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27 novembre, pagina di diario

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Il diario del giorno

Oggi è finalmente arrivato l’inverno. C’è un vento assassino, ma per fortuna non abbiamo i danni che il maltempo sta provocando in Calabria.

Vogliamo partire dal PD che si rinnova con Faraone. Che il PD com’è oggi sia un partito destinato all’estinzione ci credono tutti, tranne quelli del PD, simili ai passeggeri del Titanic che ballano e si divertono mentre la nave va verso l’iceberg. La causa centrale dello sfascio è ed è stata il renzismo, ovvero l’assurda politica di tutelare le banche e i privati, di non curarsi degli interessi dei lavoratori, ma di quelli dei padroni, di emarginare le sacche del dissenso interno, sino a costringerle ad andar via, in pratica di diventare “potere” come qualsiasi partito liberista caratterizzato dal suo “essere destra”. Si potrebbe pensare che, una volta individuati gli errori, per andare avanti bisognerebbe operare una svolta a sinistra, cioè verso la  naturale identità, come stanno facendo Corbin in Inghilterra e Sanders negli Stati Uniti, come stanno facendo in Francia nella protesta contro Macron, invece niente di niente. Niente del principale senso dell’essere di sinistra, ovvero lottare per un’equa distribuzione delle ricchezze, in un’epoca in cui la forbice tra ricchi e poveri assume proporzioni e dislivelli spaventosi, con un inesorabile drenaggio delle ricchezze nelle tasche dei più ricchi e con una sempre maggiore estensione delle sacche di povertà. Il partito rimane arroccato a Renzi, ai suoi caporali, alle sue masturbazioni istituzionali, senza preoccuparsi minimamente di tornare tra la gente e di farsi carico dei suoi problemi. Oggi il PD esiste solo come forza parlamentare, non come movimento che sia espressione del disagio sociale. Lo sfascio si estende alle residue formazioni alla sua sinistra, lacerate da dissensi ideologici, da problemi personali, dall’ostinata volontà di stare divisi e ritenersi, anche con il 2% l’unica espressione della volontà popolare. Sono cose note, ma non c’è nessuna volontà di porvi rimedio, anzi si va sempre verso nuove lacerazioni con la convinzione che si tratti di una inevitabile condanna, una sorta di nemesi storica. Alcuni hanno ipotizzato che l’obiettivo di Renzi sia e sia stato quello di azzerare il  partito, per fondarne un altro che si ispiri all’esperienza, rivelatasi anch’essa fallimentare, di Macron in Francia.

In Sicilia l’ultima espressione del nullismo è data dall’autocandidatura di Davide Faraone alla guida del PD regionale. Il piccolo ras appare agli occhi di tutti quello che è, ovvero un uomo messo al suo posto dal suo protettore, dopo avere attraversato il sottobosco di incarichi vari, dopo le sue insignificanti esperienze di sottosegretario, addirittura anche alla Pubblica Istruzione, che dovrebbe essere una cosa seria. Ricordiamo che Faraone si è laureato qualche anno fa, al culmine della sua carriera politica. Eppure questo burocrate, quest’uomo dell’apparato, al quale è rimasta, come a Renzi la carica di senatore, vuole ostinatamente restare a galla per dare il colpo di grazia a un partito che in Sicilia raggiunge in molti posti percentuali inferiori alle dita delle mani. Inutile pensare, come sarebbe naturale, che i responsabili della débacle si levino di mezzo. E quindi le piccole e grandi manovre, l’ultima delle quali è quella di invitare l’ex segretario organizzativo del PD Antonio Rubino, espressione dei cosiddetti Partigiani dem, a fargli da vice nella sua campagna per segretario regionale. Rubino ha tirato fuori dal sacco una serie di proposte incredibili: “Il PD non deve essere uno strumento di autotutela, ma un soggetto politico in grado di rinnovarsi ed essere motore dell’opposizione, mollando trasformismi e conservatorismi”. Ma perché non ci ha pensato prima? E pertanto i soliti inviti all’unità e al dialogo in vista della sfida tra renziani e zingarettiani nella prospettiva delle primarie che dovrebbero eleggere il nuovo segretario. Per favore, Faraone no. Di faraone basta e avanza quello d‘Egitto o, tuttalpiù la piccola gallina faraona. Di nuovo non c‘è sicuramente Faraone, ma è spuntato all’orizzonte il nome di Teresa Piccione, espressione dell’area dem di Franceschini, che sostiene Zingaretti.

