Il mistero del trolley di Cappellazzo

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Cappellazzo non smette mai di stupire. Chiamato a deporre a Caltanissetta sulla mazzetta di 20 mila euro che avrebbe portato alla Saguto, poverina in gravi difficoltà economiche, in un trolley, ha detto che in quel trolley non c’erano soldi, ma effetti personali e che quella sera, il 30 giugno, era andato a casa della Saguto per consegnarle il piano industriale dell’hotel Ponte, del quale il magistrato le aveva affidato l’amministrazione giudiziaria. Quel piano porta la data del 1° luglio, cioè è stato redatto e/o depositato il giorno dopo. Ma a parte questo dettaglio leggiamo la sua ricostruzione:

“Preparo il trolley perché devo andare due giorni a Roma. Prendo i vestiti e il piano industriale. Chiamo la dottoressa Saguto, le dico che ho fatto tardi, ma lei mi dice che posso passare anche dopo cena. Dico ‘ok se non è troppo disturbo’. Fissiamo questo appuntamento. Arrivo un po’ più tardi. Verso le 21:45. Scendo dallo studio a tarda sera con il trolley, ho una vecchia Jeep di trent’anni. Posteggio in via Sampolo. Esco dalla macchina e prendo il trolley. Non lascio mai nulla in macchina, a parte che avevo i documenti, perché la macchina si apre facilmente. Citofono, salgo e mi viene offerto un caffè. Mostro la documentazione, scendo e vado da mia figlia a cena. L’indomani mattina siamo andati a Roma”.

Certo che è proprio strana la storia di uno che, dovendo partire l’indomani mattina, prepara il trolley la sera prima, lo porta, con tutti i vestiti, a casa dell’amica Saguto, assieme ai documenti, che forse erano tanti da dovere essere messi in valigia assieme ai vestiti, si porta appresso il trolley per non lasciarlo incustodito in macchina, visto che questa è un vecchio modello che si apre facilmente, e quindi possiamo presumere che i documenti non sono in valigia, e poi se lo riporta in macchina e a casa per riprenderlo l’indomani mattina quando parte. Nessuno dei magistrati gli ha detto: “Ma ci stai prendendo per scemi!!!”

Per quanto riguarda i 20 mila euro, risulta che gli sarebbero stati dati brevi manu dall’architetto Caronia, da lui incaricato di eseguire alcuni lavori per 80 mila euro. Cappellano gli avrebbe chiesto uno sconto, cosa che l’altro avrebbe subito accettato senza discutere. Il tutto sarebbe avvenuto a Piazza Sturzo, sempre nella fatidica serata del 30 giugno: il tempo di intascare i soldi per portarli alla Saguto. Diversa la versione di Cappellazzo, che apprende dai giornali di avere ricevuto i 20 mila euro da Caronia:

“Vado a piedi a Palazzo Brunaccini perché so che lui si trova lì. Stava facendo delle riparazioni. Gli chiedo notizie sulle cose che ho letto e letteralmente sbianca. Era pallido, livido. Mi disse che l’aveva dovuto dire, quasi costretto, che aveva subito violenza, non fisica, la finanza aveva trovato un appunto a casa sua con scritto ‘meno ventimila euro’. Lui rispose che era uno sconto e ‘gli ho detto che ti ho dato ventimila euro‘. ‘Perché hai detto questa falsità?’, gli chiedo. Mi disse che stava andando dal suo avvocato perché non avrebbero potuto verbalizzare le sue parole durante la perquisizione. Attendo ancora che l’architetto Caronia ritratti queste affermazioni”.

Quindi l’architetto avrebbe detto il falso ai finanzieri, poiché, da loro “aveva subito violenza, non fisica”. Il nome di questi finanzieri violentatori dovrebbe venir fuori per verificare se hanno usato violenza e, in tal caso andrebbero puniti, o se Caronia mente, e in tal caso andrebbe perseguito per calunnia, o se mente Cappellano, e in tal caso andrebbe perseguito per falsa testimonianza o per reati contigui, tipo truffa, estorsione ecc. Ma di tutto questo non è successo ancora niente.

***

E tuttavia siamo tentati di dare ragione a Cappellazzo, perché la somma di 20 mila euro ci sembra troppo esigua rispetto al fiume di denaro che passava sotto le sue mani con la firma della Saguto. Citiamo solo un esempio che viene fuori dalle indagini processuali, dalle conversazioni del 9, dell’1 e del 14 maggio 2015: Il prefetto di Palermo Francesca Cannizzo organizza, il 16 giugno 2015 su richiesta di Silvana Saguto e Gaetano Cappellano Seminara un incontro con l’amico Stefano Scammacca, ex Prefetto di Messina, e con Giuseppe Barone, consigliere del CGA Sicilia, e membro del collegio che, il 18 marzo 2015, aveva preso in decisione l’appello proposto dal Ministero della Giustizia contro la sentenza del TAR Sicilia, che aveva accolto il ricorso di Cappellano Seminara per l’ottemperanza del decreto del 30 settembre 2011 del Tribunale di Palermo, a firma della stessa Silvana Saguto, di liquidazione del compenso finale di 5.100.000 euro da porre a carico dell’erario per l’attività di amministrazione giudiziaria nella procedura a carico dei fratelli Gaetano e Giuseppe Sansone. Più in dettaglio, veniva liquidato a Cappellano Seminara il compenso finale di 5.100.000 euro, “oltre il rimborso forfettario ex art. 14 tariffe forensi, CPA e IVA, somma calcolata forfetariamente avuto riguardo al compenso mensile spettante sia per l’amministrazione di ciascuna delle diciassette tra società e ditte, nonché dei beni personali, sia nella qualità di amministratore giudiziario'” e “detratto l’ammontare degli acconti già ricevuti nella misura di euro 530.911,1T\ ponendo “gli oneri di liquidazione a carico dell’erario”.

Se poi dovessimo prendere in considerazione le altre milionarie parcelle di Cappellano, firmate dalla Saguto o dai suoi colleghi, il conto diventa mostruoso. A questo livello e con cifre del genere qualsiasi discorso che si fermi a 20 mila euro sembra un’elemosina. E, senza volere dire niente ai magistrati, il problema sta nel vedere se il pagamento di tali esorbitanti parcelle era congruo al lavoro effettivamente svolto. Ma sarebbe come toccare il culo a una cicala che non sarà mai disposta a cantare

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