8 novembre, pagina di diario

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Francis Lai (in copertina, ndr), compositore e musicista francese, è morto oggi a Nizza ad 86 anni. Figlio di Italiani (il padre era originario di Ozieri (SS) in Sardegna). Intorno ai 20 anni, Francis Lai, si spostò a Parigi e cominciò a frequentare gli ambienti musicali di Montmartre. Nel 1965 incontrò il regista Claude Lelouch che gli affidò l’incarico di scrivere la colonna sonora per il film Un uomo, una donna che avrebbe realizzato nel 1966. Il film fu un grande successo internazionale e vinse due premi Oscar. Per il giovane Francis Lai fu la consacrazione al suo primo film. Questo primo successo gli procurò diverse scritture sia in Francia che in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Nel 1970 vinse l’Oscar per il tema di Love Story, una musica indimenticabile per una storia d’amore commovente tra due ragazzi, ostacolati dai genitori, fino alla scoperta di una malattia incurabile che affliggeva la giovane. Lai ha scritto musiche per Edith Piaf e Juliette Greco. Ed ha scritto le colonne sonore di un centinaio di film tra i quali ricordiamo L’uomo venuto dalla pioggia la bellissima “Vivere per vivere”, “Fragilità il tuo nome è donna” e “Strep Tease”.

Da Nizza passiamo a Roma: Come c’era da aspettarsi Di Maio e Salvini hanno fatto pace, hanno deciso di accantonare il decreto sulla prescrizione a tempi migliori, così come avevano deciso di stralciare dalla finanziaria i due decreti che avevano fatto saltare in aria l’Europa e che sono stati rinviati anch’essi con decreti a parte, ovvero l’abolizione parziale della legge Fornero e il reddito di cittadinanza. Quindi è passato a stragrande maggioranza il decreto sulla sicurezza, che dovrebbe snellire alcune procedure giudiziarie, specialmente quelle del rimpatrio per i migranti non aventi diritto. Perché la testa è sempre là.

Droniamo sul Municipio di Partinico. Il sindaco, da voci raccolte in giro, vorrebbe dotare le porte del comune di maniglioni antipanico. Probabilmente avrà considerato che l’andirivieni di gruppetti bellissimi dal suo studio finirà prima o poi col creare situazioni di panico tra gli altri consiglieri comunali, ma anche tra i dipendenti, ai quali, nei prossimi giorni sarà chiesto di applicarsi un po’ di più.

E che tutto va avanti a ruota libera si è visto anche nel foglio pervenuto alla firma del Presidente del Consiglio, che, fidandosi ha firmato, senza accorgersi che c’era scritto che doveva essere un consiglio comunale “aperto”. Ma come aperto? Se è aperto non può deliberare e se non può deliberare non si può neanche mettere in votazione il PUT, che dovrebbe essere il primo o uno dei primi ordini del giorno del Consiglio di giorno 14. Quindi tutto da rifare, Consiglio chiuso, non aperto. Sarebbe interessante risalire a colui che ha inserito la parola “aperto”, per destinarlo ad altro lavoro, ma non sono cose che si fanno nella nostra repubblica degli amici. Cominciano a venir fuori anche i nomi di coloro che i bellissimi vorrebbero nominare come nuovi assessori, ma che evitiamo di fare perché vogliamo vedercela tutta. Se uno dei nominativi andrà in porto, forse questa persona si recherà per ringraziamento in Palestina, sulle rive del fiume in cui San Giovanni Battista battezzò Gesù.

E poi torniamo sempre là, non finirà mai: a monnezza. Nei progetti del sindaco c’è quello di liquidare l’ATO, di affidare tutto all’ARO, così il Comune si libererà di tutta una serie di adempienze che spetterebbe all’ARO poi rispettare. E così dovrebbe finire per lui questa gran camurria di continue lamentele, di televisioni che riprendono sempre monnezza, gettata per le strade da cittadini criminali. Non si potrà fare al momento neanche un’altra raccolta straordinaria perché mancano i soldi e non si sa se per gli addetti al settore ci sarà la retribuzione di dicembre con relativa tredicesima. Oggi si raccoglie carta, mentre per  vetro e lattine se ne parlerà giovedì prossimo, cioè trenta giorni dopo l’ultima volta in cui è stato fatto. La sedia rotta bianca che campeggia sul cumulo di rifiuti ammassato presso lo spazio limitrofo all’Ard, è sempre lì da quasi un mese, come un monumento di arte contemporanea in un’area che ricorda la tristezza di una società tardo industriale dove però non ci sono industrie. Anzi qualcuna c’è, e ce n’è una la cui ciminiera svetta su tutto il paese, monumento anch’essa a quello che i francesi chiamano il “laissez faire”, lasciar fare senza fare niente per fermare ciò che non si dovrebbe fare.

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