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Bloccato il dissequestro dei beni di Francesco Zummo

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Come da copione un tribunale decide la restituzione dei beni a Francesco Zummo, l’altro si oppone e tutto resta fermo, nelle mani dei soliti amministratori giudiziari

Come da copione, abbiamo l’ennesimo caso di un imprenditore assolto penalmente dalle accuse di favoreggiamento e associazione mafiosa, già sottoposto per 5 anni alla misura di sorveglianza speciale come soggetto socialmente pericoloso,  già sottoposto alle misure di prevenzione, e cioè al sequestro di un patrimonio stimato in 200 milioni di euro nel 2010. Malgrado il tribunale di Palermo , in Corte d’appello abbia deciso il dissequestro del patrimonio, la Procura di Palermo, cioè i magistrati colleghi di quelli che hanno deciso il dissequestro, ha impugnato la decisione e ha fatto ricorso in Cassazione, la Suprema corte ha accolto il ricorso e ha inviato il processo alla Corte d’appello di Palermo, che dovrà riesaminare il caso e pronunciarsi nuovamente, cioè dovrà chiedersi: “In che cosa ho sbagliato?”.

In parole povere tutto resta, al momento congelato, sino a che la Corte d’appello non decida di rivedere quello che ha già in precedenza deciso. Che Zummo non sia uno stinco di santo pare possibile, a giudicare sia dalle accuse rivolte nei suoi confronti da Massimo Ciancimino che dal pentito Francesco Di Carlo. Ma siamo anche qui alle solite: i due che lo accusano sono ritenuti credibili e non credibili a seconda delle linee d’accusa dei magistrati. Di Ciancimino già sappiamo il continuo calvario cui è stato sottoposto e le sue presunte ambiguità nel rivelare i contatti mafiosi del padre, di Francesco Di Carlo sappiamo ugualmente che non è stato ritenuto credibile al processo che i Mattarella hanno intentato contro il giornalista Alfio Caruso, reo di avere scritto una decina di anni fa che Bernardo Mattarella era mafioso: Francesco Di Carlo ha sostenuto addirittura che Mattarella era “punciutu”, ma non è stato creduto, mentre per condannare Zummo sembra essere credibile. E, a ben ripensarci Francesco Di Carlo era quello che al processo Impastato ha sostenuto apertamente che “I carabinieri di Cinisi erano nelle mani di Gaetano Badalamenti”.

Insomma il discorso ci porta lontano, ma vogliamo restare invece sulla domanda: Quante giustizie esistono in Italia? Due di sicuro, una è quella penale, cioè quella delle decisioni dei tribunali, e una è quella dell’Ufficio Misure di Prevenzione, il quale può ignorare le decisioni penali e confermare i sequestri, portandoli, in diversi casi a confisca definitiva, anche se il sospettato di mafia è innocente. Così è stato nel caso dei Cavallotti, così per l’architetto Rizzacasa, così per l’ing. Lena, quello dell’Abbazia Sant’Anastasia: un lungo elenco di gente che si è illusa di avere avuto giustizia, ma che ancora si ritrova senza niente in mano, anzi, nel momento in cui quel niente gli verrà restituito, magari si ritroverà a pagare tasse e debiti fatti dall’amministratore giudiziario in nome dello stato.

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Redazione

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