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30 aprile 1982, ricordando Pio La Torre e Rosario Di Salvo

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La vita e l’impegno di Pio La Torre

Oltre che un sindacalista fu un attento politico comunista. Era nato il 24 dicembre 1927 nella frazione di Altarello di Baida del comune di Palermo da una famiglia di contadini molto povera: il padre palermitano e la madre figlia di un pastore di Muro Lucano (PZ). Giovanissimo, lottando con i braccianti nella Confederterra era finito in carcere. Nel 1952 era diventato segretario provinciale della CGIL Palermo e qualche anno prima nel 1949, frequentando il Partito Comunista aveva conosciuto Giuseppina Zacco, che aveva sposato un anno dopo e che gli aveva dato due figli, Filippo e Franco. Aveva intensificato questa lotta negli ultimi anni, dopo avere scritto la relazione di minoranza della Commissione parlamentare antimafia con una minuziosa ricostruzione della mappa del sistema politico-mafioso che dalla Sicilia arrivava a Roma. Di lui è rimasta la firma assieme a quella del democristiano Rognoni, sulle nuove “Disposizioni contro la mafia” che introducevano un nuovo articolo nel codice penale, il 416 bis: un passaggio fondamentale per attivare nuovi strumenti nella lotta contro la mafia, sino ad allora non riconosciuta come associazione illegale. Essere mafioso diventava un reato, come lo era quello di associazione a delinquere di stampo mafioso, reato punibile con una pena da tre a sei anni per i membri, e da quattro a dieci nel caso di gruppo armato, mentre gli affiliati avrebbero dovuto decadere da eventuali incarichi civili e politici: soprattutto si prevedeva la confisca obbligatoria dei beni realizzati con attività criminali perpetrate dagli arrestati.

Dopo varie esperienze parlamentari, in tre legislature, La Torre era tornato in Sicilia, un po’ per sua scelta, un po’ per scelta di partito e, pur non dimenticando che il primo elemento causa della mancanza di libertà dei siciliani era la mafia, aveva individuato l’altro elemento, la presenza degli Americani, che, dai tempi dello sbarco alleato non aveva smesso di considerare la Sicilia come un feudo personale, come una sorta di proprietà privata in cui installare micidiali missili per mantenere il controllo del Mediterraneo o mostruosi apparecchi di controllo di qualsiasi comunicazione, come l’attuale Muos. La Torre aveva provato a spostare la montagna prima con la raccolta di un milione di firme e poi con una grande manifestazione a Comiso, il luogo e l’epicentro del potere militare americano. Era nel bel mezzo di questo nuovo fronte di lotta quando Il 30 aprile del 1982, alle nove del mattino La Torre, accompagnato dal suo autista Rosario Di Salvo, mentre stava andando con la sua Fiat 132 verso la sede del partito, in via Turba, di fronte alla caserma Sole, fu affiancato da due grosse moto e alcuni uomini mascherati con il casco e armati di pistole e mitragliette li uccisero. La Torre morì subito, Di Salvo riuscì ad estrarre la pistola e sparare alcuni colpi. Dalle rivelazioni di Salvatore Cucuzza, diventato collaboratore di giustizia, è stato ricostruito il quadro dei mandanti, identificati nei boss Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Antonino Geraci, detto Nenè e i nomi degli esecutori Giuseppe Lucchese, Nino Madonna, Salvatore Cucuzza, e Pino Greco.

Oggi sono 37 anni e lasciamo a chi ci legge il ricordo di quest’uomo che è sempre è andato avanti fino in fondo perché voleva bene al suo Paese e alla sua terra.

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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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