5 gennaio nel ricordo di Fava e Impastato
Fiore di campo nasce
dal grembo della terra nera
Fiore di campo cresce
odoroso di fresca rugiada
Fiore di campo muore
sciogliendo sulla terra gli umori segreti.
(Peppino Impastato)
5 gennaio: una data per due coincidenze: la nascita di Peppino Impastato e la morte di Giuseppe Fava. Due persone con una diversa storia alle spalle, ma con molti punti in comune: entrambi vengono ricordati come “giornalisti” uccisi dalla mafia: per la verità Fava era un “professionista” del giornalismo, Peppino, malgrado qualche rara corrispondenza a “Lotta Continua” aveva dedicato la sua attenzione all’informazione orale attraverso Radio Aut. Solo nel 1996 gli sarà concessa., alla memoria, l’iscrizione all’albo dei giornalisti.
Entrambi avevano identificato nei grandi mafiosi della loro zona, da una parte Nitto Santapaola, dall’altra Tano Badalamenti, i nemici della Sicilia e del suo decollo economico e sociale. Entrambi amavano l’arte, il teatro, anche se Peppino non scrisse mai nulla, mentre i lavori teatrali di Fava ancora oggi suscitano ammirazione . Entrambi, subito dopo la loro morte vennero diffamati, secondo le regole e le strategie mafiose, affinchè di loro si perdesse la memoria: Fava un “femminaro”, Peppino un “terrorista”. Fortunatamente, almeno in questi due casi, il tempo e le indagini hanno fatto giustizia e i colpevoli sono stati individuati e condannati. L’esempio di Peppino e di Fava ripropone l’importanza e la delicatezza dell’informazione, dove oggi il monopolio che alcuni gangsters e piduisti esercitano su questo campo, consente di creare consenso politico ed economico ai soliti gruppi di potere che continuano, con la violenza a solidificare la propria ricchezza sulle spalle dei più deboli
Per Giuseppe Fava
Dai cadaveri viventi il solito:
“Cu ci u faceva fari?”,
e continueremo a morire,
a vederci rubare
i momenti migliori della nostra vita
perché non abbiamo accettato
le regole della sopraffazione,
perché abbiamo voluto salvare
la dignità degli altri.
Continueremo in solitudine
la nostra fragile lotta
contro i corvi del potere
senza rinunciare alla certezza del giusto.
Sulla resa di pochi è la sconfitta di tutti.
Possiamo ancora farcela.
Se questo venir fuori,
candidarsi a bersaglio,
servisse come seme per la rivolta dei vinti,
moriremmo con meno angoscia.