Sarebbe stato interessante e opportuno che il processo fosse stato indirizzato verso una complessiva lettura di tutta la vicenda, che noi riproponiamo qui di seguito, ad uso e consumo del tribunale e, nel dettaglio del pm Bonaccorsi, il quale ha interrogato a lungo gli operai licenziati, in particolare Gioacchino Arduino, Andrea D’Agostino, Francesca Di Marco e Francesco Repoli. Arduino ha ripercorso le vicende del licenziamento, a seguito di una convocazione dell’Amministratore Santangelo in via Don Orione, sostenendo di avere informato i collaboratori Pagano e Lo Presti dell’intenzione degli operai di andare a Telejato per denunciare le modalità di un procedimento che li privava del posto di lavoro senza colpo ferire. Ha detto che Santangelo ha ritenuto questa come una minaccia, e la stessa cosa ha sostenuto, con arroganza e urlando Carmelo Provenzano, il quale ha prospettato che si sarebbe rivolto al Giornale di Sicilia per evidenziare che la legalità e la giustizia passavano attraverso di lui che rappresentava la legge, ha diffidato, se non vogliamo usare il termine “minacciato” gli operai dal rilasciare interviste a Telejato.
Puntualmente l’articolo era pubblicato due giorni dopo e raccontava una situazione distorta dei fatti: nei nostri servizi abbiamo cercato di darne una ricostruzione più vicina alla realtà.
A proposito della ELGAS, ecco come il giudice Saguto e il dott. Santangelo decidevano la messa in liquidazione dell’azienda e il licenziamento degli operai: una inesistente convocazione dell’assemblea dei soci avrebbe deliberato lo scioglimento “per insussistenza di concrete possibilità di prosecuzione, tenuto conto della natura dell’attività esercitata, dell’ambiente in cui viene svolta, della capacità produttiva, del mercato di riferimento… in particolare sono emerse plurime e diffuse criticità…in ordine al rispetto delle norme di sicurezza…in quanto è messa continuamente a rischio l’incolumità degli stessi utilizzatori del GPL per l’esistenza di grandi sacche di illegalità diffuse nell’intero sistema produttivo di settore, dovuto a un sistema di commercializzazione del gas effettuato in palese violazione del D.LGS.22.2.2006: tali prassi illegali consistono nel fatto che le bombole di GPL vengono riempite e commercializzate senza che ne venga preventivamente controllata la scadenza di collaudo e senza apposizione di sigillo di garanzia”.
Si osservi che tutte le bombole devono essere sottoposte a collaudo decennale, ma Santangelo ha decretato che non lo erano state. L’accusa così proseguiva: “L’attività di imbottigliamento distribuzione e vendita di bombole avviene in modo clandestino in quanto non è esercitata dal soggetto proprietario delle bombole stesse o da soggetto preventivamente autorizzato dal proprietario delle bombole stesse. Non è infatti consentito il riempimento di bombole di GPL da parte di chi non sia proprietario delle bombole stesse, a meno che quest’ultimo sia stato preventivamente autorizzato dal proprietario”. C’è proprio da ridere nel pensare che il proprietario delle bombole metta al suo posto qualcuno senza autorizzarlo a starci.
Si continuava ancora con l’accusa di appropriazione indebita di bombole altrui, come se il gestore se ne andasse in giro a rubare bombole vuote, e infine un’altra accusa, distribuzione e trasporto senza assicurazione e senza autorizzazione al trasporto. I dipendenti licenziati hanno sostenuto, per contro, che l’Elgas era assicurata e autorizzata. Una volta messo su questo castello di accuse banali, Santangelo conclude che prima l’azienda funzionava perché tutto era illegale, ora, con i costi della legalità, non è più in grado di competere e quindi deve chiudere.
Nel marzo 2016 il nuovo presidente dell’Ufficio misure di prevenzione, il dott. Montalbano, ha deciso di riconsegnare ai legittimi proprietari tutte le imprese di distribuzione gas legate alla famiglia Crocco-Di Girolamo. Le operazioni di riconsegna si dimostrano laboriose e complesse, anche perché l’amministratore Santangelo ha allungato i tempi della consegna: il giudice Montalbano in un certo momento gli ha revocato l’incarico e ha nominato un altro amministratore giudiziario, Giuseppe Li Greci. A quasi un anno da queste decisioni una parte della Motoroil, ovvero il 20% di cui Acanto risultava proprietario continua ad essere in amministrazione giudiziaria, in attesa che si risolva tutta la vicenda che lo riguarda.
