5 gennaio nel ricordo di Giuseppe Fava e Peppino Impastato, passando per Danilo Dolci
Aggiornamento e rielaborazione di un mio articolo pubblicato su Antimafia Duemila il 5 gennaio 2021
Due persone con una diversa storia alle spalle, ma con molti punti in comune: entrambi vengono ricordati come “giornalisti” uccisi dalla mafia: per la verità Fava era un “professionista” del giornalismo, Peppino, malgrado qualche rara corrispondenza a “Lotta continua” aveva dedicato la sua attenzione all’informazione orale attraverso Radio Aut. Solo nel 1996 gli sarà concessa., alla memoria, l’iscrizione all’albo dei giornalisti. Entrambi avevano identificato nei grandi mafiosi della loro zona, da una parte Nitto Santapaola, dall’altra Tano Badalamenti, i nemici della Sicilia e del suo decollo economico e sociale. Entrambi amavano l’arte, il teatro, anche se Peppino non scrisse mai nulla, mentre i lavori teatrali di Fava ancora oggi suscitano ammirazione. Entrambi, subito dopo la loro morte vennero diffamati, secondo le regole e le strategie mafiose, affinchè di loro si perdesse la memoria: Fava un “femminaro”, Peppino un “terrorista”. Fortunatamente, almeno in questi due casi, il tempo e le indagini hanno fatto giustizia e i colpevoli sono stati individuati e condannati. L’esempio di Peppino e di Fava ripropone l’importanza e la delicatezza dell’informazione, dove oggi il monopolio che alcuni gangsters e piduisti esercitano su questo campo, serve a creare consenso, alla ricerca di soluzioni autoritarie per soffocare la democrazia.
5 gennaio 1948: nasce Peppino Impastato. Oggi avrebbe 75 anni. A 44 anni dal suo omicidio qualcuno mi chiede o si chiede che cosa farebbe oggi, quale strada avrebbe percorso, con chi si sarebbe schierato. Chiaro che non esistono risposte, ma esercizi di fantasia, nei quali qualsiasi ipotesi è consentita. Peppino era ed è rimasto quello che è, quello che fu, un contestatore del sistema di potere, non solo quello del suo tempo, ma quello storico che si è solidificato sin dalla notte dei tempi. La sua identità fu quella di essere comunicatore, uno che aveva un progetto politico ben chiaro, la realizzazione di una società senza ingiustizie e senza differenze di ricchezza, cioè di una società di uguali, in cui non solo la legge è uguale per tutti, ma anche la vita. E se uguaglianza non significa banalità, conformismo, assuefazione, ma, al contrario possibilità di sviluppare le proprie capacità, allora questo è, era per lui, comunismo. LO aveva scritto in un’agendina nel 1972: “Il comunismo non è oggetto di libera scelta individuale né vocazione artistica. E’ una necessità materiale e psicologica”. Dopo di che su di lui è stato detto di tutto, si è cercato di elasticizzarlo, di farne un uomo “per tutte le stagioni”, una icona da mettere in ogni sezione di partito o al quale intestare una strada, uno che lottava contro la mafia e basta, di pregare per lui o farne un santino cui esprimere devozione e ammirazione. Tanti hanno la brutta abitudine di dire: “Io sono….aggiungendovi il nome del personaggio nel quale vogliono identificarsi o al quale esprimere solidarietà. In realtà ognuno è quello che è e dovrebbe restare tale, senza bisogno di immedesimarsi in modelli per nascondere le proprie insufficienze. Se c’è qualcuno che se la sente, dica pure: “Io sono Peppino Impastato”, purchè abbia poi il coraggio di aggiungere “Io sono comunista”, come lo era e pensava di esserlo Peppino. Dopo di che, fare gli auguri a una persona morta nel 1978 ha solo un senso se la sentiamo ancora vicina, se avvertiamo il suo flusso d’energia, se riteniamo che le sue idee rivoluzionarie siano una base di lotta per ribaltare le perversioni in cui la struttura capitalistica della società stritola l’essenza di ognuno di noi. Non si spaventi nessuno: questo lo ha detto anche Papa Francesco…