Una ricerca che finora non ha dato i suoi frutti e che non ha fatto altro che aumentare lo stato d’allerta al Palazzo di giustizia. Come l’arrivo di una nuova lettera anonima, l’ultima di una serie di missive pervenute nei mesi scorsi, contenente indicazioni e dettagliati riferimenti sui movimenti interni alle famiglie mafiose di Palermo, in particolare del centro, sui quali si sta indagando. Nello specifico, sulla parte relativa alla progettazione dell’attentato contro Di Matteo. I nuovi spunti stanno facendo proseguire le ricerche, dopo le dichiarazioni di Galatolo che nei mesi precedenti hanno fatto scattare l’allarme a Palermo e nei dintorni. L’ex boss della famiglia dell’Acquasanta aveva parlato di “un bidone carico di tritolo”, fornendo anche i luoghi dove potrebbe trovarsi e i nomi dei personaggi coinvolti. E nei giorni successivi le ricerche si erano concentrate prevalentemente nella zona di Monreale oltre che a Tavagnaccio, nell’Udinese, dove ha risieduto in passato un soggetto molto vicino alla famiglia del neopentito. Il boss Vincenzo Graziano, costruttore accusato di essere uno degli organizzatori dell’attentato al pubblico ministero di Palermo, aveva aggiunto: “Dovete cercarlo nei piani alti”, parlando del tritolo finora mai trovato. Parole sibilline poi approfondite, nel corso dell’interrogatorio svolto davanti al gip Luigi Petrucci. “Sono cose da alto livello – aveva aggiunto il boss – stiamo montando una situazione, perché c’è Graziano, ma Graziano è nessuno, nessuno”. Il costruttore è difeso dagli avvocati Nico Riccobene e Salvatore Petronio ed ha finora sempre contestato l’accusa di essere nel gruppo organizzativo da Galatolo (ugualmente con un ruolo di spicco nella pianificazione dell’attentato).
Chi, allora, dagli “alti livelli” ha ordinato la morte del magistrato che, insieme ai colleghi Teresi, Del Bene e Tartaglia si occupa del contestatissimo processo trattativa Stato-mafia? “Gli stessi di Borsellino” aveva anticipato Galatolo, prima ancora che Graziano fosse arrestato, raccontando poi dell’ordine di morte arrivato da Castelvetrano. “Mi hanno detto che (Di Matteo, ndr) si è spinto troppo oltre” aveva scritto il boss latitante Matteo Messina Denaro nella lettera recapitata alle famiglie mafiose di Palermo. Poi i boss, aveva detto ancora il collaboratore, avrebbero fatto arrivare 150 chili di esplosivo dalla Calabria. Ma durante la fase di acquisto – avvenuta nel più completo riserbo – una parte del tritolo calabrese risultava essere danneggiato da infiltrazioni d’acqua. L’esplosivo rovinato venne rispedito indietro, e poco dopo sostituito da un nuovo carico in buono stato senza che fosse sollevato alcun problema.
tratto da www.antimafiaduemila.com
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