Abbandoniamo i pesanti deficit di parresia su guerra, terrorismo ed economia
Abbandoniamo l’alta filosofia, le raffinate (o interessate?) analisi geopolitiche o sociologiche. Mettiamo in fila, uno dopo l’altro, le banali, lineari verità che questi tempi ci raccontano. Ma che sembra proibito dire, un po’ come il famoso bambino del “vestito nuovo dell’imperatore”.
Il 2019 si è aperto con un temuto attentato in Olanda, un atto terroristico a Manchester e le polemiche in Italia per la disputa della Supercoppa Italiana di calcio in Arabia Saudita. Il 2018 si è chiuso, tra le altre, con l’attentato di Strasburgo e la tragedia di Corinaldo. Che tanto lontano dalle dinamiche di un attentato non è andato. Appaiono fatti lontani, slegati, senza nulla in comune. In questi anni, davanti a tragedie come Corinaldo, il ponte Morandi, le morti assassinati durante bufere di neve, piogge torrenziali, terremoti o altro, o ad attentati terroristici come ne abbiamo visti (anche) in Europa abbiamo subito un’abbondanza di riflessioni sociologiche, geopolitiche, filosofiche, politiche (queste quasi sempre nella veste di propaganda o vere e proprie speculazioni spicciole). Tutte con le stesse conclusioni: siamo disperati, inermi e senza poter far nulla tranne che affidarsi al demiurgo, filosofo, capobastone, ecc. di turno che è l’unico illuminato che ha capito tutto. Eppure lo si può ascoltare per ore e non si riesce a far altro che perdersi, inerpicarsi per sentieri tortuosi dove nessun filo di Arianna può portarci via. Davanti a questi labirinti, e alla disperazione che portano eventi come Corinaldo, Strasburgo e Manchester, improvvisamente alla mente mi è balenato quanto disse don Tonino Bello all’Arena di Pace di Verona nel lontano 1989. Don Tonino si rivolgeva alla Chiesa ma era un discorso che abbracciava tutti, cittadini e attivisti impegnati e appassionati al di là delle particolari appartenenze per qualcosa di molto più alto e comune. Don Tonino accusò quel che definì “pesanti deficit di parresia”. Mentre invece si dovrebbe “fare ammutolire i potenti della Terra per la fierezza” nella denuncia delle ingiustizie e delle oppressioni, nell’annunciare la Pace e la nonviolenza. “Senza sfumare le finali come nel canto gregoriano” ma, anzi in maniera netta, decisa, precisa, oserei quasi scrivere chirurgica. Abbandoniamo l’alta filosofia, le raffinate (o interessate?) analisi geopolitiche o sociologiche. Mettiamo in fila, uno dopo l’altro, le banali, lineari verità che questi tempi ci raccontano. Ma che sembra proibito dire, un po’ come il famoso bambino del “vestito nuovo dell’imperatore”.
A Strasburgo ha colpito un “radicalizzato” affiliato all’Isis, terrorista già attenzionato e seguito dai servizi segreti. Addirittura poche ore prima si è arrivati ad un passo dall’arrestarlo, anche perché aveva un discreto curriculum criminale. Quell’Isis che, prima dell’inizio della guerra permanente al terrore non esisteva, quel network del terrorismo fondamentalista islamico che – prima dell’11 settembre – appariva confinato in poche aree del pianeta. In Iraq è arrivato dopo l’invasione occidentale, in Europa praticamente non esisteva. 16 anni di guerra totale e permanente, dall’Afghanistan all’Iraq, dalla Palestina alla Siria, senza dimenticare la Libia, ha portato solo milioni di morti, ha destabilizzato interi Stati e ha scatenato il terrore in un’area del mondo sempre più vasta. Un’area della quale l’Europa occupa una porzione marginale e ridotta. Perché i terroristi, che siano Al Qaeda, Isis, Boko Haram o altre organizzazioni criminali della stessa pasta, il numero maggiore di attentati li compiono in stati africani o asiatici. O comunque ben lontani dalle nostre opulente metropoli. E se ci sono governi, multinazionali, eserciti, servizi segreti che li conoscono, che ci sono stati in contatto e in affari non sono figli dell’Afghanistan diventato narcostato (al pari del Kossovo) dopo la “liberazione euro statunitense”, della Nigeria, della Siria o della Libia. Negativo. Sono i nostri cari grandi alleati arabi – quelli che bombardano lo Yemen con armi prodotte in