18 settembre 2018, pagina di diario
Le notizie del giorno, raccontate con ironia, nella rubrica di Telejato “pagina di diario”
Tutto va a rilento. Piano piano, chi va piano va sano e va lontano. Cu or’a viri aspetta. Cu t’u fa fari. U signuri chiui na porta e rapi un purtuni. Quest’ultima non c’entra molto, anzi non entra proprio, perché al momento tutti i portoni sono chiusi. Nel solco della lentezza si è persa tra le scale e le stanze del Palazzo la richiesta inoltrata da Telejato, a seguito di ordini e disposizioni superiori, di potere accedere al Palazzo municipale per fare il proprio lavoro d’intervista e di ricerca di notizie. La richiesta è stata presentata venerdì scorso per essere protocollata, ma al protocollo non risulta ancora niente. Ammesso che sia finita su qualche tavolo per essere esaminata, discussa, commentata, ci si pone il problema di come questa possa essere esaminata prima di essere stata protocollata. Forse uno di questi giorni sapremo qual è il nostro amaro destino, se essere scartati e allontanati oppure accreditati. Tutto questo senza che esista alcuna delibera che fissi disposizioni per l’accesso. Non al cesso, ma alle altre stanze del Municipio.
Nell’ambito della lentezza si muove anche l’iter della procedura per il dissesto. Finalmente i revisori dei conti, dopo giorni di esame delle carte hanno dato il loro parere, cioè hanno detto una cosa che tutti sapevamo, il dissesto c’è e bisogna ratificarlo. Adesso il parere passa alla seconda commissione consiliare presieduta da Eleonora Rappa, che ha cinque giorni di tempo per dare il suo parere, anche convocando i revisori e decidere ugualmente che il dissesto c’è. Dopo di chè il tutto passerà al Presidente del Consiglio, che ha sempre cinque giorni per pensarci su e convocare il consiglio comunale: passeranno altri cinque o dieci giorni, e, quando questo consiglio potrà finalmente aver luogo, dopo ore e ore di discorsi “ammatula”, come siamo abituati a sentire, eventuali aggiornamenti del Consiglio, finalmente, presumiamo nella seconda metà di ottobre, il dissesto sarà ufficiale. In attesa degli altri commissari che, dopo quelli che abbiamo e che stanno esaminando i bilanci, si preoccupino di accertare le responsabilità e di predisporre un piano di spese e di rientro del debito. Può essere che fra una decina di anni andremo in pareggio.
Lentezza, se non menefreghismo nel non mandare qualcuno dei 400 dipendenti comunali ad aprire la porta al locale dell’arena Lo Baido, dove i vecchietti vanno a passare il tempo tra una partitina e l’altra. Forse non c’è nessuno che sa usare la chiave, che sa infilarla nel buco per aprire la porta. Nessuno che sappia, il vocabolo giusto è “chiavare”, ma detto così sembra una parolaccia con altro significato che non ci permetteremmo mai di usare. Insomma, come scopare, che non vuol dire solo usare la scopa. E quindi per loro aria aperta, sino a quando non piove e verde naturale, come quello delle erbacce che ormai abbelliscono il posto dandogli un aspetto selvaggio.
E sempre aspettano gli 80 tunisini, fedeli musulmani, sfrattati dal loro magazzino, che avevano adibito a luogo di preghiera, ma che è stato chiuso perché privo della destinazione d’uso di luogo di culto. E che cavolo, per pregare in un luogo, bisogna che questo sia idoneo e certificato, altrimenti, cari fedeli di Allah, potete continuare a pregare seduti o inchinati su pezzi di cartone e all’aperto. Allah vi ascolterà lo stesso, e se piove portatevi l’ombrello. U “cucinu”, che sembra il leader di questi fedeli, domani si incontrerà col sindaco per chiedergli l’uso di un locale, magari un bene confiscato alla mafia, ma rimangono seri dubbi che possa trovarsi una soluzione di questo tipo: i mafiosi possono offendersi nel vedere le loro case frequentate da questi fedeli infedeli, loro che sono devotissimi di Dio, della Madonna e dei Santi, e se il Papa ha detto loro che se sono mafiosi non sono cristiani, non importa, alla fine Dio aprirà le braccia a tutti con una bella sanatoria e lascerà fuori i musulmani. Come adesso.
