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Caso Saguto. Gli indagati, i risvolti, i sequestri, le dignità perdute

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Il giorno dopo

Il giorno dopo il comunicato della Procura di Caltanissetta, si aprono altre pagine di un’indagine sulle modalità di sequestro e sulla a gestione dei beni sequestrati alla mafia nel periodo in cui è stata presidente della sezione “misure di prevenzione” Silvana Saguto. Per noi non è una novità: ce ne siamo occupati, quasi giornalmente da due anni, pagando anche di persona con una serie di denunce e con le attuali vicissitudini che coinvolgono Pino Maniaci, attualmente costretto ad abitare lontano dalla sua emittente, a causa di un provvedimento cautelativo che sembra abnorme e ingiustificato. “Quello lì è questione di ore” aveva detto il prefetto Cannizzo alla Saguto: non ci sono volute ore, ma alcuni mesi, e alla fine è arrivata la “resa dei conti”. In tal senso “quello lì” è stato ieri sentito dal GIP Aiello, che, assieme al collega Sestito deciderà se reiterare o annullare il divieto di dimora entro cinque giorni.

Ma torniamo alla bomba che, non ci stancheremo di dirlo, non destabilizza la magistratura né la Procura di Palermo, ma solo un settore che ha agito in modo criminale, non esitando a gettare in mezzo alla strada, con il semplice sospetto di collusioni mafiose, intere famiglie e intere aziende che stavano cercando un loro spazio nel desolato deserto economico che sta caratterizzando la Sicilia. L’apertura dell’indagine serve a restituire credibilità ai magistrati, capaci di indagare sui loro colleghi in nome di una legge che, com’è scritto nei tribunali, è o dovrebbe essere “uguale per tutti”.

La testa

Cominciamo dalla testa, ovvero da quella che Caselli una volta definì “una delle persone più potenti di Palermo, la “signora della città”: “Io sono come Dio onnipotente”, diceva la Saguto a Cappellano, ma, si ascoltava in altre intercettazioni “ho sentito dire di Cappellano Seminara cose poco sotto di quello che può fare Satana in persona… ma siamo in un paese in cui quando non riesci ad incastrare uno non puoi dire che sei tu incapace di incastrarlo, devi dire che ci sono i poteri oscuri, le protezioni, i poteri forti”: era un colloquio  tra il chiarissimo prof. Provenzano Carmelo e presumibilmente con il  golden boy, Walter Virga. Dio… Satana, siamo agli estremi… Ad aprire la lista degli indagati è lei, Silvana Saguto. Dal provvedimento urgente di sequestro emerge che è indagata anche per associazione a delinquere, in concorso con l’avvocato Cappellano Seminara e con il marito Lorenzo Caramma. I pm nisseni parlano di un “rapporto di somministrazione corruttiva fra Saguto e Cappellano, per commettere una serie indeterminata di delitti di corruzione, peculato,  falso materiale, falso ideologico e truffa aggravata”. Gli inquirenti ritengono in particolare di aver trovato la prova di due mazzette, da 20.000 e 26.500 euro, pagate dall’amministratore al giudice, fra il novembre 2014 e il giugno 2015.

Indagati

Nel registro degli indagati sono finiti pure i due ex giudici a latere della Saguto, Fabio Licata e Lorenzo Chiaramonte. Il primo è accusato di abuso d’ufficio e di rivelazione di notizie riservate: secondo la ricostruzione dell’accusa, avrebbe saputo dal sostituto procuratore Dario Scaletta della trasmissione dell’inchiesta palermitana sull’amministratore Walter Virga a Caltanissetta e l’avrebbe comunicata alla sua presidente di sezione. Chiaramonte è invece indagato per abuso d’ufficio, avrebbe nominato in sei amministrazioni giudiziarie l’avvocato Antonino Ticali, suo amico.

Indagato anche il giudice Tommaso Virga, il padre del giovane avvocato Walter Virga nominato dalla Saguto amministratore giudiziario dei beni dei Rappa: è indagato per abuso d’ufficio: “Quale esponente di spicco del gruppo associativo cui la Saguto apparteneva e componente del Csm – è scritto nel provvedimento di sequestro – le chiedeva o si limitava a manifestare un interesse affinché il figlio Walter fosse nominato amministratore giudiziario”. La Saguto era ben consapevole della inesperienza di Walter Virga, nelle intercettazioni lo definiva “un ragazzino da niente”, ma gli affidò comunque i beni sequestrati ai Rappa. Il giovane Virga è indagato di falso assieme a Luca Nivarra, professore di diritto civile dell’università di Palermo, accusato di essersi fatto pagare una consulenza legale che era solo sulla carta. I due sono indagati anche di truffa, il tribunale avrebbe autorizzato pagamenti per 33 mila euro per prestazioni mai eseguite.

Sotto indagine anche Carmelo Provenzano e Roberto Nicola Santangelo, altri due amministratori di beni sequestrati a Cosa nostra. Con la Saguto e il marito sono inseriti nella seconda associazione a delinquere contestata dalla procura. Quando Cappellano era finito al centro delle polemiche, la giudice aveva deciso di puntare su un altro nome per proseguire nella sua gestione allegra dei beni sottratti a Cosa nostra. Provenzano era all’epoca docente alla Kore di Enna e Santangelo è un commercialista. “Secondo un modulo operativo realizzato attraverso la commissione di delitti di falso ideologico connessi a delitti di abuso d’ufficio – scrivono i pm di Caltanissetta – licenziavano dipendenti della società oggetto di sequestro, spesso dotati di alta professionalità, al fine di inserire nelle amministrazioni giudiziarie propri familiari o conoscenti”. E Silvana Saguto avallava tutto. Fra i raccomandati, Maria Ingrao, moglie di Provenzano, anche lei indagata, Calogero Manta, altro coadiutore legato a Provenzano ed Elio Grimaldi, cancelliere, dell’ufficio misure di prevenzione, il cui figlio, poi ucciso, sarebbe stato assunto nella cava Buttitta, gestita da Cappellano Seminara, mentre l’altro figlio lavora presso un’altra cava a Montelepre.

