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Al direttore di Telejato

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Una lettera di Salvo Vitale in merito a un articolo del Gds 04/08/2016 al Direttore di Telejato, Pino Maniaci, il quale su molte cose non è d’accordo, ma per rispetto alle idee e alle posizioni dei suoi collaboratori la pubblica lo stesso.

L’articolo dell’altro ieri sulla chiusura delle indagini riguardanti Pino Maniaci e sul suo “quasi certo rinvio a giudizio” ha suscitato  una serie di risposte e di reazioni polemiche, rispetto alle quali voglio precisare alcune cose:

Prendo atto che le iniziali C. Gr. significano “cronaca giudiziaria” e che pertanto con esse non ha nulla a che fare Gianfranco Crescenti, il quale afferma di firmarsi con G.C. Spero che anche lui, con il quale da molti anni condividiamo battaglie e idee,  prenda atto che c’è solo una erre ini più e che sono stato indotto in errore da una falsa interpretazione inopportunamente suggerita. Sono contento che egli non abbia niente a che fare con quell’articolo, perché, come ho precisato, non si trattava, come per deontologia professionale qualsiasi cronista di cronaca giudiziaria avrebbe dovuto fare, di scrivere un articolo su Maniaci, ma su tutta l’operazione Kelevra, nella quale Maniaci c’entra poco e nella quale è stato inopportunamente messo dentro, secondo alcune strategie facilmente individuabili, da parte di coloro che hanno condotto tutta l’operazione. Sarebbe stato onesto parlare di delinquenti di ben altro calibro, come Nicolò Salto o i Giambrone, del loro accordo e del nuovo sistema di controllo delle attività economiche e di richiesta del pizzo che  sta stritolando il commercio e la produzione tra Borgetto e Partinico. Di tale sistema è rimasto vittima Salvatore Brugnano, che è stato indagato per favoreggiamento, per avere negato di avere soddisfatto una richiesta di 30 mila euro fatta da Nicolò Salto, a pagamento di una quota del pizzo. Queste sì che sono estorsioni, e invece neanche una parola, così come neanche una parola è stata fatta per l’altro indagato, Polizzi, quello delle magliette, il quale ha negato che ci sia stata estorsione da parte di Maniaci, ma, per lo stesso motivo, il suo caso è stato “ripescato” nell’indagine per richiedere il ripristino della misura cautelare del divieto di soggiorno in sede per Pino Maniaci. Pare chiaro che le indagini si svolgono secondo un principio: o dichiari quello che ti invitiamo a dire o ti ritrovi indagato. Ma nulla di questo riportava l’articolo. Adesso si capisce perché il responsabile della cronaca giudiziaria del Giornale di Sicilia abbia disposto di sottofirmare il servizio non con il nome dell’estensore dell’articolo, come sarebbe stato onesto fare, ma con una generica sigla che sollevasse l’autore dall’accusa che gli abbiamo fatto, di non essere stato corretto nel dare le notizie del caso. Per quanto riguarda la minaccia di querele, che non mi verrebbe fatta solo perché sono stato amico di Peppino Impastato, stendiamo un velo pietoso: anche un orbo si accorge che in quell’articolo non c’è nessuna diffamazione o offesa, a meno che non si voglia ritenere offensivo essere amico di Michele Giuliano, ma non mi pare. Potrei anche io scrivere che mi riservo di querelare e non lo faccio. Non ha senso fare la guerra tra di noi, perché questa va fatta contro i mafiosi. L’importante, come sappiamo benissimo, è ingenerare il sospetto che ci sia sotto qualcosa di cui possa essere passibile chi scrive qualcosa che non  piace. Ho sempre cercato di evitare di ricorrere a questi trucchetti, nei quali invece sono stati espertissimi quelli che hanno confezionato le accuse a Maniaci. E comunque, voglio essere valutato e giudicato per quello che sono, per le mie azioni e per la mia storia, Peppino non c’entra.

Per quanto riguarda la definizione di “quasi giornalista” data a Nunzio Quatrosi, giuro che non volevo essere offensivo. Conosco da decenni la sua attività di operatore con la telecamera, sulla cui professionalità non nutro dubbi, ma non mi risulta, posso anche sbagliarmi, che egli scriva articoli. Il “quasi” è solo motivato da questa carenza, non dalla mancanza di tesserino. Voglio precisare all’intelligentone che accusa anche me di non essere iscritto all’ordine, che posso esibirgli il mio primo tesserino di corrispondente del giornale L’Ora del 1964, quando egli non era ancora nato, ma che ho scelto di fare un mestiere diverso da quello del giornalista, che non ci tengo ad avere questa qualifica e che scrivo solo con la protezione dell’art. 21 della Costituzione, che consente ad ogni cittadino di esprimere la propria opinione liberamente etc…

Per quanto riguarda Michele Giuliano, preferirei, ove fosse possibile, non essere tirato dentro i suoi rapporti personali con Maniaci, sulla base della teoria della transitività, tipica dei partinicesi, ovvero “gli amici dei miei nemici sono miei nemici”. Non intendo passare per l’avvocato difensore di Maniaci, al quale non ho mai risparmiato critiche. Conosco da tempo la sua meritoria attività di giornalista, anche attraverso il suo blog, e mi rendo conto come non sia facile fare questo lavoro in un territorio come quello di Partinico. Ma anche nel suo caso mi sembrerebbe opportuno, parlando dei problemi di Borgetto, alzare lo sguardo oltre Maniaci e occuparsi delle cose ben più gravi che caratterizzano l’operazione Kelevra.

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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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