Il 27 gennaio 1945, quando le truppe sovietiche della 60ª Armata del “1º Fronte ucraino” entrarono nella città polacca di Oświęcim (in tedesco Auschwitz) non riuscivano a credere ai loro occhi e quello che videro scoprendo il vicino campo di concentramento di Auschwitz era davvero al di là di ogni immaginazione. Una decina di giorni prima i nazisti, in ritirata, avevano portato con loro i prigionieri sani, molti dei quali morirono durante il viaggio. Quelli rimasti erano scheletri ambulanti, senza vestiti o vestiti di stracci, gente orrendamente mutilata, cadaveri disseminati da ogni parte, forni crematori fumanti, intorno puzza di carne bruciata, urla, disperazione: un autentico inferno che per la prima volta mostrava al mondo fino a che punto è stato possibile arrivare, da parte di una nazione, la Germania, che si riteneva la più civilizzata del mondo con l’odio razziale, con il disprezzo verso i propri simili, con la voglia di uccidere o di sfogare i propri bestiali istinti, con il disprezzo della vita, della morte, delle idee, del colore della pelle, della religione, della diversità. La furia omicida dei nazisti, secondo stime attendibili avrebbe eliminato 6 milioni di ebrei e stava procedendo a passi spediti verso la “soluzione finale”, ovvero l’annientamento totale. Lo stesso fatto che, prima di ripiegare, i tedeschi assassini eliminassero coloro che erano ancora in vita e che avrebbero potuto essere salvati, dimostra fino a che punto può arrivare l’odio . Ma non si trattava solo di ebrei: c’erano popolazioni delle regioni orientali europee occupate, ritenute “inferiori”, prigionieri di guerra sovietici, nazioni e gruppi etnici quali Rom, Sinti, Jenisch, gruppi religiosi come testimoni di Geova e pentecostali, omosessuali, malati di mente e portatori di handicap, oltre che oppositori politici, in particolare anarchici e comunisti. Si calcola che la strage complessiva di tutte queste categorie, si aggiri intorno a 15 milioni di morti, a partire dal 1933, quando iniziò la segregazione degli ebrei tedeschi. Auschwitz mostrò a tutto il mondo quello di cui furono capaci i nazisti con i loro strumenti di tortura e di annientamento scientificamente studiati. Solo il 1° novembre del 2005 l’ONU ha deciso di istituire la giornata della memoria per ricordare le vittime di quello che fu definito “olocausto”, o, con parola ebraica, Shoah. L’Italia c’era arrivata cinque anni prima.
La parola Olocausto deriva dal greco olokaustos, che significa”bruciato interamente”. Per gli Ebrei indica il corretto sacrificio dato dall’ustione totale dell’animale sacrificato a dio, pertanto gli ebrei preferiscono, ma parlando solo di se stessi, indicare lo sterminio nazista con il termine Shoah, che vuol dire catastrofe, distruzione.
Il ritardo con cui le Nazioni Unite si sono decise a commemorare questo evento ha una serie di motivazioni, tra le quali una forte diffidenza nei confronti degli ebrei, da parte degli americani. Anni di maccartismo, cioè di caccia al comunista, avevano reso ostili e diffidenti gli americani, restii ad accettare che i sovietici erano arrivati prima di loro a scoprire i campi di concentramento, malgrado fossero loro alleati e malgrado l’intervento sovietico, con i suoi 17 milioni di morti, fosse stato determinante nel cambiare gli equilibri della guerra e salvare il mondo dal nazismo. Il significato di questo giorno dovrebbe essere legato a due parole: “Mai più”, non dovrebbe mai più essere permesso agli uomini che succedano simili cose. E invece in parecchie parti del mondo ancora si tagliano le teste disinvoltamente, si fanno esplodere bombe su folle di innocenti, il tutto in nome di una religione, sia essa ebraismo, islamismo o cristianesimo che viene creduta quella unica e quella giusta da chi la professa. Eppure “non uccidere” è un precetto predicato da tutte le religioni. Purtroppo le religioni servono solo quando fanno comodo e quando diventano uno strumento per la realizzazione di strategie politiche.
Fra l’altro un altro tipo di olocausto si sta consumando oggi nel mondo, quello dei profughi di guerra, dei disperati disposti a mettere in gioco la propria vita e quella dei propri figli pur di non vivere più nel modo e nell’ambiente in cui sono vissuti. Non ci sono aguzzini spinti dall’odio razziale, ma circuiti mafiosi che lucrano sul traffico di esseri umani o di organi di esseri umani, ci sono bombe, armi, campi di accoglienza peggiori dei campi di concentramento, non un letto, non una coperta, non vestiti, non cibo, non acqua, non un posto per gli escrementi, non un posto in cui morire, a parte l’immenso cimitero del Mediterraneo. E intanto si innalzano altri muri, dall’Europa all’America ed è in continuo aumento il numero degli sciacalli che fanno la campagna elettorale agitando la bandiera della xenofobia sulla pelle di questi poveracci che, sognando un mondo diverso ne hanno trovato uno molto peggiore di quello da cui sono fuggiti.
Esattamente 80 anni fa il Fascismo emanò le sue sciagurate leggi razziali, approvate ed esaltate persino dal nostro diciamo “grande” giornalista Santi Savarino, allora direttore del Giornale d’Italia e al quale purtroppo è dedicato il nostro Liceo a Partinico: tale atto regalò ai tedeschi centinaia di migliaia di ebrei e dissenzienti politici che vennero imbarcati su vagoni da carro bestiame e deportati nei campi di concentramento tedeschi a lavorare per la grandezza del Terzo Reich e a morire di fame, di stenti, di torture: una delle poche sopravvissute, Liliana Segre, ha testimoniato, nei suoi 88 anni di vita la storia e la tragedia di quanto vissuto ed è stata nominata, in questi giorni, senatore a vita dal presidente Mattarella.
Non serve fermarci al passato e alle sue immagini, che comunque mai documenteranno la dimensione di quanto è successo. Prima di dire “mai più” bisogna fermarsi a vedere quello che invece succede e continua a succedere “sempre”, dall’olocausto curdo e siriano ai campi di ammasso dei migranti in Libia, tanto per fermarci in zone a noi vicine. Se è consentita una contraddizione apparente, alla memoria del passato bisogna associare la memoria del presente, quella dell’attimo prima, che non si dimentica, che è un frammento della nostra vita e che ha un senso quando si incontra con la vita degli altri.
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