Caso Saguto, è arrivato il giorno del giudizio

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Il giorno del giudizio per Silvana Saguto e per gli altri imputati. Le accuse vanno dall’associazione a delinquere alla corruzione, alla truffa al falso in atto pubblico.

Per la zza Silvana è arrivato il giorno del giudizio. Anzi un doppio giudizio, perché da una parte c’è il Consiglio Superiore della Magistratura che si riunisce per esaminare il caso e prendere decisioni drastiche, come l’eventuale radiazione dall’ordine o la definitiva sospensione dello stipendio, del quale riscuote ancora una parte, dall’altra parte c’è l’udienza preliminare, a Caltanissetta per decidere eventuali rinvii a giudizio per lei e per i 18 imputati, compagni di merenda dell’ex Signora Presidentessa. Abbiamo sin dall’inizio di questa vicenda usato l’espressione cerchio magico, del quale abbiamo cercato di individuare nei nostri passati servizi alcuni settori che nella gestione dei beni sequestrati avevano trovato una “minnedda”, ovvero una mammella cui suggere tutte le possibili risorse. Le accuse vanno dall’associazione a delinquere alla corruzione, alla truffa al falso in atto pubblico.

All’udienza non si è presentato nessuno degli imputati, neanche la Saguto, che ha preferito andare a Roma e neanche Cappellano Seminara, che ha scelto il rito immediato.

Erano presenti invece alcuni imprenditori, come Rappa e Raspanti, con l’avvocato Raffaele Bonsignore. Messi sotto accusa da Silvana Saguto, tre anni dopo hanno dichiarato di essere stati vittima di un complotto e chiedono risarcimenti. L’udienza è stata aperta dal giudice Marcello Testaquadra, l’accusa era rappresentata dal procuratore capo Amedeo Bertone, dai sostituti Cristina Lucchini, Maurizio Bonaccorso e Claudia Pasciuti.

I lavori sono cominciati con le richieste di costituzione di parte civile. Innanzitutto l’Avvocatura dello Stato, per conto della presidenza del Consiglio, dei ministeri della Giustizia, degli Interni, dell’Economia, dell’Agenzia dei beni confiscati, che attraverso gli avvocati Salvatore Faraci e Giuseppe La Spina ha chiesto un risarcimento di sette milioni di euro. Cinque per danno patrimoniale, due per danno all’immagine, sostenendo che “Fu messa in atto un’attività delinquenziale e predatori sui beni sequestrati”. Sono seguite le richieste di costituzione di parte civile anche da parte di alcune  nuove amministrazioni giudiziarie che Silvana Saguto avrebbe gestito in modo allegro e con notevoli sperperi. Si tratta dei sequestri Ingrassia, Rappa, Vetrano, Acanto, Buttitta, Leone, Di Bella. Si prevede un’udienza preliminare complessa. Tutto è stato rimandato al 13 e 17 luglio, per le repliche sulle costituzioni di parte civile.

Non ripercorreremo i passaggi che hanno condotto all’apertura di questa indagine: diremo soltanto che, nel decreto di sequestro urgente dei beni della Saguto si legge che la vicenda ha le sue origini in un’intercettazione svolta sull’utenza di Pino Maniaci e trasmessa il 9 aprile 2015 dal Procuratore di Palermo al competente ufficio del tribunale di Caltanissetta, dove è scritto: “Il direttore di Telejato sosteneva con diversi interlocutori tra i quali magistrati e colleghi giornalisti, l’esistenza di un sistema clientelare, di un verminaio, di un cerchio magico, della mafia nell’antimafia, che sfruttava le opportunità offerte dalla gestione di patrimoni sottoposti a sequestri di prevenzione per ottenere arricchimenti illeciti”.

Questa emittente non rivendica primogeniture, ma rifiuta certe affrettate dichiarazioni secondo le quali, nella vicenda, Telejato non c’entra niente. C’entra, eccome. E se alla fine di tutta questa vicenda sarà fatta giustizia “giusta”, non potremo che rivendicare la parte del merito che ci spetta.

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