Italia, che non sanno manco dove stanno di casa la parità di genere (ma i loro denari per il calcio e gli affari li prendiamo, e improvvisamente la democrazia diventa una “polemica”) e i diritti umani, sociali e civili – e turchi, quelli a cui doniamo milioni di euro per fermare i migranti e permettergli di massacrare i curdi, la stampa libera e ogni opposizione al Sultanato. Il fondatore di Al Qaeda ha iniziato la sua carriera terrorista nei Balcani, conosciuto, sostenuto e coccolato da cancellerie e armate d’oltreoceano. Il legame tra Isis e Turchia, così come il sostegno, i denari e le armi in funzione anti Assad in Siria a loro ed altre organizzazioni simili, sono più che acclarati. Quando negli ultimi 16 anni, che fosse papa Giovanni Paolo II, il responsabile di qualche organizzazione umanitaria o esponenti dei pochi sodalizi politici che sono sempre rimasti coerentemente contro ogni guerra, qualcuno ha affermato che era necessario esplorare strade diverse dalle armi, è stato subissato di insulti, irriso, si è tentato di metterlo a tacere. Sempre e soltanto sotto un’unica parola d’ordine: coi terroristi non è possibile parlare, non esiste dialogo. Falso come una moneta da 3 euro. Perché in realtà, quando hanno voluto, quando gli è stato conveniente, coi “terroristi” hanno parlato, hanno fatto affari (gli intrecci di società tra le famiglie di Bush e Bin Laden hanno riempito milioni di cartelle), li hanno sostenuti. Le guerre non aumenteranno mai alcuna sicurezza dei popoli e dei cittadini. Ma solo i portafogli dei signori delle guerre e dei trafficanti di armi, delle mafie e del terrore. Gli stessi che prima scatenano e poi, ben sostenuti da grancasse e propagande varie, ergono muri, ideologie sicuritarie, prosperano sulla costruzione del “nemico che ci minaccia”. Diritti civili, libertà, sicurezza, Pace sono solo buoni per la propaganda e la speculazione. Per il resto possono solo essere distrutti e devastati.
Una settimana prima dell’attacco nel 1991, davanti alle telecamere di Porta a Porta ci fu chi sostenne che Saddam Hussein era un alleato troppo prezioso per perderlo in nome dell’indipendenza del Kuwait. Sappiamo poi come è andata a finire. Così come in realtà sappiamo tutti, dal 1991 in poi, quali sono stati i “politici” (italiani e francesi) che da Saddam Hussein sono stati, esprimendogli solidarietà e sostegno. Uno, diventato Presidente della Camera, pubblicamente si mise ad offendere (mentre due attiviste di un’organizzazione umanitaria erano ancora sotto sequestro da parte dei terroristi) tutti coloro che credono e perseguono ideali pacifisti. Perché non accettavano di intrupparsi nella guerra totale contro quello con cui lui aveva parlato e sostenuto.
Alla vigilia dell’ultimo Natale un nuovo attentato ha colpito la Francia, lo Stato che in questi anni in Europa ha subito più attentati. Dopo i primi fu proclamato lo stato di emergenza, con la sospensione dell’esercizio di alcuni diritti e una sorveglianza praticamente militarizzata di alcuni aspetti della vita sociale. Eppure si susseguono attentati, sempre da parte di persone già conosciute dall’intelligence. C’è qualcosa da aggiungere? Credo che ogni conclusione può arrivare da sola. Intanto proseguono le guerre e le spese militari aumentano sempre più. Durante gli anni della crisi economica, le uniche spese che sono aumentate (mentre sanità, previdenza, scuola, sostegno ai più deboli veniva massacrate) sono state quelle militari. Negli anni della troika in Grecia e del “braccio di ferro” con Tsipras è stato imposto di tagliare tutto il tagliabile e oltre ma il comparto armato è rimasto fuori da ogni trattativa. Aumentano le guerre e le armi, ma nessuno stato è più sicuro. Anzi, terrorismo, insicurezza, sangue e morti, aumentano sempre più. Miliardi e miliardi che sono stati tolti ai più poveri, ai più fragili e indeboliti, abbandonati e oppressi da una crisi economica nella quale sono state salvate le banche, sono state coccolate le multinazionali e si è abbandonato all’emarginazione, alla povertà, al crescere impetuoso delle diseguaglianze gli ultimi e i penultimi. Una