L’altro processo è quello nei confronti dell’ex presidente dell’ufficio misure di prevenzione Silvana Saguto e di tutta la sua numerosa corte composta da magistrati, amministratori giudiziari, professori universitari e qualche rappresentante delle forze dell’0rdine. Ieri è stato interrogato per sette ore il chiarissimo prof. Carmelo Provenzano, ovvero uno dei principali artefici dell’allegra gestione dei beni sequestrati: nel suo caso particolare il giudice si sta soffermando sullo stretto rapporto che legava e lega Provenzano alla Saguto e in particolare a suo figlio Emanuele. Il rapporto con la Saguto si è concretizzato nella nomina di Provenzano, con incarico “aggiunto e disgiunto” nei sequestri della Elgas affidati all’amministrazione di Nicola Santangelo e nei sequestri Acanto e Ingrassia: in queste vicende Provenzano ha affidato l’incarico di coadiutori a una serie di parenti e amici, a cominciare dalla moglie e da figli di magistrati o collaboratori della stessa Saguto. Il tutto in un micidiale flusso di denaro che finiva dalle casse delle aziende alle tasche di queste persone, spesso senza che queste esplicassero gli incarichi che erano stati loro affidati. Per non parlare dello stretto legame tra Provenzano e Emanuele Caramma, al quale Provenzano avrebbe aperto la strada sia nel sostenere esami, sia nel preparargli la tesi di laurea, sia nell’adoperarsi, anche col rettore dell’università di Enna per fargli avere un buon voto di laurea. Sette ore d’interrogatorio non sono bastate e perciò si continuerà nella prossima udienza, fissata l’11 ottobre e nel controinterrogatorio fissato nella successiva udienza del 18. Indubbiamente si tratta di un passaggio fondamentale, anche se non è il solo, per aprire un varco nel ruolo che coinvolge anche altri amministratori del cerchio magico, tra i quali Aulo Gigante, l’amministratore dei beni dei Niceta, ormai prosciugati e soprattutto il famoso o famigerato Cappellano Seminara con gli oltre sessanta incarichi conferitigli dalla Saguto e da altri magistrati anche di province diverse. Quello che più stupisce in tutto questo è il silenzio assordante dei mass media, nessuno dei quali sembra più interessato a capire cosa è successo e a informare chi legge sul comportamento di un magistrato già ritenuto un portabandiera della legalità e poi rivelatosi un rappresentante della legge che ha usato i suoi poteri ad uso e consumo delle proprie vicende personali. Solo su MeridioNews troviamo un articolo di Silvia Buffa, che ha dato un ampio resoconto dei fatti.
Il sentiero parallelo che lega i due processi trova il suo punto d’unione in Pino Maniaci, se si tiene conto che forse nulla sarebbe accaduto o che non sarebbe accaduto nei modi in cui è successo, senza le costanti denunce e le inchieste con le quali Telejato, attraverso le rivelazioni delle vittime sacrificali dell’Ufficio Misure di prevenzione, frettolosamente indicate come mafiose, ma penalmente assolte da ogni imputazione.
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