminara e, forse, anche da altri amministratori che gestivano beni sottratti ai mafiosi. Ci vorrà del tempo, però, per avere risposte chiare.
Tratto da: livesicilia.it – Riccardo Lo Verso
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