Troviamo indagato anche Vittorio Saguto, padre di Silvana, “perché trasferiva il denaro prezzo del delitto di corruzione”, ma c’è anche il tenente colonnello Rosolino Nasca, accusato anche lui di corruzione, perché “prometteva a Silvana Saguto l’utilità rappresentata dal coinvolgimento lavorativo del marito Lorenzo Caramma” in una delle  indagini di cui si era occupato .

Il reato di concussione è contestato all’ex prefetto di Palermo Francesca Cannizzo che si sarebbe adoperata con la Saguto per sistemare presso un’amministrazione giudiziaria affidata ad Alessandro Scimeca, il nipote del suo ex collega prefetto Scammacca.

Accusa di corruzione anche per  Aulo Gigante, amministratore giudiziario dei beni dei Niceta, che avrebbe promesso a Silvana Saguto un lavoro per il figlio della sua amica cancelliera Dorotea Morvillo, chiedendo in cambio, l’assunzione di un’altra persona presso le aziende dei Rappa. Siamo ancora ai primi risvolti di un’indagine portata avanti dal gruppo tutela spesa pubblica del nucleo di polizia tributaria di Palermo e coordinata dal sostituto procuratore di Caltanissetta Cristina Lucchini, che sta passando al vaglio una cinquantina di amministrazioni giudiziarie.

Va anche dato atto al giudice Montalbano, che ha sostituito la Saguto alla Presidenza dell’Ufficio Misure di Prevenzione, di avere sistematicamente cercato di rimediare ai danni causati da colei che lo aveva preceduto attraverso un attento studio dei sequestri operati e la restituzione, come nel caso dei Rappa, di Rizzacasa, di Zummo, di Acanto e di numerosi altri imprenditori, dei beni posti sotto sequestro. È chiaro che niente e nessuno potrà rimediare al danno d’immagine, e che difficilmente lo Stato potrà porre rimedio e risarcire i danni che in suo nome hanno fatto i giudici e gli amministratori giudiziari.

Niceta chiude

A margine di quanto è successo ieri ecco una piccola riflessione di Massimo Niceta: “Pochi giorni fa è stato chiuso il 13° punto vendita NICETA, per intenderci quello in Via Roma dove il mio bisnonno ha cominciato a lavorare nel commercio nei primi del 1900 e dove moltissimi palermitani per generazioni hanno acquistato – udite udite, anche l’amministratore giudiziario, a suo dire, ha comprato da noi il suo vestito di nozze. Di questo ringraziamo sentitamente i prodi amministratori giudiziari capaci di chiudere 13 punti vendita, licenziare 90 dipendenti, produrre un calo di fatturato del 98%, Non pagare tasse, non pagare i fornitori, non pagare i canoni di locazione, non pagare i dipendenti ingiustamente licenziati, alcuni per fare posto ai loro tirapiedi. Complimenti anche a chi ha cercato di coprire la loro incompetenza e la loro ladroneria spacciandola per effetto della crisi”.

Sequestro penale e sequestro di prevenzione.

C’è anche una nota di Pietro Cavallotti, anche lui, assieme ai suoi parenti, vittima dei sequestri indiscriminati della Saguto, che scrive: “Il sequestro di cui tanto si sta parlando nelle ultime ore non è il sequestro “di prevenzione” con il quale la Saguto ha fatto il bello e il cattivo tempo a Palermo e non solo. Si tratta di un normale sequestro penale. Per farla molto semplice, contro il sequestro penale può essere proposto riesame al Tribunale della Libertà. Questo tipo di sequestro, inoltre, svanirà nel nulla se la Saguto e i suoi accoliti non dovessero essere condannati per i reati presupposti.

Il sequestro di “prevenzione”, invece, può tramutarsi in confisca anche senza la condanna per i reati di cui i proposti sono indiziati e, anzi, può trasformarsi in confisca anche nel caso di assoluzione (bizzarria più unica che rara). Avverso il sequestro di prevenzione, inoltre, non può essere proposto riesame al Tribunale della Libertà. Addirittura, lo stesso giudice, persona fisica, che ha disposto il sequestro di prevenzione dovrà rivalutare gli stessi elementi per decidere se disporre la confisca o revocare il sequestro. Altro che giudice terzo e imparziale!! Tutto questo lo faccio presente non tanto per auspicare che venga disposto il sequestro di prevenzione nei confronti dell’ex giudice della prevenzione; tutto questo soltanto per dire, ancora una volta, che già il sistema penale tradizionale prevede degli strumenti efficaci ma in linea con la Costituzione per contrastare, anche dal punto di vista patrimoniale, i criminali, mentre la norma sulle misure di prevenzione crea un contrasto insanabile con le garanzie che la Costituzione assegna a ciascun cittadino contro il potere dell’Autorità Pubblica”.

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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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  • ...se è successo tutto questo nella sez. misure di prevenzione....chissà cosa è successo nell'altra sez., la fallimentare, dove si gestiscono patrimoni interi ....anche perché i nomi dei professionisti e consulenti che girano tra le varie sezioni, per quel che si legge, sono sempre gli stessi o quasi..

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