Caso Saguto: chiuse le indagini per 20 imputati, tutti a piede libero, con 80 capi d’imputazione gravissimi

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L’economia siciliana nella morsa del “sistema mafioso” del pizzo e del “sistema paramafioso” delle misure di prevenzione adottato dal giudice Saguto.

Si avviano verso l’apertura di un processo le indagini che riguardano il caso di Silvana Saguto e, con lei, una parte della combriccola che le ruotava intorno  e che, in altre occasioni abbiamo definito “cerchio magico”, espressione poi fatta propria da molti giornalisti. Si era parlato, un mese fa, di una proroga di due anni, ma alcuni tempi sono stati anticipati e sono state chiuse le indagini che riguardano 20 persone e che comprendono 80 ipotesi di reato. Già questi numeri e questi nomi erano noti sin dal 20 ottobre, quando ufficialmente venne contestata agli imputati l’apertura delle indagini che li riguardavano e quando venne resa nota la relazione di un migliaio di pagine fatta dalla nucleo di Polizia tributaria della G.d.F., comprendente intercettazioni, esame dei mandati di pagamento, accertamenti sul lavoro svolto all’interno di alcune amministrazioni giudiziarie, minuziose relazioni su spostamenti e contatti dei vari personaggi della banda che spadroneggiava all’interno dell’Ufficio misure di prevenzione di Palermo, i quali, per citarne alcuni, sono, oltre alla  signora, il di lei marito e i  componenti della sua famiglia, cioè Lorenzo Caramma (caramba che sorpresa), il dottor Emanuele Caramma, anche se con laurea non sudata, il padre della signora, Vittorio Saguto, la nuora Mariangela Pantò, e l’inseparabile amico di famiglia Cappellano Seminara, longa manus operativa di tutte le strategie messe in opera per sistemare gli amici e spremere denaro a quei poveracci che si sono trovati all’interno del tritacarne delle misure di prevenzione, con il sospetto, è giusto dirlo, di collusioni mafiose che penalmente non erano mai state dimostrate.

In un certo momento, quando abbiamo sventato attraverso i nostri servizi, le manovre di Cappellano la Saguto ha deciso di puntare, per non esporre troppo il suo amico del cuore, su un altro campione di relazioni commerciali, il chiarissimo prof. Carmelo Provenzano dell’Università Kore di Enna, che si è prestato a tutto, dal ruolo di amministratore giudiziario “ombra”, cioè a supporto degli amministratori già nominati, tra cui Santangelo e Rizzo, a quello di “prestatore d’opera”, cioè di fornitore, alla Saguto e al prefetto Cannizzo, di canestri di frutta fresca, di una poltrona, perché quella del tribunale era scomoda, a quello di “elaboratore” di una tesi che ha consentito al figlio della Saguto di laurearsi, il tutto in combutta con il professore Roberto Di Maria, preside della facoltà di Giurisprudenza e relatore della tesi di Emanuele Caramma in Diritto costituzionale, così, tanto per aiutarlo per “la fine di un percorso”. Mille euro anche per lui per una consulenza sospetta. Provenzano ha provveduto subito a sistemare anche la moglie Maria Ingrao, affidandole qualche consulenza, ma anche altri amici.

Per rimanere nell’ufficio delle misure di prevenzione, troviamo indagati anche gli stretti collaboratori della Saguto, dal giudice Licata nei provvedimenti di liquidazione eseguiti dal collegio (ad esempio quello di Italgas) di cui faceva parte insieme a Lorenzo Chiaramonte, a quest’ultimo che aveva un rapporto, non solo d’affari, col suo amico, Antonino Ticali, nella sua nomina ad amministratore giudiziario. Licata è anche indagato per avere comunicato alla Saguto di essere venuto al corrente di indagini aperte nei suoi confronti. Un ruolo particolare riveste un altro giudice, Tommaso Virga, ex presidente di una sezione penale del Tribunale di Palermo, trasferito a Roma, esponente di spicco della stessa corrente della Saguto e componente del Csm, dal momento che, secondo un ipotizzato scambio di favori da noi a suo tempo ipotizzato e denunziato, si adoperava con la Saguto a “sistemare” il figlio con la nomina ad amministratore giudiziario nei sequestri per i negozi Bagagli e per l’impero commerciale dei Rappa, stimato in 800 milioni. Di Virga la Saguto non aveva una grande stima, lo riteneva “un ragazzino da niente” : alla sua nomina egli ha cercato di ringraziare chi lo aveva posto in quel posto nominando la nuora della Saguto, Mariangela Pantò avvocatessa, e quindi come una sorta di consulente legale, ma mandandola poi a quel paese, quando si è accorto che non c’era bisogno dei suoi uffici. Alle sue spalle c’era il chiarissimo prof. dell’università di Palermo Luca Nivarra, al quale Virga pagava consulenze da 15 mila euro al mese, senza che costui facesse niente.