diseguaglianza che non soltanto non è stata combattuta, ma addirittura favorita. Agendo sulle leve fiscali, favorendo i trafficanti di armi e i più ricchi. Un dato su tutti. La protesta dei “giletti gialli” in Francia è nata, tra le varie motivazioni, contro la nuova tassazione sui carburanti. Tassa che, al di là di ogni veste verde, in realtà serviva a finanziare l’abbassamento della tassa sui grandi patrimoni. Ma in Italia ci è stata raccontata, dal main stream come da larga parte dei presunti “indipendenti” a la carte, solo la prima parte della verità. Perché la patrimoniale qui è tabù, affermare che chi ha immensi patrimoni e ricchezze deve pagare più imposte e tasse è considerata una follia, una bestemmia sociale. Mentre aumentare i carichi fiscali che pesano sulle spalle dei più poveri è considerato sacrosanto e giusto, oserei dire naturale. Ma non lo è. Così come non lo è, e anzi è falso e punta a ben altri particolari interessi, credere che la minaccia ai propri diritti, alla propria sicurezza, alla stessa esistenza venga non dai signori della guerra e della finanza, dai trafficanti e dai mercanti di morte e propaganda interessata, ma da altri poveri cristi, da chi è ancor più debole, fragile e impoverito.
Un sistema economico e sociale nel quale ogni cosa è stata sacrificata in nome della finanza e del mercato, del liberismo più sfrenato e del profitto. Ma, mentre regalavano miliardi alle banche e alle grandi corporation, mentre cancellavano i diritti dei lavoratori e dei meno tutelati in nome della competitività e del profitto, hanno costruito immense armi di distrazione di massa. La famiglia e il reddito dei lavoratori sono messi in pericolo, e spinti al ribasso, da politiche antisociali, dalla mancanza di una fiscalità equa e progressiva e di sostegni pubblici, dalla chiusura di ospedali e asili pubblici, da scelte dettate solo dal mercato e dal capitalismo. I diritti sociali e civili delle minoranze, linguistiche, di genere o altro, non toccano i diritti di nessuno. Nessun amore minaccia altro amore, nessuna uguaglianza può portare disuguaglianza. Al massimo succede il contrario: oggi viene tolto un diritto ad un altro e domani tocca a chiunque. Il contrario può avvenire solo nella propaganda speculativa di chi è così tanto indipendente e libero da essere a libro paga di corporation e gruppi di interesse dominanti. Dopo Corinaldo si è scoperto che esistono “artisti” che non cantano ideali e valori e anzi vivono tra insulti, disprezzo e il più bieco individualismo rampante. Così come esistono luoghi dove si cerca di accaparrarsi tutto il possibile, di vendere anche l’impossibile. E di fregarsene altamente di ogni norma sulla sicurezza. Come accade sui luoghi di lavoro ogni sacrosanto giorno, come tante industrie fanno ogni secondo. Eppure siamo il Paese in cui sentiamo sempre dire che ci sono troppe regole, troppa burocrazia, che bisogno snellire ogni cosa. Senza dimenticare cosa viene trasmesso, a reti e fogli unificati, in casi come l’Ilva di Taranto. Basta andare a riprendere i quotidiani, gli editoriali dei “grandi”, dopo l’avvio dell’attuale ciclone giudiziario. O come oggi viene trattata una questione come quella dell’amianto. Ormai non mi stupirei se, dopo i tanti decreti salva Ilva, la propaganda di anni e anni contro regole e vincoli ambientali, prima o poi qualcuno proponga di abolire gli obblighi attuali per lo smaltimento dell’amianto. Perché “costa troppo”. Oltre mille morti nell’anno appena concluso sui luoghi di lavoro non vengono dal nulla, non sono figli dell’imprevedibile. Così come non lo era Rigopiano e l’Abruzzo di ormai quasi due anni fa. Tutte conseguenze di leggi non rispettate, di sicurezza calpestata e piegata al profitto, alla velocità del mercato, all’interesse del più forte e ricco. E’ inutile quindi fare i moralisti a la carte o le Alice nel Paese delle Meraviglie davanti a quanto accaduto nelle Marche, e continua ad accadere in tanti altri luoghi. Sono tutti figli degli stessi comportamenti, degli stessi meccanismi, delle identiche dinamiche. Imposte da un’unica identica ideologia.
Alessio Di Florio