Su Wikipedia troviamo che:
“Il Giorno della memoria dedicato alle vittime del terrorismo interno e internazionale, e delle stragi di tale matrice è una ricorrenza della repubblica Italiana istituita con la legge 4 maggio 2007 n° 56. Viene celebrato il 9 maggio di ogni anno in considerazione del fatto che il 9 maggio 1978 furono uccisi Peppino Impastato e Aldo Moro”.
Si tratta di un’affermazione poco corretta, in quanto la giornata è stata particolarmente destinata e dedicata alle vittime del terrorismo politico, come dal testo della legge e dagli interventi dei vari politici, a cominciare da Napolitano. Peppino Impastato non c’entra e la citazione di Wikipedia è una forzatura. Quella legge non è stata pensata per le vittime del terrorismo mafioso che, molto spesso non è considerato un vero e proprio terrorismo. Per contro il terrorismo mafioso ha ricoperto le strade d’Italia di bombe, attentati, omicidi a sangue freddo, incursioni di commandos specializzati nel seminare morte e distruzione. Un particolare sguardo va soprattutto ai magistrati uccisi, ma altre vittime del terrorismo occorre ricordare, dai morti della stazione di Bologna a quelli di Piazza Fontana, in un mostruoso progetto che, dalla fine degli anni 60 ha attanagliato l’Italia in una mossa mortale, dietro cui agivano in silenzio e con il massimo della copertura e dell’impunità neofascisti, piduisti, mafiosi, servizi segreti, partiti politici e altri violentatori della democrazia italiana. Tutto questo è passato e sembra appartenere a un altro mondo, a parte qualche cerimonia occasionale che ci ricorda molto ritualmente ciò che per altri è meglio rimuovere e dimenticare. La vittima sacrificale più autorevole, in nome del quale è stata istituita la ricorrenza è Aldo Moro, “ucciso come un cane dalle Brigate Rosse” (per citare una frase che chi impersona lo scrivente, pronuncia nel film I cento passi). Peppino sembra stare sullo sfondo, in penombra, rispetto alla grandezza dello “statista” e all’efferatezza dei suoi assassini. Egli rimane “il piccolo siciliano di provincia, un povero illuso, un ingenuo, un nuddu miscatu cu nienti”. Sembra ancora quasi blasfemo associare Peppino Impastato ad Aldo Moro, entrambi morti nello stesso giorno ed entrambi vittime, da aspetti diversi, del terrorismo. Difficile trovare punti di contatto: Peppino è stato già individuato, a suo tempo, come terrorista, e riabilitato solo dopo un lungo e paziente lavoro di ricostruzione della sua immagine e del suo lavoro politico condotto dai suoi amici e dalla famiglia. Nulla a che fare tra l’extraparlamentare rivoluzionario e disturbatore della quiete pubblica e il Presidente della Democrazia Cristiana, che ricoprì le più alte cariche dello stato costruendo con una sottile rete di alleanze e di sapienti manovre la sua strategia di apertura a tutte le forze della sinistra. Peppino riteneva che il riformismo di Moro altro non fosse che un momento del consueto lavoro di ricomposizione e di rafforzamento delle forze dominanti a scapito dei bisogni dei lavoratori, attraverso tagli e sacrifici che avrebbero rafforzato il potere e chi lo deteneva. Peppino riteneva che il potere democristiano fosse “banditesco e truffaldino”, più o meno come successivamente il potere berlusconiano. Moro pensava ad altre strategie non certamente di rottura, ma di “buon governo” in cui alle forze progressiste si offriva la possibilità di essere coinvolte nello stesso disegno politico di avanzamento sociale della nazione.
Nessun punto di contatto tra queste due dimensioni di progetto politico, dove l’intrasigenza dell’estrema sinistra si scontrava con l’arte della mediazione attraverso i mille tentacoli della politica e del malaffare. “La D.C. non si processa”, aveva detto Moro.
La chiusura mentale e il fanatismo di alcuni “presunti” compagni hanno reso Moro martire, uccidendolo, tanto quanto la ferocia e l’intolleranza di alcuni mafiosi hanno fatto con Peppino, con il risultato di amplificare la sua immagine e la sua storia che, senza la sua morte avrebbe avuto altri risvolti. Altro non c’è. E tuttavia, vista la tendenza, da parte di ogni parrocchia, a ricordare i propri morti, noi oggi rendiamo omaggio dovuto a Moro, ma ci riconosciamo, senza ombra di dubbio, nella grande eredità di lotta politica tracciata da Peppino.
Un’ultima nota: anche la strategia informativa si associa a questa doppia identificazione di morti di serie A e B. Nessuna parola, da parte di nessun giornale, è stata spesa su quanto sta accadendo a Cinisi, diventata, in questi giorni, la capitale nazionale dell’antimafia, un’autentica fucina di idee e di analisi sui problemi della società contemporanea, con l’intervento di noti studiosi, giornalisti, testimoni, artisti. Tanto per chiarire siamo sempre davanti alla vecchia strategia della notizia che diventa tale solo quando è trasmessa da un mezzo d’informazione. Altrimenti è meglio ignorare, oscurare, cancellare.
(dal libro di Salvo Vitale “Era di Passaggio” – Navarra editore)
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