Licata si è sottoposto all’esame del giudice per l’udienza preliminare Marcello Testaquatra. Davanti alla domanda se avesse provato imbarazzo nell’avallare la nomina di un figlio di un collega, Licata ha sostenuto che, nel corso degli ultimi vent’anni in tutti gli uffici giudiziari di Palermo – non solo misure di prevenzione, ma anche nei settori civile, penale e fallimentare – sono sempre stati dati incarichi a parenti di magistrati. Licata ne cita alcuni – Roberto Murgia, Vittorio Teresi, Gioacchino Natoli, Antonio Balsamo – senza che siano mai state fatte rilevare questioni di opportunità perché il parente di un magistrato si presume che offra garanzie di “affidabilità e moralità”. Licata sostiene che Walter Virga ha svolto bene il suo incarico, ma che la Saguto lo volesse cambiare perché lo riteneva, come emerge dalle intercettazioni, “un ragazzino” incapace di far fronte alla pressione mediatica alla quale è stato sottoposto.
Licata, assistito dagli avvocati Roberto Mangano e Marco Manno, è anche imputato di falso perché avrebbe apposto la firma apocrifa dell’allora presidente Saguto sul provvedimento di sequestro dei beni degli imprenditori Rappa. Licata disconosce di avere apposto quella firma. Lui mise la sua e lasciò l’atto sul tavolo della collega Saguto che all’indomani, giorno di emissione del provvedimento, era presente in ufficio.
L’ultima imputazione per Licata riguarda la presunta rivelazione, giunta all’orecchio di Saguto, della notizia del trasferimento da Palermo a Caltanissetta del fascicolo aperto sulla gestione del patrimonio Rappa. Sul punto il magistrato ha negato la circostanza. Quindi tutto a posto, non è successo niente è normale ed è stato sempre normale affidate beni in amministrazione giudiziaria a parenti di magistrati, che sembrano essere i più affidabili.
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