Ma rientriamo a Partinico: L’assessore Pennino le sta studiando tutte pur di fare passare la sua delibera di privatizzazione della Casa di Riposo Canonico Cataldo. La quale, come abbiamo ricordato, è stata “data” al Comune di Partinico, affinché la gestisse direttamente. Ma le sorelle Gianì non ci sono più e i testamenti per l’assessore, che forse di queste due benefattrici non ha mai sentito parlare, sono carta straccia. Il Comune deve sbarazzarsi di questa adempienza, avere le mano libere e anche lei, una volta che si farà la gara d’appalto, avrà meno lavoro e potrà occuparsi magari di un asilo nido che non si farà perché non ci sono bambini che si sono iscritti. Tanto per dire la solita cattiveria si potrebbe dirle: “Ma allora un vuoi fari nienti”? E tanto per dire un’altra cattiveria, se la tabella di pagamento d’ottobre dell’assessore Pennino ha indicato 25 giorni, compresi due sabati, viene spontanea una domanda: quand’è che l’assessore si reca a lavorare nell’altro suo posto di lavoro, ovvero l’Ufficio di presidenza della Regione, presso l’on. Miccichè?

Stamane, nella sua ostinata volontà, nella quale ha coinvolto il sindaco e alcuni consiglieri comunali di maggioranza, ma non tutti, sapendo che la delibera, se messa in votazione, corre il rischio di essere affossata, ha convocato tutti i consiglieri tirando fuori dal cappello una proposta: “Voi mi votate la delibera e nello stesso tempo mi fate un atto d’indirizzo nel quale indicate le vostre proposte”. I consiglieri l’hanno guardata in modo strano, cioè “alluccuti” e, per chi sa leggere negli sguardi, sembra che volessero dire: “Ma ci vuoi prendere per il….per i fondelli?” E così, in attesa di contattare uno per uno quelli che andranno a votare, soprattutto quelli della maggioranza, e di convincerli che “questa delibera ha da passare”, il Consiglio Comunale è stato rinviato al 5 novembre, quando si dovrebbero contare morti e feriti. Non è ancora molto chiaro il perché di questa ostinazione e ci auguriamo che a farne le spese non siano i vecchietti che in quella casa hanno deciso di passare tranquillamente gli ultimi giorni di vita. Anche perché non si capisce per quale motivo il privato ci dovrebbe guadagnare nella gestione e il comune no. Non si capisce perché il personale non possa essere ridotto, mentre è stato praticamente scaricato quello che si occupava degli asili nido. Insomma, ieri parlavamo di puzza di bruciato, oggi qualcuno ci ha telefonato per dirci che non c’è puzza, ma “fetu”.

E intanto viene fuori la cifra, che sembra gonfiata, di 82 mila euro l’anno, pari a 6800 euro al mese stanziate per il cibo dei ricoverati, compresi 5 chili di caffè, così tanto per tenere svegli quelli a cui piace fare la penneca di pomeriggio. Non si sa se la cifra è per gli attuali assistiti o per i 40 che la casa può ospitare, ma c’è da pensare che ogni giorno i nostri anziani mangeranno caviale, aragoste, ostriche, teneri agnellini, berranno champagne con il quale innaffieranno succulente torte sette veli, alla faccia della glicemia. Non è prevista la spesa per il cibo spirituale, le ostie per la comunione, alle quali pensa un apposito dipendente che ha la facoltà di potere distribuire la carne e il sangue di Cristo.

Stamane abbiamo assistito, davanti alla sede della nostra televisione a un violento scontro tra due cani randagi che “si stavano ammazzando” e che ripropongono il tema del randagismo, al quale si dice di voler porre rimedio, ogni volta che si pone la questione, e dopo non se ne fa niente. Anche ai ragazzi del Liceo il Sindaco, da loro interpellato, nel corso di un incontro dal titolo: “La bellezza chiama, Partinico risponde”, ha detto che era questione di giorni e il canile sarebbe diventato funzionante. E invece niente, presi per …i fondelli anche loro.

A domani.

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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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