Venti capi d’incolpazione per altrettante presunte violazioni accertate in parte dalla Procura di Caltanissetta, che l’ha indagata per corruzione e altri reati, e in parte dall’Ispettorato del ministero della Giustizia. Un elenco di illeciti che occupa dieci pagine sottoscritte dal Guardasigilli Andrea Orlando, che ha avviato l’azione disciplinare contro la giudice Silvana Saguto, già presidente della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo, «attualmente collocata fuori ruolo a seguito di sospensione cautelare» decisa dal Consiglio superiore della magistratura. Con la comunicazione al procuratore generale della Cassazione e al Csm, il ministro riporta d’attualità la contestata gestione dei beni sottratti ai boss mafiosi scoperchiata un anno fa dall’inchiesta, ancora in corso, degli inquirenti nisseni. In attesa delle loro conclusioni, Orlando ha tratto le sue.
L’azione disciplinare non si limita alla Saguto. Riguarda anche due giudici che lavoravano nella sua sezione, ora trasferiti in altri uffici siciliani, anch’essi inquisiti a Caltanissetta: Fabio Licata e Lorenzo Chiaramonte. Inoltre il ministro ha attivato la stessa procedura nei confronti dei giudici Lorenzo Nicastro e Emilio Alparone, tuttora in servizio a Palermo, per provvedimenti considerati illeciti e adottati quando lavoravano nello stesso settore.
La ex presidente delle Misure di prevenzione è accusata di aver leso «la credibilità personale, il prestigio e il decoro del magistrato e dell’istituzione giudiziaria» attraverso reiterati comportamenti e omissioni ritenute «gravi». Il primo riguarda il ritardo nella definizione dei decreti, alcuni attesi dalle parti per oltre mille giorni (più di tre anni) e altri non ancora depositati quando la Saguto lasciò il servizio, dopo 900 e più giorni. Al contrario, al momento di decidere una determinata amministrazione giudiziaria, la Saguto ha impiegato appena due giorni, ma con altrettante violazioni: decreto «privo di motivazione, adottato in luogo del tribunale collegiale e senza parere del pubblico ministero». Un’altra contestazione si riferisce all’assegnazione di un incarico e all’assunzione in un esercizio commerciale sequestrato, toccati al fratello e al figlio di una cancelliera legata alla Saguto «da rapporti di amicizia». Nonostante i due fossero sospettati «di un ammanco di 26.000 euro dalla cassa dello stesso esercizio ». E ancora: l’autorizzazione alla scissione di una società immobiliare da cui sarebbe scaturito il dissequestro di un terreno con «immobile bifamiliare» successivamente acquisito da due coniugi che avrebbero sopravanzato gli altri creditori, con relativo «ingiusto vantaggio patrimoniale»; il tutto deciso senza aver informato il pubblico ministero per il necessario parere.
La lista prosegue con mancate astensioni e liquidazioni di parcelle ingiustificate o senza la preventiva verifica, insieme ad altri fatti accertati durante l’ispezione ministeriale. I magistrati indagati a Caltanissetta e sospesi o trasferiti dal Csm hanno già rivendicato davanti all’organo di autogoverno la correttezza del proprio operato, ma il ministro della Giustizia è giunto a conclusioni opposte. Con l’obiettivo di restituire credibilità al contrasto giudiziario alla mafia, che passa anche nell’aggressione ai beni dei boss. Di qui la necessità, sostenne Orlando quando scoppiò lo scandalo, «di perseguire le condotte che hanno offuscato il lavoro di tanti valenti magistrati».
Tratto da: corriere.it – di Giovanni Bianconi
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