2014: l’anno del Patto del Nazareno

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Prima di guardare a questo 2015 che promette scintille, lo sguardo dell’analisi e della verità deve andare alla circostanza cardine del 2014. Il patto del Nazareno cambia presente e futuro della politica italiana, come ogni rivoluzione però non nasce dal nulla.

Finito un anno se ne fa un altro. Finito lo scorso anno ne percorreremo uno nuovo, da scoprire e da gustare. Trarre il bilancio del 2014 fuori dall’ovvio non è facile, le banalità non sono frutto di scarsa capacità analitica, bensì della ridondanza di opinioni diffuse  che rete e televisione propinano a mani basse praticamente da sempre. Questo mio pessimismo circa la riuscita di una qualsivoglia interessante resa riassuntiva dello scorso anno, non è frutto di un mio disprezzo per la libertà di parola e di espressione, tutt’altro. Che ci siano tante voci è un bene, a mio avviso, anzi, le voci sono addirittura poche. Quello che rimpiango è la varietà di opinioni. Tante voci pochi concetti, pochissimi intellettuali veri, nessuna novità sotto il sole. Cosa si vuole ottenere allora guardando a questo passato ancora così vicino? Il mio, nostro, tentativo è tanto ambizioso quanto complicato, individuare il fatto più importante dello scorso anno, e vedere come questo abbia influito sugli altri, da cosa sia nato, e come ce lo porteremo ancora dietro. Mi perdoneranno i premi nobel, i morti di ebola, e vincitori di mondiali, ma non posso che consegnare l’ipotetica palma del fatto dell’anno al cosiddetto <<patto del Nazareno>>. Si può essere alti o bassi, magri oppure grassi, ma quanto avvenuto lo scorso 18 gennaio (2014 per  l’appunto) è di diritto e di fatto il genere di eventi che passano alla storia, quand’anche fosse vuoto di contenuti. Per quanti fossero meno accorti, soffrano di memoria corta, o semplicemente accostano altro al termine Nazareno, spieghiamo in sintesi cosa esso sia e rappresenti. L’allora neo Premier Matteo Renzi, nel tentativo, neanche stupido, di sovvertire equilibri e schemi ereditati dal suo predecessore, Enrico Letta, da lui stesso pensionato, piuttosto che cambiare consiglio dei ministri, impossibile al fine di mantenere la maggioranza di governo, decide di replicare il vetusto ed obsoleto meccanismo delle alleanze esterne, ovvero un programma, non di governo, bensì di legislatura, con un gruppo, in questo caso quello di Berlusconi, radicato su punti certi, votabili in parlamento, in grado di fare le cosiddette riforme o leggi bipartisan. Il sistema è valido, in grado di portare avanti idee condivise tra partiti, identità, leader, che mai potrebbero sedersi attorno allo stesso tavolo di potere. In un gioco siffatto Renzi, il 18 gennaio del 2014, invita nella sede Nazionale del Partito Democratico, Berlusconi in persona, seguito dal suo entourage più ristretto. Se al posto di Berlusconi ci fosse stato chiunque altro la storia sarebbe stata diversa; se al posto di Renzi ci fosse stato chiunque altro, la storia sarebbe stata diversa; se quella non fosse la sede del Pd la storia sarebbe diversa. Renzi, Berlusconi e la sede del Pd, quello stesso Pd che porta le effigi di Enrico Berlinguer ed adesso è attraversato da chi ha sempre gridato al comunismo alla sola vista di Veltroni e Rutelli (che chiamarli comunisti ci vuole fantasia), per non parlare poi di Bersani. L’incontro teso a creare punti su cui lavorare congiuntamente, come riforma elettorale e costituzionale, da quello che si dice è stato proficuo, molto, ricco di spunti e di slanci. Il <<si dice>> è d’obbligo, in quanto, dopo un anno, non esistono documenti ufficiali di ciò che è stato siglato, concordato, magari anche protocollato. Potremmo già storcere il naso qui? Certo che potremmo, e lo si dovrebbe fare perché la democrazia non è affare di pochi, chi è stato eletto dalle primarie non deve poi sottrarsi al giudizio mediato del proprio elettorato, e tante altre