Morto un papa se ne fa un altro
La corsa alla successione di Totò Riina
E così, secondo alcune accreditate ipotesi, morto “u zu Totò u Curtu” la tiara dovrebbe finire sulla testa di un nuovo capo. Se non vogliamo chiamarlo papa, chiamiamolo re o presidente. Su chi si metterà in testa la corona e in mano lo scettro si fanno molti nomi: qualcuno è all’interno delle patrie galere, altri, sono più di trecento, sono tornati in libertà dopo avere scontato la pena, altri sono i cosiddetti “scappati”, che dopo le epurazioni degli anni ’80 sono tornati anch’essi alla base, pronti per ricominciare, in particolare i rampolli degli Spatola, Gambino e Inzerillo. Dei Badalamenti invece si sono perse le tracce.
Primo nome “pesante” è quello di Giulio Caporrimo, il boss di San Lorenzo, fedelissimo dei Lo Piccolo, che è stato in carcere a Parma, lo stesso carcere di Riina, e che, dopo sette mesi di libertà è da poco tornato in carcere, perché la Procura generale aveva sbagliato i calcoli del cumulo di pena per la scarcerazione. Nel febbraio 2011 aveva organizzato un grande vertice a Villa Pensabene, noto ristorante-maneggio allo Zen, assieme a “pezzi da novanta” come Giovanni Bosco, Giuseppe Calascibetta (che sarebbe stato poi ammazzato), Salvatore Seidita, Alfonso Gambino, Gaetano Maranzano, Amedeo Romeo, Stefano Scalici, Cesare Lupo, Nino Sacco e Giuseppe Arduino. In carcere ha avuto la possibilità di mettersi in collegamento con i vari boss calabresi, pugliesi e napoletani, oltre che con il suo compagno di cella Epifanio Agate, figlio del boss di Mazara Mariano, ma era diventato anche amico di Cosimo Lo Nigro e Paolo Alfano, entrambi ergastolani, a cui aveva fatto il favore, tramite il padre, di trovare un posto di lavoro ad alcuni loro parenti.
A Porta Nuova, è tornato Massimo Mulè; a Tommaso Natale, Giuseppe Serio e Stefano Scalici; a Pagliarelli, Salvatore Sorrentino soprannominato lo studentino. Alla Noce, Francesco Sciarratta. Al Borgo Vecchio, Gaspare Parisi. A Brancaccio, Angelo Vinchiaturo e Maurizio Di Fede. All’Acquasanta, Vincenzo Di Maio, Antonino Tarantino e Antonino Caruso. A Villagrazia, Filippo Adelfio e Sandro Capizzi. Tra gli aspiranti al ruolo di capo non può mancare il 72enne Giovanni Grizzafi, detto u messia, e Gaetano Scotto indagato per l’omicidio del poliziotto Nino Agostino e sospettato di intrattenere rapporti con ambienti deviati dei servizi segreti. Quotato anche l’ex aiutoprimario dell’ospedale Civico Giuseppe Guttadauro, che da tempo si è trasferito a Roma, ma che continua a rimanere in contatto con il figlio Francesco, con il boss di Gela Rinzivillo e con il fratello Filippo, è cognato del superlatitante Matteo Messina Denaro, detto u Siccu.
E qui siamo arrivati, con due scuole di pensiero: c’è chi sostiene che il papa deve essere palermitano, e che perciò u zzu Matteo non potrà mai ricoprire il ruolo di capo dei capi, c’è chi invece sostiene che, essendo stato protagonista di una serie di stragi, omicidi ed altro verificatisi nella sfera palermitana o in quella nazionale, con la collaborazione della banda dei corleonesi, Matteo può, a pieno titolo ricoprire il ruolo di superpadrino, a Palermo è di casa.
La sua latitanza è cominciata nell’estate del 1993, stesso anno della cattura di Riina, e dura sino ad oggi. Quasi cinquemila giorni di libertà, nei quali è stato visto e non visto nei posti più svariati, da Barcellona, dove è andato a curarsi gli occhi, allo stadio di Palermo. Un giornalista ha scritto un libro su di lui chiamandolo L’invisibile. E mentre presumiamo che i vari capi dei vari mandamenti gli stiano baciando la mano, come a Michel Corleone nel Padrino parte seconda, auspichiamo che i tempi per il suo arresto possano stringersi, più che altro perché teniamo alla sua salute: in carcere è protetto e curato molto meglio di quanto non possa fare essendo costretto a scappare e a nascondersi. Al momento siamo nelle sue mani e in quelle di altri due Mattei, Renzi e Salvini. I tre Mattei. Siamo proprio messi male, perché, per ogni Matteo soccu è tuo è meo!!