Non vanno d’accordo antimafia e imprese
L’antimafia fasulla e quella vera: come si fa a distinguerle? Facile…
Tratto dall’ultimo numero dei Siciliani Giovani
“Fior di viola, splendente,
vivi nei canti, Atene,
tu che hai difeso l’Ellade, tu ardita,
tu città degli dei…”
Ma insomma, come faccio a distinguere l’antimafia fasulla da quella di cui fidarsi? Facilissimo: quella povera è quella vera. L’antimafia, difatti, è gratis. Perciò non puoi farci soldi o carriera. Puoi rischiare la pelle, questo sì, puoi farti emarginare dappertutto, puoi – ovviamente – restare senza lavoro, puoi anche fare la fame se occorre. Tutte queste belle cose puoi fare, e altre ancora. Ma soldi e carriera no.
Ci spiace, ma non l’abbiamo messa noi questa regola. A noi piacerebbe di più ricevere – in un paese civile – soldi, onori, carriere felici e tranquille, e magari qualche buona parola.
Ci piacerebbe anche di più poter promettere tutte queste belle cose ai ragazzi che, un anno dopo l’altro, arrivano freschi e decisi: “Voglio dare una mano all’antimafia”. Ma, in un paese civile.
In questo, la prima cosa che insegnamo è: “Ragazzi, l’antimafia si paga”. Eppure, non restiamo mai soli.
Al servizio dei grandi imprenditori
La mafia, in Sicilia, nasce storicamente al servizio dei grandi imprenditori del comparto agricolo e successivamente industriale. Già nel 1920, a Palermo, giustiziò per loro conto il sindacalista Fiom Giovanni Orcel; negli anni ’40-’60, per conto dei latifondisti, venne assassinato un centinaio di dirigenti contadini.
“Imprenditore”, in Sicilia, non è una gran bella parola, e comunque con l’antimafia ha sempre avuto poco a che fare. Così, desta poca sorpresa la “scoperta” che le proclamazioni di questo o quell’ esponente dell’imprenditoria “antimafia” andavano in realtà prese cum grano salis.
In realtà, la vera sorpresa è data dalla facilità con cui tutta una serie di personaggi del genere ha potuto essere presa sul serio dall’antimafia“perbene”, quella almeno di provenienza non popolare.
I motivi son tanti. Primo, l’approssimazione politica di gran parte della nuova antimafia, dove la ripetizione di buoni principi sostituisce spesso la lucidità delle analisi e la radicalità delle azioni. Secondo, è molto più facile prendere a interlocutori (finché non smascherati) i vari Montante e Haeg che non gli Umberto Santino, i Pino Maniaci o i Siciliani. I primi hanno denari da mettere nei vari “rinnovamenti”, e i secondi no; i primi non minacciano in alcun modo l’assetto sociale “perbene”, e i secondi sì. Ma così va il mondo; e noi perdoniamo volentieri agli amici perbene quella che non è certo malafede ma solo disattenzione e pigrizia.
Noi, all’antimafia dei simboli, preferiamo quella palpabile e concreta. Che fare dei beni confiscati? Affidarli ai Montante o magari (come gl’immigrati) ai Castiglione? Questo, ormai è pacifico, non si può fare più. Metterli all’asta, come dice il capo della commissione “antimafia” siciliana, Musumeci? Allora tanto varrebbe ridarli direttamente ai mafiosi.
Invece bisogna farne beni sociali, distribuirli con equità, farne economia sana. Questo è ciò che sostiene Libera da metà anni ’90, e noi da dieci anni prima. E fra il buon elefante e le formichine, sarà ben difficile per le bestie feroci – gattopardi e iene – rimettere le zampe sulla preda.
Questa è la nostra antimafia. Antimafia utile a tutti, antimafia vera. Certo: alla tv e sui giornali non la troverete, troverete quella urlata. I vari Buttafuoco e Merlo (sempre amici dei Berlusconi e dei Ciancio, e ora improvvisamente grandi antimafiosi) hanno molta più udienza, lassù, dei nostri poveri Giacalone, Ester Castano e Capezzuto. Ma ha davvero importanza? I punti si contano alla fine, dicevano i maestri di tressette, e a Sedriano e a Trapani la borghesia mafiosa, grazie ai nostri cronisti, i suoi bravi colpi li ha pur presi.
La vera antimafia è “politica”
Quest’antimafia è politica: in un sistema dove i poteri mafiosi sono tanto inseriti nell’economia, è ovvio che la vera lotta alla mafia sia condizione primissima per cambiare qualcosa. Avete già sentito ‘sta tiritera, se siete vecchi lettori dei Siciliani.
Non si può dire che abbia avuto molto successo: la destra, ovviamente, ha avuto ben altro da fare. Il centrosinistra, col suo partito-nazione, in queste settimane sta reclutando generali e soldati di tutto il vecchio Sistema non esattamente antimafioso. E la sinistra “pura”, gli alternativi? Non sembra che il potere mafioso (e in Sicilia abbiamo avuto due presidenti di fila o condannati o inquisiti) sia esattamente in cima ai suoi pensieri. Con belle e lodevoli eccezioni, certamente: ma certo non proprio al centro della strategia.
Perciò per noialtri monotoni all’improvviso, è stata una bella sorpresa vedere che qualcun altro cominciava a percepire queste cose. Che lo scontro, in Italia, non è più tanto politico quanto sociale. Che è la società civile, non i partiti e partitini, a dovere portarlo avanti.