È necessario fare un passo indietro e risalire all’origine del sequestro dei beni che vede come destinatario Giuseppe Acanto, dottore commercialista, già deputato del Biancofiore all’Assemblea regionale siciliana, voluto dall’allora presidente Salvatore Cuffaro. Primo dei non eletti, era entrato nel 2004 a sala d’Ercole al posto del maresciallo dei carabinieri Antonino Borzacchelli, finito in carcere. In precedenza è stato, a Villabate tra i maggiori attivisti di Forza Italia e non è stato candidato in questa lista a causa di una condanna per porto d’armi abusivo. Gli investigatori del centro operativo Dia di Palermo hanno scoperto che Acanto avrebbe gestito dal suo studio di commercialista un vero e proprio tesoro, facente capo in gran parte al capomafia Nino Mandalà: beni e società per un valore di 780 milioni di euro. Mettendo da parte le numerose cooperative di servizi sociali, di assistenza domiciliare, di commercio all’ingrosso di frutta fresca e surgelata, ecc., un grande spazio, nel sequestro, è stato dedicato al settore di raffinazione, trattamento, commercio all’ingrosso e al minuto di combustibili liquidi e gassosi. In una di queste società compare il nome di Elsa Di Girolamo, assieme a quello di Acanto, nella Motoroil srl, con sede a Palermo, via dei Cantieri n. 2/N che si occupa di commercio al dettaglio di carburante per autotrazione. Acanto sarebbe risultato titolare di una quota per un valore di 1.500 euro: Di Girolamo è moglie di Antonino Crocco, storico titolare (4/5/1938) del settore di distribuzione del gas a Palermo. Il 27 marzo 2015 la moglie di Di Girolamo decide di sciogliere la società con Giuseppe Acanto, presidente del consiglio di amministrazione, ma appena un mese dopo, il 27 aprile 2015 su di lei e sulle imprese del marito si abbatte la mannaia dell’ufficio misure di prevenzione. Per una disinvolta estensione del principio di transitività, poiché Acanto era stato legale rappresentante e presidente del consiglio di amministrazione della Motoroil, anche se la società era stata sciolta e messa in liquidazione, essendo Acanto mafioso diventava mafiosa la moglie del sig. Crocco Antonio, sua socia, diventava mafiosa la società Lambda gas che deteneva l’intero capitale sociale della Motoroil, mentre il capitale della Lambda era detenuto da Giorgia Crocco (figlia), Luigi Biffi (genero), Elsa Di Girolamo (moglie) e Antonio Crocco, diventati tutti mafiosi o in concorso per associazione mafiosa, e comunque titolari di beni in cui, risalendo un gradino dietro l’altro, si trovava l’Acanto criminale. E, per ulteriore estensione della transitività mafiosa, poiché la Motorgas aveva stipulato un contratto d’affitto con la Motoroil, dell’impianto di distribuzione di via Lanza di Scalea n. 565, e a sua volta la Motoroil aveva stipulato con Autogas di Parco Filippo un contratto d’affitto dell’impianto, per un periodo di sei anni, rinnovato, con scadenza al 2024, anche Parco Filippo e i suoi sei dipendenti diventavano mafiosi, o sospetti mafiosi, o collusi. Quindi il primo atto del dott. Roberto Nicola Santangelo, nominato dalla dott.ssa Saguto come amministratore giudiziario, è stato quello di rescindere il contratto di appalto e mandare tutti a casa, sostituendo con sue persone di fiducia gli uomini che prima vi lavoravano. Naturalmente il mestiere non si impara in un giorno e pertanto si sono viste una serie di disfunzioni, per non parlare di poca attenzione alle norme di sicurezza, al punto che le vendite sono dimezzate e gli operai licenziati hanno il sangue agli occhi. L’effetto domino si è anche allungato a tutte le altre concessioni, in via Messina Marine n. 196, in via Matteotti a Villabate, sulla SS 113 Km. 314 a Partinico, in contrada Fizzio a Caltanissetta, (gestore Francesco Repoli), sulla SS 114 contrada Piano Derci Catania in via Fragale, Torrenova (Messina), sulla SS 113 Km. 38 a Castellammare del Golfo (gestore Marco Monticciolo).
Le ditte in questione, da parte loro, hanno impugnato la rescissione dei contratti, hanno chiesto un incontro col prefetto, hanno già presentato esposti alla Procura della Repubblica ed agli Enti Istituzionali competenti, per la leggerezza mostrata dal Dr. Santangelo e dai suoi coadiutori nell’esercizio di distribuzione carburanti, per il mancato rispetto delle norme di sicurezza nei luoghi dove si commercializza un prodotto ad altissima pericolosità di infiammabilità ed esplosione. I pochi diretti dipendenti rimasti ricevono dall’Amministrazione Santangelo continue intimidazioni per essere spinti o costretti ad abbandonare il posto di lavoro, così come accaduto ad un dipendente dell’impianto di Caltanissetta che si è visto ricevere, dall’oggi al domani, un ordine di trasferimento da Caltanissetta all’impianto di Castellammare del Golfo (ovvero a 500 Km di distanza dall’abituale posto di lavoro). Dopo una controversia legale, il dipendente è stato sospeso per cinque giorni, cui ha fatto seguito il licenziamento.
Secondo questa storia se vedi o ti avvicini, soltanto per qualche istante, ad un mafioso, anche tu puoi essere considerato tale, così come capitato ai vari operai dei distributori che hanno visto saltuariamente Acanto solo dal Gennaio 2013, data della stipula del contratto di affitto. Quindi per transitività mafiosa ben 20 soggetti, con famiglia e con anni di onorato servizio, si sono trovati senza lavoro.
Ai nuovi dipendenti, dei quali non ci è noto il rapporto che li lega al Santangelo, sono stati dati orari di lavoro ridotti, in attesa che i soldi piovano dall’alto, specie quelli della Blue gas, la quale si trova in una situazione prefallimentare, con un passivo di 4 milioni di euro.
Alcune cose emergono d questo maxi-sequestro:
Non è il caso di avventurarsi nella giungla dei depositi bancari o in quella dei beni immobili: da voci raccolte l’unica disponibilità liquida di Acanto pare che fosse quella di un deposito di 40.000 euro, chieste a una banca, per ristrutturare la casa in cui abitava e darne una parte alla figlia che si doveva sposare. Ma di lì a 780 mila euro c’è un abisso.
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