Secondo l’accusa, anche il quadro andava sequestrato. Vincenzo Corrado Rappa: “Tutto regolare”.
La Procura insiste e contesta il reato di intestazione fittizia a Vincenzo Corrado Rappa. L’inchiesta sull’acquisto di un quadro di Giorgio De Chirico giunge al giro di boa dell’avviso di conclusione delle indagini, preludio di una richiesta di rinvio a giudizio.
Il procuratore aggiunto Bernardo Petralia e i sostituti Daniela Varone e Claudia Ferrari avevano affidato alla Direzione investigativa antimafia l’incarico di approfondire la faccenda segnalata dal prefetto Isabella Giannola, amministratore giudiziario dei beni del Gruppo Rappa finiti sotto sequestro per decisione della sezione misure di Prevenzione del Tribunale. Giannola è subentrata a Walter Virga, indagato assieme all’ex presidente della Sezione, Silvana Saguto. Gli agenti erano andati a bussare alla porta di Rappa per prelevare “Il Trovatore” di De Chirico, un dipinto che vale 500 mila euro e che, secondo l’accusa, attraverso l’intestazione fittizia, sarebbe sfuggito al sequestro del patrimonio. All’indomani della perquisizione era stato lo stesso imprenditore a consegnare l’opera, sostenendo che facesse parte dei suoi beni personali e non delle società finite sotto sequestro.
Gli agenti della Dia in realtà erano partiti dalle tracce di un altro dipinto, a firma di Gino Severini, pittore futurista morto negli anni Sessanta. Nei libri contabili risultava che il quadro fosse stato ceduto dalla Pubblimed alla Med Group (entrambe finite sotto sequestro, ndr) e poi dato in permuta, assieme a una scultura, ad un gallerista di Cortina per comprare il De Chirico. Agli atti dell’indagine c’è una delibera con cui la Med Group riconosceva a Vincenzo Corrado Rappa per i suoi meriti gestionali un “premio” da un milione e 200 mila euro, liquidato in opere d’arte. Solo che, secondo i pubblici ministeri, in contabilità è presente la fattura che registrava la cessione del quadro fra le due società, ma non c’è traccia del corrispettivo pagato. Sarebbe la documentazione presentata dallo stesso Rappa a fare ritenere ai magistrati che l’imprenditore abbia commesso un illecito. In particolare, si tratta di una fattura emessa nell’ottobre 2014, e cioè quando il sequestro delle società del Gruppo era già avvenuto, dalla casa d’aste di Cortina e stavolta intestata a Vincenzo Corrado. Il legale della difesa, l’avvocato Giovanni Di Benedetto, nei mesi scorsi aveva consegnato una memoria per spiegare, documenti alla mano, la regolarità delle operazioni legate all’acquisto del quadro.
Il caso del dipinto è entrato a fare parte del processo di prevenzione. Il Tribunale deve decidere se confiscare o restituire i beni a Filippo Rappa e ai figli Vincenzo Corrado e Gabriele. La decisione arriverà dopo l’estate. Il collegio del Tribunale, oggi presieduto da Giacomo Montalbano e non più da Silvana Saguto, ha affidato un supplemento di perizia. Il valore del patrimonio Rappa è stato stimato in 800 milioni di euro. Si tratta di società, immobili aziende di pubblicità, la televisione Trm e la concessionaria “Nuova sport car”. La Cassazione, nei mesi scorsi, ha bocciato i provvedimenti di sequestro emessi nel marzo e nel giugno 2014, quelli che colpirono il figlio di Vincenzo, Filippo, e i nipoti. Erano stati erroneamente considerati eredi di fatto dei beni. È rimasto, invece, in piedi il terzo sequestro, quello emesso nel febbraio 2015 quando arrivò una nuova misura di prevenzione patrimoniale, stavolta proposta dalla Procura e non più dalla Dia, che riguardava direttamente Filippo Rappa e i figli Vincenzo Corrado e Gabriele. Gli imprenditori, sarebbero “socialmente pericolosi”.
Resta da capire se e come la nuova indagine penale potrà influire sul processo patrimoniale, visto che Vincenzo Corrado, secondo l’accusa, avrebbe commesso un reato mentre era in corso la misura di prevenzione. “Nessun illecito”, ha, però, sempre tagliato corto la difesa.