Sulla combutta, scusate, sull’amicizia tra la Saguto e la dott.ssa Cannizzo, prefettessa di Palermo, è stato detto e scritto molto: valga per tutti il caso della proposta di assunzione del figlio di un amico della Cannizzo, Richard Scammacca, all’Abbazia Sant’Anastasia sequestrata a Francesco Lena, oggi prosciolto da ogni imputazione. Se vogliamo addentrarci dentro questo puzzle andiamo a finire a  Rosolino Nasca, colonnello della Finanza, spostato alla Dia di Palermo, poi trasferito a Torino, che si sarebbe adoperato per la nomina di  un altro amministratore giudiziario dei beni dei Virga di Marineo, Giuseppe Rizzo, tramite il quale si pensava di sistemare anche il marito della Saguto. Insomma, leggiamo in “Live Sicilia”, “un giro vorticoso di consulenze, nomine e soldi sporcato, secondo il procuratore Amedeo Bertone e il sostituto Cristina Lucchini, da favori, episodi di corruzione e una raffica di falsi”. Ce n’è anche per Aulo Gigante, che avrebbe assunto il figlio della cancelliera e amica della Saguto, Dorotea Morvillo, nell’amministrazione dei beni dei Niceta, ma anche per E. Grimaldi, cancelliere della Saguto, che aveva sistemato i suoi due figli uno nelle cave Buttitta, dove è stato ucciso da un operaio licenziato, l’altro alla cava impastato. Nell’ottobre passato ad otto di questi imputati sono stati sequestrati beni per 900 mila euro, ed è proprio una sorta di nemesi quella che ha trasformato i sequestratori in sequestrati. Le imputazioni sono pesanti, dall’abuso d’ufficio aggravato all’associazione a delinquere, alla corruzione, al peculato, al falso materiale e ideologico, alla concussione, alla truffa aggravata. A margine di tutto questo viene spontanea una domanda e un paragone: il procuratore capo d’Aosta Pasquale Longarini è stato l’altro ieri arrestato, su disposizione della Procura di Milano, competente per territorialità, per avere fornito a un imputato, informazioni sulle indagini che lo riguardavano, mentre la Saguto e i suoi sodali sono tutti a piede libero e continuano tranquillamente a lavorare, magari ai margini del sistema che avevano messo in atto. Due pesi e due misure tra Aosta, Caltanissetta e Palermo.

Una delle caratteristiche del sistema mafioso è quella di ricavare parassitariamente proventi e benefici dal lavoro degli altri, di non preoccuparsi della produttività delle aziende sotto il suo controllo, di spremere i proventi di un’attività economica, minacciare l’uso della forza, cucire rapporti di collaborazione con i vari gruppi di potere presenti sia sul territorio che in campo nazionale. Non c’è molto di diverso tra il sistema Saguto, con la sua gigantesca rete di protezioni e il sistema mafioso, a parte il fatto che, in nome dello stato si può portare avanti l’azione parassitaria di spolpamento dei beni di un’azienda che consente di ottenere vantaggi senza bisogno dell’uso della forza fisica e della violenza. Siamo in Sicilia ed è difficile liberarsi di questo modo di pensare e d’agire per spostarsi verso una concezione più aperta che curi l’investimento e l’operatività per renderla attiva e produttiva. Conseguenza: il piccolo “capitalismo” siciliano affidato oggi a pochi investitori, si è trovato da una parte nella stretta delle misure di prevenzione, essendo abbastanza facile in Sicilia ritrovarsi con un’accusa di “collusione” o di “riciclaggio”, dall’altra parte nella morsa del pizzo e del ricatto che obbliga a dare una parte del proprio lavoro dietro la garanzia di una protezione messa in atto da chi esercita la minaccia. Gran parte di questi imprenditori piccoli o grandi si sono allineati con la Confindustria dandosi una verniciatura d’antimafia o proclamandosene paladini, per poter continuare a lavorare.

La conclusione è nella crisi generale del sistema mafioso o paramafioso che sia, nella chiusura di gran parte delle aziende “produttive”, nella diffusione di centri commerciali e supermercati, che non producono, ma vendono, nell’aumento giorno dopo giorno del numero dei disoccupati e degli inoccupati, nell’abbandono dei terreni, dei beni artistici, delle attività culturali, insomma nella desolazione alla quale pare essere condannata da sempre questa isola.

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