E a proposito ci sono in corso grandi manovre perché la Lega preme per l’adozione di una sanatoria fiscale, per rimpinguare le tasche del bilancio, ma i pentastellati non vogliono saperne: niente condoni, ognuno dia quello che deve. Ma non essendoci soldi il tempo passa a creare castelli d’illusioni: il primo è quello del reddito di cittadinanza, che dovrebbe consentire una sorta di assegno di disoccupazione a chi è senza lavoro, il secondo è quello della Flax tax, che dovrebbe consentire a coloro che hanno aliquote fiscali molto alte, perché molto ricchi, di pagare meno tasse, perché si abbasserebbe l’aliquota, prima creandone tre, in attesa di ridurre tutto a una sola. La tela dei sogni si allarga anche sul tetto delle pensioni: si parla di quota cento, ovvero di un cumulo tra età anagrafica e anni di lavoro, ma anche questa misura, considerato che costerebbe una decina di miliardi, non sembra possa andare avanti, e già ci sono 300 mila dipendenti che hanno annunciato la loro voglia di mettersi in pensione. Detto fra noi sarebbe una bella cosa e aprirebbe le porte sia al ringiovanimento dei dipendenti, sia a nuovi posti di lavoro, ma anche qua siamo sempre nel campo della vendita di fumo e di illusioni. Si parla anche di aumento del tetto delle pensioni minime, ma tanto per dire. Sempre al campo dei sogni appartiene la promessa, o meglio l’ipotesi di rivedere i ticket sanitari, di assumere nuovi infermieri e nuovi medici, di costruire nuovi ospedali. Troppo bello. E c’è chi ci crede: sul web ci sono eserciti di supporters pronti a mangiare vivo e a ricoprire d’insulti chi si permette di avanzare dubbi su queste balle spaziali. Mancano dieci giorni alla presentazione della manovra economica e ancora è tutto per aria, con il povero ministro Tria, che assieme al Primo ministro Conti si sentono tirati per la giacchetta da una parte e dall’altra.
Ce ne siamo andati lontano e torniamo a Partinico, dove, come avevamo detto sabato, la montagna ha partorito il topolino: si tratta di una montagna che cresce tre metri al giorno e dove si stanno ammassando vinacce provenienti da tutta la Sicilia. Quando questa elevazione sarà finita, bisognerà che qualcuno salga sulla cima e ci metta una bandiera con la scritta: “Monte d’a za Nina”. Di controlli neanche l’ombra: tutto è a posto e non c’è niente da controllare. La stranezza dell’ingresso della fabbrica è che il cancello funziona a metà: per metà si aziona il motore, poi per l’altra metà bisogna azionarlo a mano. In pratica una sorta di coitus interruptus con “u trunzu d’a malafiura” in una fabbrica che è considerata l’avanguardia della distillazione. Va bene così alla faccia di quelli che vogliono farla spostare altrove. Si sposta solo il cancello.
Il topolino uscito dalla montagna oggi si è infilato in un’aula della scuola elementare via Tenente La Fata provocando tra bambini e maestre urla di terrore. Poverino, voleva ascoltare la lezione, e invece tutti sono usciti dall’aula terrorizzati, i genitori sono stati chiamati e hanno portato i figlioletti a casa, l’aula è stata chiusa in attesa che, con lentezza, non arrivi qualcuno dal comune, con qualche tagliola o qualche scopa per catturare il vispo e audace topolino, che dovrebbe ancora essere chiuso lì.
E tra lettere che si perdono, topi, dissesti, anziani, condoni, pensioni, montagne, vinacce, cancelli e altre amenità abbiamo esaurito il nostro tempo. A domani per le altre minchiate.
A proposito: a Palermo, nel quartiere alloro, è comparso uno striscione coloratissimo con la scritta “Minchia”. La consigliera Figuccia, forse perché lo striscione era troppo grosso e lei è troppo piccola, si è sentita ferita da questa volgarità e ha chiesto al sindaco spiegazioni, ma un privato l’ha rassicurata: ha fatto tutto a sue spese, e ora questa bella e universale parola può entrare nel vocabolario internazionale, dopo che da qualche tempo c’è entrata l’altro insuperabile termine: Suca.