Parliamo, come avrete capito, di Libera, di Emergency, della Fiom, della “coalizione sociale” a cui, con gran diffidenza, vorremmo affidare una speranzella, dar fiducia in qualcosa.
La diffidenza nasce (oltre che dalle catastrofiche esperienze con altri sindacalisti: vedi Cofferati) dal fatto che per “società civile” s’intendono ancora solo le grosse e un po’ verticistiche organizzazioni. La speranza, dal fatto che tutta ‘sta baracca nasce fra gli operai. La (moderata) fiducia dalla modestia e dai limiti fissati dai promotori. “Fare altri partiti? – dicono – Dio ce ne scansi. Vogliamo una rete sociale, mettere in comunicazione. Noi siamo la società, quella vera. Non c’interessa il Palazzo. Noi siamo semplicemente il Quarto Stato”.
E’ un bel progresso rispetto alle ingegnerie precedenti (arcobaleni, azione civili, fors’anche altreurope) che si presentavano con bellissimi progetti chiavi-in-mano, cercando disperatamente di farli gestire insieme da tutte le vecchie sette precedenti (carbonari, giacobini, seguaci degli statuti di Spagna e narodniki) le quali, per loro natura, difficilmente potevano invece accordarsi su qualcosa. “Invece ripartiamo dalle origini, dai soggetti sociali”. Questo, secondo noi, comincia a essere buonsenso.
Il governo reale? Marchionne
Anche dall’altra parte ragionano nudo e crudo, senza tante illusioni. Hanno fatto governi (tre, uno dopo l’altro, tecnici, più tecnici ancora e infine “riformatori”) che – a parte la fuffa mediatica – non hanno governato granché. Hanno coperto, in sostanza, l’emergere del governo reale, quello direttamente “sociale” – ma della parte alta della società, dei Marchionne. E sono stati attentissimi, agendo sul corpo sociale, a smantellare via via proprio i ceti sociali che potevano fargli opposizione.
Prima è toccato agli operai, privati di sindacati e statuti, sospinti (tatcherianamente) nelle curve sud e abilmente divisi, con opportune campagne mediatiche e leghiste, dai loro omologhi neri, che dopo anni d’Italia non sono che operai come tutti gli altri. Adesso stanno attaccando l’altra colonna della vecchia Repubblica, la scuola. Il preside-comandante, i prof soldati semplici ai suoi comandi, non sono solo un rigurgito degli Anni Trenta. Sono un progetto abilissimo e preciso, distruggere ogni luogo sociale e lasciarci ciascuno solo davanti alla sua tv o al suo monitor. Se i Landini e i don Ciotti lo capiranno, potranno contare su molte forze ora sparse e divise.
Il laboratorio-Sicilia
In Sicilia, nel paese-laboratorio in provincia di Messina, la sindaca “antimafiosa” di due anni fa, la Maria Teresa Collica, è stata buttata giù dalle forze congiunte dei vecchi padroni di destra e nel “nuovo” Pd (escluso, a suo onore, un dirigente che s’è ribellato). A Messina, lo stesso gioco si va preparando per Accorinti.
Nè lui né la Collica, in questi due anni, sono stati all’altezza del ruolo: simbolismi moltissimi, tutti belli e civili e degni di gran lode. Ma politique d’abord, mobilitazione dei bisogni della gente, fiacca e poca. Nè i “compagni” li hanno granché educati, né sostenuti: applausi ma non critiche all’inizio, maledizioni ma non mano tesa alla fine – cioè adesso.
* * *
Il Sud, il Mediterraneo, il mondo povero intanto vanno avanti. La Grecia (altro che calimeri) affronta la trattativa coi generali tedeschi, i Brest-Livotsk, e la sta affrontando bene. Fra gl’islamici splende, per la prima volta nei secoli, la libertà delle donne, delle ragazze-partigiane di Kobane, in prima linea col fucile. Fermano i nazifascisti di Isis, abbandonate dall’Occidente ipocrita, ma vittoriose.
REATO DI MIMOSA
Le “Mamme No Muos” l’otto marzo l’hanno festeggiato con un corteo a Niscemi, alla base Us Navy del Muos, recentemente dichiarata illegale dalle competenti autorità italiane. Alla fine del corteo hanno deposto delle mimose sul cancello d’ingresso della base. Ora sono indagate per reati vari, con l’accusa di aver tagliato un pezzetto della rete di recinzione della (illegale) base straniera.
Promemoria
Dieci obiettivi dell’antimafia sociale
● Abolire il segreto bancario;
● Confiscare tutti i beni mafiosi o frutto di corruzione o grande evasione fiscale;
● Assegnarli a cooperative di giovani lavoratori; aiuti per chi le sostiene;
● Anagrafe effettiva dei beni confiscati;
● Sanzionare le delocalizzazioni, l’abuso di precariato e il mancato rispetto dello Statuto dei Lavoratori o di accordi di lavoro.
● Separazione di capitale finanziario e industriale; tetto alle partecipazioni nell’editoria; Tobin tax;
● Gestione pubblica dei servizi pubblici essenziali (scuola, università, difesa, acqua, energia, strutture tecnologiche, credito internazionale);
● Progetto nazionale di messa in sicurezza del territorio, come volano economico soprattutto al Sud; divieto di altre cementificazioni; divieto di industrie inquinanti; ristrutturazione di quelle esistenti e bonifica del territorio a spese di chi ha inquinato;
● Controllo del territorio nelle zone ad alta intensità mafiosa.
● Applicazione dell’articolo 41 della Costituzione.
Costituzione della Repubblica Italiana
Art. 41 – “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.
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