Quasimodo piange, le sue lacrime sono vere ma il mondo non le vede
La vignetta diventata virale sui social
Avevo visto già lunedì sera quest’immagine su Facebook. Quasimodo che piange stringendo a sé Notre Dame. Stamattina, girovagando sperso sulla Rete, leggo che è un’opera dell’architetto e disegnatrice ecuadoriana Cristina Correa Freile. Sperso da subito, e solo molto dopo con difficoltà riesco a scrivere queste quattro parole in croce, perché vedendola l’angoscia mi ha rapito il cuore. L’angoscia di quelle lacrime, di un dolore come una fitta lancinante al cuore. Quasimodo, reietto, odiato, condannato e ignorato, che appare l’unico vero autentico cuore della storia. Lacrime autentiche, vere, del cuore di chi più subisce e più risponde con amore. Simbolo di tutti i Quasimodo che, ad ogni latitudine ed epoca, vengono giudicati superficialmente, subendo l’omologazione e l’aridità del mondo. A cui rispondono con l’autenticità del cuore, aprendo un raggio di sole lì dove le nuvole scatenano le più grette tempeste.
Oggi Quasimodo piange. Per la sua casa, il suo mondo, la sua stessa vita distrutta. Ma piange anche per tutti, piange per chi non vede le sue lacrime, per i moderni tribunali mondani che continuano a voler bruciare lui, a condannarlo all’emarginazione, che si girano dall’altra parte perché “il dolore degli altri è un dolore a metà”. Il dolore di Quasimodo, la sua sofferenza, sono immensi, oltre ogni soglia dell’umano. Ma per lui il dolore degli altri è un dolore doppio. E piange. Lui che potrebbe, e dovrebbe averne ogni diritto, per se stesso, piange per gli altri. Piange per i suoi quotidiani carnefici, piange per chi ride delle sue lacrime. Un cuore in fiamme che accusa, che grida più di ogni urla, le false lacrime, il pietismo di anime senza coscienza. Di tante parole retoriche che sgorgano finti pianti senza lacrime. E lo vediamo anche in queste ore. Nelle pieghe delle cronache che non raccontano, delle disperazioni così disperate da vedere prima del dramma l’acqua dei propri mulini. Mentre Quasimodo piange, nell’indifferenza, negli interstizi della società. Senza riflettori e microfoni, senza nessuno che porga un fazzoletto per asciugare il sangue del suo cuore.
Cocciante fece cantare a Quasimodo “com’è ingiusto il mondo”. Un grido lancinante di fronte a quella società che lui voleva amare e che in cambio voleva bruciarlo, eliminarlo. Di fronte al suo amore puro, vero e generoso ripudiato di fronte alla forza, alla potenza, all’apparenza che considera la purezza nessuno e altri signori. Una sofferenza che si concludeva passando dall’ingiustizia alla crudeltà di un mondo che non sa legare i cuori nel trionfo di una vacua bellezza d’apparenza, di una omologazione egoista e senza alcuna profondità che considera brutto quel che non è utilità, che non ostenta, che non ha i galloni del trionfo. Ed è cronaca di ogni giorno, della quotidianità che attraversa i secoli rimanendo sempre uguale. Si possono sbandierare le più belle parole, riempirsi la bocca di chissà quali discorsi. Ma la verità, come scrisse quel ragazzo di nome Michele ormai dimenticato, è che sono balle. Che non c’è nulla di vero dietro il paravento. E che se non ti amalgami, se non accetti la rincorsa dell’interesse particolare ed egoistico, se non consideri il dolore degli altri dolore a metà – calpestabile, sfruttabile, a cui essere più che indifferente – se veramente credi alla non compromissione di quelle che dovrebbero essere le stelle polari della coscienza, per te rimangono solo anfratti spogli e bui, dove essere quotidianamente bastonato, giudicato, condannato, scartato. Ma Quasimodo non si arrende. E a tutto ciò risponderà sempre piangendo per lor signori, rimanendo sempre autentico e puro. Le lacrime di Quasimodo sono le lacrime di chi soffre, è umiliato, emarginato, reso debole e fragile. È il simbolo di tutti gli ultimi, gli abbandonati, gli scarti, coloro che son considerati pesi (avoglia a fare giornate e giornate sull’inclusione, la disabilità, ecc. ecc. la realtà la sappiamo tutti benissimo… nella stragrande maggioranza dei casi persino a scuola un disabile, un autistico, un bambino con la sindrome di Down – e di esempi ne potremmo fare tantissimi altri – viene visto come fastidio e troviamo persino genitori che chiedono il cambio di classe perché “mio figlio mica può essere penalizzato perché c’è cullu, deve poter studiare sereno che deve diventare avvocato, medico, notaio…”).
Quasimodo è il simbolo di tutti i crocifissi della Storia che, di fronte al sinedrio delle coscienze, ha persino la forza e la coscienza di piangere per i suoi carnefici, per chi trafigge con i chiodi le sue carni. Diamante grezzo in mezzo a pietre senza colore, è l’unico raggio di sole in mezzo alle nubi della disumanità, dell’ingiustizia, dell’oppressione del peggio del peggio che il cuore, la (non) coscienza e l’egoismo possano concepire. E’ l’unica speranza che – ad ogni latitudine, interstizio globale, periferia – si possano legare i cuori e far fiorire la vera bellezza. Oggi Quasimodo piange, piange e si dispera. Si aggira nella Notre Dame in fiamme, ha perso tutto. Ma piange per noi tutti, piange per gli altri. E da qualche parte, mentre il suo dolore rimane invisibile, cerca il riscatto e la liberazione anche per noi.