congetture che però sono marginali rispetto al corpo stesso della storia che stiamo ricordando. Intendiamoci, non serve essere dei fenomeni per dire cose che già un anno fa apparivano  stanche e superflue, come la segretezza, la riforma costituzionale con un pregiudicato, la violazione di simboli storici della sinistra, e cose di questo tipo. Dopo un anno il nostro sforzo, e questo porta ad eleggere il patto del Nazareno come il più significativo dell’intero 2014 italiano, deve abbandonare i facili appigli della critica e muovere un ragionamento in prospettiva che 365 giorni fa (più o meno) non avremmo saputo fare. Il patto del Nazareno ha dimostrato sulla carta quanto il populismo non faccia pronunciare agli stolti solo fandonie. Da quell’incontro è uscito, da persone che rappresentano, od almeno dovrebbero, visioni diametralmente opposte, un unico disegno costituzionale, o perlomeno un progetto unitario, così come per la legge elettorale, ed a sentire le parole di Berlusconi, anche un’intesa più ampia, che va dal Presidente della Repubblica, agli emblemi più importanti delle partecipazioni italiane. Renzi la pensa su queste cose fondamentali come Berlusconi e viceversa, ovvero come direbbe l’uomo della strada:<< sono tutti una cosa>>. Dargli torto è oggettivamente difficile in questa fase. Possibile che uno dei due soggetti, Berlusconi e Renzi, abbia provato a gabbare l’altro? Anche questo probabile, ma almeno dopo un anno i risultati non si sono visti. Insomma da quel momento il Parlamento italiano è stato riflesso di una luce diversa. Il gruppo di Governo, vicino ad Alfano, schiacciato in questa morsa cerca spesso la ribalta, anche futilmente; le ali estreme di entrambi gli schieramenti cercano la propria autonomia, ma per cattiva reputazione e scarsità di mezzi, non riescono ad affrancarsi; la politica europea non è stata sovvertita, ed il mondo ci guarda come gli smanettoni inconcludenti che si trastullano da 25 anni. Ma cosa rende veramente storico questo momento? Beh, ve lo dico alla fine di questo testo, laddove molti non arriveranno mai per la lunghezza e grafomania che mi contraddistingue: Il patto del Nazareno è la dimostrazione che i potentati europei e nazionali, hanno definitivamente messo le mani sulla democrazia italiana. Ovviamente le prove di cui posso fregiarmi sono mere analisi politiche, al massimo logiche, ma un dato è certo: da quando nel novembre del 2011 Berlusconi fu destituito da Presidente del Consiglio, in maniera alquanto particolare, la stessa conventicola di potenti non è più uscita dai palazzi del potere. Prima Monti, poi Letta, infine Renzi, sono nomi avvicendatisi in quel solco tracciato nel nome del Duo Napolitano-Draghi, con annessi e connessi. Il sistema si è autoprodotto, anzi riprodotto. Monti diventa presidente del Consiglio la settimana dopo essere stato nominato Senatore a vita; Letta diviene presidente del Consiglio con la benedizione delle stesse frange parlamentari di Monti, che votano sempre con gli stessi organi di scuderia; Renzi dimissiona in malo modo Letta, e nonostante ciò il governo rimane quasi identico a prima, ovvero a quello tacciato di lentezza ed inutilità. Tutto avallato in modo non consuetudinario, se si guarda alla storia ed alla prassi costituzionale, da Giorgio Napolitano. Proprio quel Napolitano, primo presidente rieletto della Repubblica Italiana, con la motivazione dell’eccessiva ripetitività delle votazioni per l’elezione del nuovo capo dello stato (clamoroso bluff guardando alle elezioni precedenti). Insomma neanche qui serve essere dei fenomeni per vederci qualcosa di più che eventi slegati. Domanda a cui potremo rispondere solo alla fine del 2015 è dove questo patto del Nazareno ci porterà, quali effetti avrà sulla politica economica ed istituzionale, con un primo, grande, storico banco di prova: chi sarà il primo Capo dello Stato della Terza Repubblica?

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